SALUTE, MEDICALIZZAZIONE E MORTE, SPUNTI DA IVAN ILLICH

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: Filoteo Nicolini

   Salute, medicalizzazione e morte, spunti da Ivan Illich.

 

   L’emergenza sanitaria ha spinto l’immaginario collettivo a mettere in primo piano la nostra percezione di salute, malattia, vulnerabilità, esposizione. L’epilogo doloroso di chi non ce l’ha fatta racchiude da sola l’angoscia di tanti; le modalità del trapasso, l’isolamento lontano dai cari, tutto ha agitato la nostra anima. Ci siamo interrogati, ciascuno ha formulato le sue domande. Davanti alla prospettiva della malattia e della morte, concreta o remota, ma pur sempre risvegliata nell’anima.

E’ la morte fenomeno esclusivamente fisico, riconoscibile da parametri e misurazioni strumentali, o nasconde il profondo mistero dell’esistenza, accanto a quello non meno enigmatico della nascita?  Spetta a noi illuminare quelle profonde zone d’ombra e portarle a coscienza. E’ il momento opportuno. Come è che siamo divenuti solamente un corpo da isolare, medicalizzare, intubare, e in casi infausti incenerire d’obbligo?  Al prezzo di che ci siamo allontanati dalla visione spirituale della morte? La nostra società come sta affrontando il tema, come si pone di fronte alla salute? Sono molte domande, e le risposte parziali e provvisorie richiedono vari approcci e caratterizzazioni, sempre evitando definizioni. Oggi ci occupiamo di uno studio che nel suo momento illuminò questi temi con luce propria, un saggio antropologico sul sistema di salute occidentale, le cui conclusioni fanno pensare. Esse vanno certamente aggiornate alla luce delle nuove esperienze e degli anni trascorsi, ma costituiscono uno scenario di fondo valido sul quale contrastare le nostre idee.

   In ogni epoca la salute e la morte hanno avuto risposte sociali e culturali diverse, in cui l’intervento medico si è fatto sempre più presente, al punto che la storia della medicina è in un certo senso la storia della medicalizzazione e della lotta contro la morte, secondo le illuminate idee e la ricostruzione di Ivan Illich (1925-2002) nel polemico saggio del 1975 “ Nemesi della medicina. L’espropiazione della salute” che riassumo, consapevole di certi toni graffianti e frasi lapidarie che l’Autore esprime. La prima parte è dedicata alla Iatrogenesi, a ciò che è causato dal medico e dalla medicina, e quindi le patologie e gli effetti collaterali, le complicazioni dovute a farmaci o trattamenti. L’impatto negativo dell’impresa medica della salute, a suo vedere, costituisce da sola una epidemia in espansione, laddove le sofferenze, le disfunzioni, le invalidità e l’angoscia risultanti dall’intervento medico ed ospedaliero rivaleggiano con le morbilità causate dai fattori ambientali, stili di vita e la cattiva nutrizione. Illich non esita a definire la Iatrogenesi come nuova epidemia che si diffonde inesorabilmente, e ne illustra  l’origine nella diagnosi e nel trattamento prescritto, sia per ignoranza, sia per errori di laboratorio, sia per intervenzioni chirurgiche non necessarie o sconsigliabili. Con lucidità, afferma che ogni contatto con l’impresa medica espone il paziente anche al pericolo di danni psichici, tra cui l’angoscia, la depressione, la sindrome ipocondriaca.

   Esiste inoltre la minaccia di espropriare la persona della sua dimensione umana di fronte alle sofferenze e al dolore, ora oggetto della competenza medica e i protocolli standard, mentre se ne smarrisce il significato di esperienza spirituale fondamentale di crescita ed apprendimento. Infatti, l’eliminazione del dolore, della malattia, delle patologie, è divenuta una  meta nuova che mai era servita come linea di condotta per la vita nella società. Il rituale medico ha trasformato il dolore, la sofferenza e la morte, dallo stato di esperienze vitali essenziali a cui essere soggetti inesorabilmente e fonte di meditate riflessioni sulla condizione umana, a una sequenza di ostacoli che minacciano il benessere e che obbligano il paziente a ricorrere senza pausa a consumi la cui produzione è monopolizzata dall’Istituzione medica.

