Fonte: L'Unità
Raniero La Valle: “Francesco è stato una donazione, i suoi predecessori una parentesi tra il Vaticano II e il suo avvento”
“I predecessori sono stati una parentesi tra il Vaticano II e il suo avvento: Bergoglio ha ripreso il cammino radicale di rinnovamento della Chiesa avviato negli anni 60 e interrotto dalla conservazione”
Una grande lezione di storia, di cultura, di politica e di religione, donata ai lettori de l’Unità da uno dei più grandi vaticanisti italiani: Raniero La Valle, scrittore, saggista, politico, giornalista di punta della Rai nel periodo aureo, da tempo tristemente tramontato, del servizio pubblico radiotelevisivo.
C’è qualche ricordo personale che le è tornato alla mente pensando a Francesco?
C’è un ricordo che è legato a una cosa che mi è successa una sola volta nella vita: una Messa interrotta a metà, come se fosse successo qualcosa di più importante di quella. Eravamo nella chiesa di san Gregorio al Celio insieme ad altre persone care per una Messa nel trigesimo della morte di mia sorella Fausta. E a un certo punto irruppe un monaco camaldolese dicendo: “Hanno eletto il Papa! Hanno eletto il Papa!”, ma ancora non se ne sapeva il nome. Allora lasciammo tutti l’altare e ci precipitammo alla Televisione per sapere chi fosse. Ed era Bergoglio. E la cosa che mi colpì non fu il “Buonasera!”, ma il fatto che non avesse la mozzetta rossa, la mantellina purpurea che i Papi portavano dopo l’elezione e nelle occasioni più solenni. La mozzetta rossa era il manto regale che gli Imperatori indossavano e che da Costantino era arrivata fino all’ultimo papa. Poi ho saputo (ma non ho potuto averne conferma) che quando Bergoglio dalla cappella Sistina era andato alla Loggia delle Benedizioni che si affaccia su piazza san Pietro, e un prelato gli aveva presentato insieme all’abito bianco sulla sua misura la mozzetta imperiale, egli l’aveva respinta dicendo: “Il carnevale è finito”. E invece di salire idealmente sul trono, aveva chinato il capo davanti alla folla improvvisamente in silenzio, quasi a farsi dare l’investitura non più dai cardinali ma dal popolo di Dio. Il carnevale era già finito, quanto alla sedia gestatoria, fin da papa Giovanni XXIII, che l’aveva demitizzata dicendo che gli ricordava quando da bambino era portato sulle spalle dello zio a Sotto il Monte; e quanto al Triregno (una corona, tre Regni!) esso era stato abbandonato da Paolo VI che, ricevutolo in dono dalla sua diocesi di Milano, lo regalò (o lo vendette) alla Chiesa americana perché ne distribuisse il ricavato ai poveri o per le missioni. Ma queste rinunzie dovevano raccontare una storia ben più importante che papa Francesco ha poi rivelato solennemente alla Curia, alla Chiesa e al mondo: “Non siamo più nel regime di cristianità, non più!”. La cristianità è “quel processo avviato con Costantino in cui – per dirla con la Civiltà cattolica – si attua un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”; un processo che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena. E si può dire, con padre Antonio Spadaro, che “la missione di Carlo Magno è finita”, e che la proclamazione finale di questa uscita dal regime costantiniano c’è stata nel maggio 2016 quando papa Francesco, ricevendo a Roma il Premio Carlo Magno, che di quel sacro romano impero aveva ricevuto la corona in san Pietro dal Papa, con i leaders europei che ne celebravano il vanto l’ha rimandata al mittente per restituirla all’Europa, cioè ai popoli che ne sono gli unici titolari.