Referendum, Renzi come De Gaulle? (magari)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Il Manifesto

di Michele Prospero,  Il Manifesto del 15 marzo 2015

In tempi migliori di que­sto, ci sarebbe stato un cenno di rea­zione più corale dinanzi a un pre­si­dente del Con­si­glio che fa le prove tec­ni­che di demo­cra­zia ple­bi­sci­ta­ria. E invece il silen­zio è calato su parole e gesti che san­ci­scono una svolta pro­fonda nella cul­tura poli­tica. Non è stato colto il senso inquie­tante delle cose che Renzi fa e scrive: «Pun­tiamo al refe­ren­dum finale. Per noi deci­dono i cit­ta­dini, con buona pace di chi ci accusa di atteg­gia­mento auto­ri­ta­rio. Sarà il popolo a deci­dere. Il popolo nes­sun altro». Nes­suno ha pro­vato a con­tra­stare con dignità (e cioè con mezzi diversi dalla ban­diera bianca della resa pre­ven­tiva che la mino­ranza del Pd agita ogni volta che dà bat­ta­glia) lo sci­vo­la­mento in terre (un tempo) sudamericane.

 In que­sto suo Bignami del ple­bi­sci­ta­ri­smo, Renzi infrange le con­di­zioni basi­lari del refe­ren­dum costi­tu­zio­nale entro demo­cra­zie con­so­li­date. Nello spi­rito della carta, il refe­ren­dum è l’estremo atto difen­sivo depo­si­tato nelle mani di una mino­ranza. Scon­fitta in aula da una logica di inno­va­zione par­ti­giana, così poco accet­tata da non rag­giun­gere la mag­gio­ranza qua­li­fi­cata auspi­cata, la com­po­nente soc­com­bente, con una meta­fo­rica e paci­fica forma di appello al cielo, chiama il popolo a rista­bi­lire le con­di­zioni della con­di­vi­sione del patto costi­tu­zio­nale. Non vi è dub­bio che, nella logica della costi­tu­zione repub­bli­cana, il refe­ren­dum sulle riforme rien­tra nel novero delle ecce­zioni costose. Esso evoca cioè la rispo­sta ad una rot­tura grave che si è veri­fi­cata nella rap­pre­sen­tanza con il varo di riforme scar­sa­mente moti­vate e poco condivise.

Alla sospen­sione del neces­sa­rio dia­logo sulle que­stioni isti­tu­zio­nali non c’è alcun rime­dio che il ricorso al popolo. Da stru­mento di con­te­ni­mento della volontà di potenza della mag­gio­ranza, il refe­ren­dum si con­verte però, nelle inten­zioni di Renzi, in un ple­bi­scito sul gra­di­mento della sua lea­der­ship e quindi in un vei­colo che fac­cia da traino alla sua cam­pa­gna elet­to­rale. Nella Fran­cia dell’Ottocento con Luigi Bona­parte, quello del 18 bru­maio, e poi nel dopo­guerra con il gene­rale De Gaulle, vigeva que­sta con­sue­tu­dine del ricorso al refe­ren­dum, visto come ple­bi­scito o giu­di­zio divino che rin­sal­dava il legame mistico tra un capo e la folla sal­tando ogni media­zione isti­tu­zio­nale.

Sulla scia degli illu­stri pre­ce­denti d’oltralpe, Renzi ribalta la giu­sti­fi­ca­zione costi­tu­zio­nale del refe­ren­dum. Fa appro­vare in sedute not­turne, e anche con un’aula deserta, le sue riforme per­ché poi ci sarà il refe­ren­dum a con­fer­marle, pena­liz­zando le sorde resi­stenze della palude alla velo­cità del capo. Così però il refe­ren­dum si con­verte da mezzo garan­ti­stico per la mino­ranza in uno stru­mento del governo che se ne avvale per vio­lare le pre­ro­ga­tive del par­la­mento e sta­bi­lire una inde­bita con­nes­sione con il popolo, invo­cato a gra­dire con un si o un no.

Con appena il 25 per cento dei voti, che una legge elet­to­rale inco­sti­tu­zio­nale ha però tra­mu­tato in mag­gio­ranza asso­luta dei seggi, Renzi impone le sue riforme e mostra così il volto di una demo­cra­zia già sfi­gu­rata dall’abuso del potere. Emerge, in nuce, una palese crisi costi­tu­zio­nale, che non potrà non inter­ro­gare anche i custodi della carta. Comun­que, c’è un pre­ce­dente nella sto­ria euro­pea che occorre richia­mare. Il gene­rale de Gaulle faceva di testa sua le riforme isti­tu­zio­nali. E poi cer­cava la con­ferma per le sue scelte soli­ta­rie in un refe­ren­dum nel quale spen­deva tutto il cari­sma per­so­nale del lea­der. Anche nel 1969 egli atten­deva una age­vole rati­fica popo­lare del suo sacro cari­sma che aveva varato grandi riforme delle isti­tu­zioni. E però il ple­bi­scito non diede l’esito spe­rato. Il gene­rale umi­liato se ne tornò a casa abban­do­nando per sem­pre l’Eliseo. Anche allora in discus­sione era una riforma del senato. I gufi, nel loro pic­colo, si organizzano.

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