   Illich dedica parte del saggio alla mutazione del dolore e la sofferenza dalla esperienza di prova intima e incomunicabile, a oggetto di manipolazione perché vista come reazione morbosa dell’organismo. Oggi la medicina interviene sul dolore e allo stesso tempo rende obsolete le virtù della compassione, del conforto e della consolazione.

 

   L’essere umano, organismo debole ma tuttavia dotato di potere di recuperazione, diviene fragile e sottomesso a una costante riparazione.    L’igiene tradizionale era costituito per una serie di regole che la persona stessa ed i suoi familiari e vicini potevano eseguire con abitudini sane e virtuose. L’azione personale è stata sostituita per codici con i quali gli individui sono ora soggetti a istruzioni emanate dai professionisti che assumono la gestione della fragilità. Si è ristretta, mutilata e paralizzata la sola possibilità di interpretazione e di reazione autonoma dell’individuo.

   Al di sopra di un certo livello, la somma di atti preventivi, diagnosi e terapie  dirette a malattie specifiche della popolazione riduce necessariamente il livello globale di salute della società intera perchè riduce quello che giustamente costituisce la salute di ogni individuo: la sua autonomia personale.

  E qui entra l’applicazione di etichette per le diverse età della vita umana. Questo etichettare finisce per essere percepito come “naturale”, e le persone sono o in gestazione, o sono neonate, o nell’eta infantile, o adolescenti, in menopausa, climaterio, o anziani giovani e così via. Quando si arriva a questo punto, la vida non è più una successione di età, ma una sequenza di periodi ognuno dei quali esige un particolare consumo e di attenzione terapeutica. Ad ogni fascia di età un medio ambiente ottimo: la culla, il luogo di lavoro, l’asilo per anziani. In ognuno di questi luoghi l’individuo viene istruito perché segua il comportamento che è indicato da pediatri, pedagoghi, ginecologi, internisti, geriatri.

   In una prima sintesi, il saggio presenta il sistema di salute come una vasta organizzazione che coinvolge vari aspetti della società, mettendone in luce l’ideologia, l’ipertrofia e le numerose manipolazioni, tra cui risalta quella dell’associata industria dei farmaci. Segnala l’esigenza che la valutazione dell’impresa della medicina moderna e tecnologica sia compito e dovere politico, dunque di tutti i cittadini soggetti attivi e non più oggetti, nella consapevolezza che essi abbiano il diritto alla libertà di scelta del loro rapporto con la salute. Ai professionisti esige invece la riscoperta di una medicina integrale e preventiva, e l’ abdicazione dal monopolio culturale che oggi impedisce che le conoscenze e la comprensione siano condivise socialmente.

  Una parte del saggio è poi dedicata all’epilogo della morte e delle sue cambianti figurazioni artistiche. E’ bene riandare in sequenza alle immagini che accompagnano le diverse epoche culturali occidentali, quando siamo passati collettivamente dalla Danza dei Morti nel secolo XIV alla Danza Macabra dello scheletro nel Rinascimento, al vecchio dissoluto che trapassa nel conforto della sua camera nel periodo del Vecchio Regime, alla battaglia ingaggiata dal praticante contro gli spettri della peste e della fame nel secolo XIX, alla medicina del secolo XX personificata dal medico che si interpone tra il malato e la morte, alla morte del paziente sotto trattamento intensivo in ospedale.

   Durante l’Età Media la morte era vista come intervento intenzionale della Divinità; al capezzale del moribondo non è la morte che appare ma l’angelo e il demonio che si disputano l’anima. Nel periodo successivo la morte passa ad essere parte integrante e ineluttabile della vita. Diviene entità autonoma e distinta, insieme all’anima immortale, la divina provvidenza, gli angeli e i demoni. Personaggio in sé stessa, rivendica i suoi diritti prima come messaggera del Divino, poi con diritti sovrani che le derivano dall’essere una forza della natura dotata di frenetico abbraccio. La morte da presenza latente in tutti gli istanti della vita, diviene ora accadimento di un solo istante.

