Quo vadis? la sinistra PD dopo lo scontro in Direzione. Si aprirà quella strada o almeno lo spero

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 30 settembre 2014

Dopo la Direzione di ieri sia Renzi, sia la minoranza viaggiano sul filo. Certo, quello della minoranza è più sottile, più arduo. Il premier da mesi cerca di stanare gli oppositori, di condurli a un bivio. Il loro ‘galleggiamento’ lo infastidisce, perché sono bersagli mobili, quasi inafferrabili. Lui vorrebbe chiudere i conti, ma perché ciò accada la ‘vecchia guardia’ dovrebbe toccare riva, uscire dal galleggiamento, prendere l’una o l’altra strada del bivio. L’iter del jobs act sta funzionando da filo rosso. Sta pian piano portando in superficie il conflitto latente. Il tema, d’altronde, è la quintessenza dell’essere di sinistra: il lavoro. Qui nasce la sinistra, non nel cielo dei diritti astratti, come direbbe qualcuno. Il lavoro, la sua crescita, il suo sviluppo, le sue tutele, la sua dignità, il suo essere o meno forza produttiva sono la base concretissima dove la sinistra aggancia e motiva la sua esistenza. Ecco il bivio, quello capace di far fibrillare un intero partito di governo, in tutte le sue componenti, viepiù in quelle di sinistra.
Difatti, sul jobs act il conflitto è emerso più di quanto, forse, volessero gli attori in campo. E se è vero che ha prodotto delle divisioni nella minoranza, è anche vero che il voto pro premier non è detto che sia così granitico. Credo che in talune componenti sia stato anche un voto di fedeltà o di opportunità. E che l’adesione a questa scombiccherata e presciolosa riforma del lavoro (su questa tema in Direzione D’Alema ha detto cose, a mio parere, definitive) non è omogenea, né massimamente convinta. Certo, Renzi è riuscito alla fine a far tirar fuori la testa a D’Alema, Bersani e Cuperlo (Fassina e Civati lo avevano già fatto) e ha creato il contesto iniziale per uno scontro più ampio. Il premier credo volesse, innanzitutto, isolare la vecchia guardia da i giovani riformisti alla Speranza, ridurre il fronte in modo quasi manicheo, anzi ‘narrativo’: i vecchi di là, i giovani di qua. Dopo di che presentare il bivio: emmò, che fate? Vi prendete la responsabilità di far cadere il governo, oppure di costringermi a ricorrere a Berlusconi?

Certo, la minoranza un passo in avanti, dopo mesi, lo ha fatto. E tutti si aspettano che, per coerenza e dignità, il passo venga ripetuto al Senato, a meno che non intervengano fattori nuovi (quali?). Capisco che la partita è difficile, e la squadra si sta un po’ sfilacciando. Si gioca sui millimetri, nemmeno sui centimetri, la scherma è fitta e complicata, e nessuno tenta nemmeno di affondare il colpo decisivo per il timore di scoprire la guardia. La tendenza è al surplace, all’equilibrio difficile e complicato. Però, per logica, una mossa deve pur farsi, e c’è il rischio che la faccia, come al solito, prima Renzi, con una smargiassata magari, con una provocazione, o con un’offerta ultimativa. E alla minoranza spetti solo una risposta affannosa, nemmeno compatta. Nel frattempo però il fronte si è rotto, e sugli astenuti i pontieri e i renziani stanno già lavorando, così che l’isolamento della ‘vecchia guardia’ sarebbe compiuto. Domanda: ma se invece di giocare in contropiede o fare il catenaccio, non si decidesse di attaccare, cogliendo magari il tempo debito? E se fosse la minoranza a fare il primo passo? Che so, uscendo dal grande respiro strategico e producendo uno spunto tattico?
Basterebbe già il segnale di un convegno, un evento, un foglio on line, una seppur minima strutturazione culturale, una certa definizione anche organizzativa dell’identità (sempre che un’identità vi sia). Una presa di posizione forte, in prima persona, di D’Alema, Bersani, Cuperlo, che lasci però intravedere una leadership giovane, magari donna, che mostri brillantezza e qualche lettura in più (per dire) degli alter ego renziani. Non si tratta di uscire o scindersi in astratto (le scissioni non si dichiarano, si fanno pian piano) ma di presentare un punto di vista forte, alternativo, non contendibile. Modificando l’economia di partito. Si tratta di far crescere qualcosa che frutti nel PD o, nel caso, fuori di esso. Qualcosa che rappresenti, più che farsi rappresentare. Una soggettività attraente. Dopo il voto contrario di ieri è improcrastinabile. Il passo in avanti fatto col voto contrario indica che siamo in fase di ingaggio, che si è passati dalla fase ‘siamo una ditta’ a quella ‘siamo una palestra’. Che da oggi il PD non è più il partito del padrone e del capo ma un luogo dove ci si scazza apertamente e si vota contro, se servisse. Se poi non ti venisse consentito, e venissi contestato, la fuoriuscita diventerebbe inevitabile. Ma intanto non saresti giunto nudo alla meta. E da lì si potrebbe ricominciare. Certo ci vuole coraggio. Molto coraggio. C’è?

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