Fonte: il Simplicissimus
Anna Lombroso per il Simplicissimus – 4 agosto 2014
Chi va a Delfi per raggiungere il tempio di Apollo si sobbarca una bella camminata, magari sotto il sole cocente tanto che gli viene da implorare dalla Pizia un bell’acquazzone. E così succede in tutti i siti archeologici, storici, monumentali. A Roma no, a Roma gli utenti del turistificio devono arrivare ai monumenti con il sedere incollato alla poltrona del bus multipiano, del torpedone di Roma Cristiana terrazzato, del pullman che li vomita davanti al tax free e aspetta, motori accesi, finchè completano lo shopping. Non si parla più dell’ipotesi di regolamentare e quindi limitare l’ingresso di mezzi pesanti, i mille e mille bus, i camion, i furgoni che senza più nessun orario, soffocano strade e vicoli. E dai Lungotevere a Villa Borghese, da Colle Oppio a Villa Celimontana flotte di mezzi turistici sostano totalmente incontrollati e grazie al carisma pop di Papa Francesco è in corso una specie di Giubileo perenne, in totale dispetto della pianificazione dei parcheggi di bus varata da Rutelli nel 2000.
Non ne parla il nuovo Piano Generale del Traffico Urbano che aderisce entusiasticamente all’ideologia dello sfruttamento intensivo della città ad uso turistico e ludico. E che deve essere proprio nell’indole del partito dei sindaci: ne fanno le spese Firenze, Venezia, Roma con la promozione di un consumo mordi e fuggi, anzi fotografa e fuggi, possibilmente seduti sulla pergola del maxi torpedone come sul ponte più alto della maxi nave, pronti a essere buttati in pasto al racket di locali e localetti, senza mai vedere da vicino bellezza e rovine, arte e disastri spesso imballati a tempi indefinito in balia di mecenati esosi. E non sembra accorgersi del collasso quotidiano del centro storico a causa della sua overdose di destinazioni d’uso: politico, amministrativo, ecclesiastico, diplomatico, commerciale. Mentre i residenti, proprio in virtù della loro condizione di “privilegio”, non sono in condizione di goderne e chi vive nelle periferie è colpito da una sempre maggiore emarginazione, se pensiamo che la “razionalizzazione del traffico” del Comune ha imposto il lungimirante taglio del 20 % dei mezzi che le collegano alla città. Né andrà meglio con la rivoluzione delle tre linee tranviarie promesse, se quella che si spingerà più lontano raggiungerà il Pigneto.
Qualche giorno fa un mio “bozzetto” sul sindaco Marino mi ha attirato molte reprimende, che ormai la critica viene immediatamente o assimilata al “disfattismo” o catalogata come appartenenza e adesione cieca alle più disparate “formazioni”. Ed è vero che il sindaco marziano che in nome di una rivendicata estraneità alla casta, aspirava a cambiamenti epocali, ha ereditato voragini di debiti e montagne di inerzie, inefficienze, corruzione, incapacità.
Ma la diversità dal contesto della politica ha preso la forma peggiore, quella della distanza dalla città e dai cittadini.
All’abisso del debito pubblico della città di Roma corrisponde l’immenso profitto accumulato negli anni dalla proprietà immobiliare: se i sindaci di Roma di destra, centro e sinistra avessero semplicemente fatto rispettare la legge nella compravendita delle decine di migliaia di case della sterminata periferia romana costruite dalla fine degli anni Settanta sui terreni espropriati dal Comune, oggi il Campidoglio non piangerebbero miseria con un debito di più di un miliardo e non piangerebbero anche migliaia di famiglie romane sotto sfratto (una ogni 191) non più in grado di pagare affitti saliti in media del 160 per cento a causa della speculazione.
Quando un cittadino compra a prezzo “politico” una casa popolare acquisisce si, la proprietà dell’immobile, ma ad una condizione, quella di non poterla rivendere al prezzo massimo che riesce a spuntare, accontentandosi di un prezzo calmierato. È successo così a Milano, Reggio Emilia, Torino, Firenze, Pisa, Venezia, Bologna, Parma, Cagliari, città dove la legge è stata rispettata. A Roma no. Vale quanto si dice dell’austerità: tutti ormai sanno che non serve anzi è controproducente. Tutti sanno che l’emergenza alloggi non si risolve costruendo altri quartieri in periferia, quando migliaia di appartamenti sono invenduti, quando oltre 100 delle occupazioni durano da almeno 12 anni. Eppure l’unico provvedimento invocato dal marziano convertitosi in sceriffo è stato quello di tagliare le utenze per tornare alla “legalià”, come se fosse legale e legittimo che cittadini della capitale si contendano con gli immigrati, le baracche cancellate da Petroselli.
E quando il comune di Roma paga fitti esosi alla grande proprietà edilizia, per l’esercizio delle sue funzioni, per gli uffici comunali, le scuole e molto altro. Grazie al consolidato sistema di governo della propaganda strombazzata in sostituzione del “fare”, il sindaco poco dopo la sua elezione ne ha reso noto l’elenco, per poi tornare su Marte, mentre 52 milioni di euro transitano indisturbati dalla casse comunali a quelle della proprietà edilizia, per beneficare l’ente Eur, dove aveva dominato incontrastato un fedelissimo di Alemanno, finito però in carcere, o il costruttore Scarpellini, che fornisce alloggio ai gruppi consiliari, temendo che se non stanno comodi subentri il disincanto democratico, o tre fondi immobiliari, in uno dei quali ci sta anche l’Inps. E pare che il Comune paghi per risolvere l’emergenza abitativa di una scrematura di indigenti più di 40 milioni di euro all’anno ai soliti noti, da Bonifaci, proprietario del Tempo, alla famiglia Totti. Ma alla rivelazione non è seguito nulla, anzi un Caltagirone è stato collocato nel ridimensionato consiglio d’amministrazione dell’Acea, forse a scopo dimostrativo, a significare che la strada della privatizzazione è spalancata.
I privati, sotto forma di investitori, liquidatori o mecenati piacciono anche su Marte. Così ci possiamo aspettare anche dal Comune lo stesso entusiasmo espresso dal Ministro Franceschini per l’offerta della Società Autostrade di “prendersi cura” dell’Appia Antica, che in fondo è una strada pure quella. In attesa di un autogrill alla Villa dei Quintili i nuovi patroni delle arti propongono l’Operazione Grand Tour, che, grazie a un munifico investimento dai contorni ancora imprecisi, immagina per l’Appia “un nuovo modello di gestione”, misto, immaginiamo, in modo da spodestare quella pattuglia di coraggiosi guidata dalla Paris, che in questi anni ha reperito magre risorse pubbliche ma ciononostante si è impegnata con abnegazione eroica per salvare la strada e mantenerla nostra, dei cittadini di Roma e di tutto il mondo.
Come direbbe Crozza, Roma è bella … ma non ci vivrei.