         Quindi evolve l’immagine: la morte è dapprima vista quale frutto dell’intervento o disputa divina, passa poi ad essere accadimento naturale con il sorgere delle prime conoscenze scientifiche e come forza della Natura, ancora come morte opportuna quando sopravviene in persone anziane e in buona salute, per divenire infine l’atto terminale di malattie specifiche certificate dal medico. Tutto ciò nella misura in cui l’essere umano si distingue sempre più dal mondo esterno per individualizzarsi. Le nuove immagini delle tavole di anatomia e le dissezioni pubbliche contribuiscono a ridurre il corpo al livello di oggetto.

  Francis Bacon (1561-1626) non a caso parlava del prolungamento della vita come il nuovo dovere dei medici, la medicina doveva avere come missione la preservazione della salute e la cura delle malattie, il prolungamento della vita, esaltando quest’ultimo compito come il più nobile. Non è di poco peso l’ideale baconiano che ispirerà ricerca, formazione e pratica, volto a soddisfare le mutate condizioni in cui la scienza si fa conoscere e conquista adesioni.

   L’ascensione della famiglia borghese finirà per porre fine all’uguaglianza davanti alla morte, nel senso che i possessori di mezzi economici cominceranno a pagare per farne retrocedere il momento decisivo. Appare una clientela decisa a retribuire tale servizio, l’uomo ricco si rifiuta di morire presto, vuole andare fino all’estremo delle sue forze e trapassare in piena attività. Non accetta la morte, a meno che essa lo trovi in discreta salute, avanzato negli anni e in piena attività. Appare il valetudinario, colui che pur non essendo malato, è di salute cagionevole o perennemente in apprensione, magistralmente descritto da Moliere. E’ la prima fonte del potere economico del medico. Nasce la nuova concezione della malattia che si prolunga indefinitamente e diviene lo stato di salute gestibile al quale la vecchiaia può aspirare.

   La terapia medica prolungata è vista come segno di distinzione; invece le malattie che decimano i poveri si possono definire afflizioni non curate,  morte non naturale. Da allora la morte naturale sarà appannaggio di una classe sociale che possiede i mezzi per morire in condizione di paziente con i conforti costanti della medicina. Allo stesso tempo, la morte si trasforma in un numero pletorico di cause specifiche responsabili del trapasso clinico. Non c’è più la “morte”, ci sono le “morti” nella loro varietà e differenziazione.

  L’ideale della morte opportuna e assistita si fa strada nelle rivendicazioni sindacali e nel secolo XX come diritto civico e come rivendicazione di uguaglianza di consumo dei servizi medici. La società, almeno in principio, diviene responsabile per la prevenzione della morte dei suoi cittadini membri, mentre il trattamento medico, sia esso efficace o no, diviene dovere del medico. E il consumo di attenzione medica e farmaceutica diviene il palliativo per la insalubrità del lavoro e delle città, causato da varie forme di inquinamento industriale e da stili di vita che predispongono alla vulnerabilità.

   Se nei secoli passati la morte aveva una spiegazione sopra sensibile, laddove interveniva l’Angelo della morte, o la Parca che tagliava il filo, o un destino soprannaturale segnato da tempo, ora si è trasformata in un accadimento in cui agisce una forza naturale a cui l’individuo soggiace. La minaccia rappresenta una sfida per il medico che ora si interpone tra il paziente e la morte, e la morte perde l’intimità e l’immediatezza che possedeva nel passato. Nelle immagini più recenti del secolo XX si vedono i due avversari, medico e morte, lottare ai due lati del letto del paziente, oppure il medico strappando una donna alla morte, o disarmando quest’ultima della sua falce.

  In altre, un medico in camice bianco si lancia contro lo scheletro e lo schiaccia come una mosca con due tomi di terapia medica, oppure lo rinchiude in una gabbia, o la scalcia nel posteriore. Più che il paziente, è il medico che lotta contro la morte.

