Renzi e lo sgabuzzino delle scope

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 5 settembre 2014

Renzi è conosciuto e riconosciuto quale ‘campione’ della comunicazione. I suoi collaboratori più stretti ripetono (in pubblico, tra loro, a se stessi) che sono dei fenomeni dello storytelling, dell’hashtaggismo, dei claim, ecc. Nicodemo ha già messo in fila 140 caratteri tutti assieme per invocare la disintermediazione (ossia che Renzi accorci la strada tra lui, gli elettori e l’opinione pubblica, e molli le rappresentanze politiche, sociali e i corpi intermedi: in sostanza parli direttamente al popolo). Renzi stesso non va ad alcun appuntamento del tipo congressi sindacali, workshop degli industriali, meeting politico-culturali e si limita a blitz in oratori, scuole, mercati rionali, campi scout, partite di calcio, tornei di battimuro. Una linea di comunicazione che prevede l’uomo solo al comando quale unica modalità operativa, con messaggi direttamente rivolti al popolo, lunghissimi piani-sequenza sul protagonista, secchiate in testa direttamente via web, tweet mattutini e non solo, storytelling sino a estenuarsi, gelatai in mondovisione. Uno schema comunicativo ridotto all’osso insomma: l’emittente e il ricevente, il resto è noia. La rete che si riduce a un filo sottilissimo teso da Palazzo Chigi al mondo intero. Argomentazioni difficili e complesse che si stemperano nell’invocazione di storytelling e narrazioni. Dove la storia (quella del claim della Festa: “che storia, il futuro!”) diventa un raccontino a vignette, il futuro un radioso domani o, in alternativa secca, la barbarie, il presente un esclamativo ‘adesso!” che diventa “poi!”, un incessante rinvio prodotto da annunci ‘sparati’ senza una strategia visibile. Lo storytelling schiaccia la temporalità nel mero istante in cui il Capo proferisce verbo.

Per questo i comunicatori PD mi meravigliano. Sembrano davvero convinti che uno schema si riduca soltanto all’Uomo che parla al Popolo, e lo teorizzano pure. Un riduzionismo che fa paura. Per di più invocando presunti flussi di feedback a condire la pantomima (perché non mi si venga a dire che il patto per la scuola è sul sito ‘passodopopasso’ in effettiva attesa di suggerimenti e di dibattito: è morto il dibattito nel PD e nel Governo, perché rianimarlo nel Paese?). Mi meravigliano, dicevo, perché sembrano ignorare la complessità dei flussi di comunicazione, il ruolo delle spinte retroattive, la necessità (più che l’opportunità) di fare centro per animare un efficace confronto pubblico, di distendere una rete di contatti veri, effettivi, attivi, operativi, non solo passivamente riceventi. Non c’è una stanza dei bottoni della comunicazione politica. Non è mai esistita. Chi pensa di manovrare da una stanza siffatta, rischia di inforcare uno sgabuzzino delle scope e restarvi prigioniero. I comunicatori PD sembrano ignorare che l’uomo solo al comando è una macchietta che alla lunga stanca, mentre la paradossale efficacia di comunicare è legata prima di tutto all’ascolto, e ancor più al dialogo. Ben più che sparare hashtag a raffica, sin da quando siamo ancora assonnati in metro. Si facciano domande invece di dare risposte a tutto e su tutto. Ci si mostri anche dubbiosi e riflessivi, non solo portatori di verità vera. Tutti i Grandi Politici dialogano, e nel dialogo si rafforzano. Tutti domandano prima di rispondere o di tentare una risposta. Perché per essere uno di Noi, non puoi essere l’Unico. Per fare Popolo non puoi essere il Solo. Soprattutto a sinistra! E non puoi fare il solista. La band prima o poi ti molla. E non c’è alcun fortunoso esito paradossale a tentare di garantire la socialità comunicativa spingendo nel verso opposto! Semplicemente si resta da soli, circondati da yes man pronti a mollarti alla prima burrasca. E lo faranno, ti giuro che lo faranno!

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