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   Sintetizzo qui per completezza qui le conclusioni che Illich trae. L’impresa medica ufficiale minaccia la salute integrale, nel senso che la colonizzazione della vita intera allontana ed estranea i mezzi della terapia, in quanto il suo monopolio professionale impedisce che la conoscenza scientifica autentica sia condivisa. L’impresa medica presenta come sua giustificazione il potere di fornire ai suoi pazienti, ovvero tutti i cittadini, terapie e medicine che essi stessi hanno appreso a desiderare. Il consumatore di cure mediche diviene passivo utilizzatore, impotente per curarsi e per curare i suoi simili. Altre conclusioni segnalano che la medicalizzazione sospinta, quando il medico diviene colui che per definizione tratta il paziente per tutta la vita, al di sopra di un certo livello toglie all’essere umano quelle caratteristiche che possiamo definire salutari. Inoltre, la medicina diviene una officina di riparazioni e manutenzione destinata a conservar in funzionamento il paziente come consumatore dipendente. Tralascio altri pur importanti aspetti sull’impatto psicologico dei segni e simboli del rituale medico, dove la freddezza realista indebolisce il paziente, ne allenta la volontà di vivere, rende insopportabile l’angustia del trapasso.

  Va senza dire che grazie a Dio ci sono approcci differenti della cura medica ancora oggi minoritari ma degni di attenzione, che qui non vengono considerati. Vorrei infatti occuparmi di quegli aspetti rilevanti per la maggioranza delle persone oggi colpite dall’immaginario dell’emergenza. Il tema della morte, in particolare, è rilevante oltre misura, in quanto la carenza della visione spirituale va di pari passo con la forza della narrazione medica giornaliera, dei suoi bollettini numerici e delle statistiche.

    Ecco, si potrebbe continuare a lungo indagando ancora sulle radici culturali dell’immagine cambiante della morte e del rapporto che nutriamo con essa. Assistiamo oggi ad un esorcismo laico profondamente radicato nei suoi rituali di massa, volto a lottare contro presenze sensibili e misurabili, dunque in un ambito materiale. Verrebbe da dire che stiamo assistendo qua e là alla sepoltura dell’essenza spirituale della morte, che ne riconosciamo la valenza sopra sensibile appena come eco sbiadito di educazione religiosa. E’ il familiare aspetto del divario tra il mondo fisico ed il mondo morale. C’è chi ironicamente ha osservato come nella attuale pandemia la Chiesa si affidi alla Scienza, mentre la Scienza stia sperando in un miracolo.

   La cosa più importante da segnalare a mio avviso è la riscrittura della coscienza del corpo fatta dalla scienza medica, tesa alla corretta espressione linguistica del materiale corporale che la medicina descrive in regime di monopolio, per poi intervenire su di esso. Si materializza il corpo del paziente allo stesso modo degli oggetti percepibili nel mondo esterno, osservabili e misurabili. Ivan Illich con sarcastica espressione parla di ortopedizzare la coscienza corporale.

   Questo materialismo va visto con mente critica, ma d’altra parte va detto che esso è stato un momento necessario di evoluzione nella storia dell’Umanità. Non possiamo rifiutarlo e dire che esso è una aberrazione, il materialismo deve essere sopra tutto compreso. Il materialismo teorico consiste nel fatto che l’essere umano si consacra ad una esatta e coscienziosa indagine dei fatti esterni, ma finisce per smarrirsi in un certo senso in questo mondo pletorico di fatti. Esso arriva a concludere che non ci sia altra realtà oltre il mondo dei fatti sensibili, e che ogni cosa che appartenga all’anima sia dopo tutto prodotto del corso degli eventi materiali. Va detto che una tale concezione della vita è stata necessaria durante una certa epoca, ma il pericolo che aleggia sull’evoluzione futura è la rigida aderenza a tale visione, laddove altri contenuti devono entrare nella coscienza.

  Il saggio di Illich ha tra altri pregi quello di avvicinarci alla scienza materialistica che soggiace l’Istituzione Medica e l’enigma della vita e della morte. La conoscenza umana diviene distorta a pura apparenza quando afferma di essere in grado di trattare con l’intero mondo dei sensi, incluso la nascita e la morte. E poiché mescola nascita e morte nella sua visione generale, anche la sua visione generale del mondo dei sensi appare insufficiente.

Filoteo Nicolini, 2020

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