Senza moneta nazionale non c’è democrazia

per Gabriella
Autore originale del testo: Enrico Grazzini
Fonte: MicroMega
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di Enrico Grazzini 11 dicembre 2014

In Europa, e soprattutto in Italia, si stenta ancora a comprendere il valore decisivo della moneta per l’economia, la politica e la democrazia. Purtroppo l’errore è condiviso anche da gran parte della sinistra. Tutti capiscono (almeno apparentemente) che non c’è democrazia politica senza stato democratico, cioè senza istituzioni statali che garantiscano la democrazia e che rispondano alla sovranità popolare. Ma ancora pochi comprendono che non esiste uno stato senza una moneta nazionale. Svolgiamo il sillogismo: non esiste una democrazia senza stato; e non esiste uno stato senza moneta. Quindi non esiste la democrazia se non c’è una moneta nazionale.
Purtroppo paradossalmente solo i partiti populisti e quelli sciovinisti e anti-democratici sembrano avere ben compreso questa verità semplice e inoppugnabile.

La moneta rappresenta la comunità nazionale. Dal punto di vista economico, la moneta è il simbolo più concreto dell’unità e della forza, e anche del benessere di una nazione. Non a caso la prima cosa che una nazione si dà appena nasce è una moneta nazionale.

La lira è stata la valuta italiana dal conseguimento dell’unità nazionale, nel 1862, fino al 2001. Dal 2002, con l’euro, l’Italia non ha più una sua moneta. E già dal 1981 – da quando sono stati decisi il divorzio tra governo e Banca Centrale e l’indipendenza della Banca d’Italia, che non poteva più assorbire il debito statale emettendo moneta – il debito pubblico italiano era cominciato a dipendere dai mercati finanziari. Da allora il debito nazionale è schizzato verso l’alto a causa degli elevati tassi di interesse richiesti dai grandi investitori istituzionali (soprattutto esteri). L’Italia si indebita con una moneta che non emette e non controlla, con una moneta estera, l’euro, che lo stato deve comprare sui mercati finanziari indebitandosi.

A causa del fatto che lo stato italiano non ha più una moneta, e che non ha più una Banca Centrale autonoma – la quale, in coordinazione con il governo e le istituzioni politiche democraticamente elette, potrebbe acquistare illimitatamente i titoli di debito statali “stampando moneta nazionale” – i titoli di debito dello stato italiano sono oggi considerati da Standard & Poor’s un gradino sopra i cosiddetti titoli spazzatura, ovvero i titoli a rischio di fallimento e quelli che pagano un interesse più alto. Solo grazie alla copertura, attuale e soprattutto potenziale, della BCE, i titoli italiani di debito pubblico non vengono definitivamente declassati, e hanno ancora rendimenti relativamente contenuti – che sono comunque già insostenibili, perché superiori al tasso di crescita italiano e al tasso di inflazione.

L’economia americana è rappresentata dal dollaro; quella cinese dal remnimbi (letteralmente: la moneta del popolo). Le loro valute si contenderanno il primato globale. Il Giappone non si priverebbe mai dello yen, la Gran Bretagna difende con i denti la sua sterlina ex-imperiale, l’India la sua rupia, il Brasile il real, la Russia il rublo, Israele lo shekel, la Svezia e la Norvegia hanno le loro corone, etc. etc. La Germania ha ceduto (apparentemente) il suo marco all’Europa solo perché in cambio ha imposto che l’euro e la BCE fossero fondati su criteri analoghi (per meglio dire: quasi identici, e forse ancora più severi) a quelli che reggevano rispettivamente il marco e la Bundesbank. Quindi non ha ceduto sovranità: la ha estesa all’Europa.

Invece lo stato italiano ha ceduto il controllo della moneta al governo tedesco: è infatti il governo tedesco di centrosinistra a fare gli esami ai governanti italiani sulla politica economica. Angela Merkel e Sigmar Gabriel (la premier democristiana e il vicepremier socialista) danno lezioni di austerità all’Italia per rimettere in sesto il nostro bilancio pubblico in modo tale che il nostro paese sia in grado di ripagare i debiti contratti con le grandi banche estere (tedesche, francesi, anglosassoni). Nonostante gli enormi sacrifici, il governo Renzi rischia sempre di più che l’Italia venga commissariata così come lo è stata la Grecia. Per Renzi sarebbe il disastro e per l’Italia una tragedia greca.

Siamo in una situazione analoga a quella dei Paesi sudamericani? No, sul piano puramente monetario lo stato italiano è in una situazione peggiore, perché in sud America gli stati hanno una moneta nazionale agganciata a una valuta forte, il dollaro. Noi non abbiamo neppure più una moneta nazionale. La nostra moneta è emessa e controllata direttamente dalla BCE che non risponde allo stato italiano. Il maggiore azionista della BCE, ça va sans dire, è il governo tedesco.

Per molti aspetti la situazione è paradossale. E’ come se ad allenare il Milan ci fossero i dirigenti dell’Inter. E’ come se a capo di Google ci fossero i manager della Apple. Secondo voi Merkel-Sigmar-Shauble si farebbero dettare legge da Matteo Renzi e da Pier Carlo Padoan? Non esiste nessuna reciprocità, ma subordinazione del governo italiano (e del popolo italiano) al governo bianco-rosa tedesco. In nome dell’Europa. E’ superfluo dire che senza moneta nazionale, indebitati in valuta estera, i cittadini italiani non hanno più voce in capitolo sulla loro economia.

Senza alcuna sovranità monetaria e creditizia, la politica nazionale conta poco o nulla. Se la politica monetaria ed economica è condizionata dalla grande finanza estera, ed è diretta dalla BCE e dalla UE, allora anche i cittadini comprendono che è (quasi) inutile votare. Qualsiasi governo di qualsiasi premier, Monti, Letta Renzi e Berlusconi, dovranno seguire le stesse linee dettate dall’esterno. Si diffonde l’antipolitica, l’indifferenza o la protesta cieca. Se l’opposizione non comprende le radici dell’antipolitica e non la guida, le derive possono essere molto pericolose, in Italia come in Europa. Il rapido successo di Marine Le Pen in Francia, di Nigel Farage in UK e di Matteo Salvini in Italia costituiscono sinistri campanelli d’allarme.

Solo con forme (necessariamente solo parziali) di sovranità monetaria nazionale è possibile sfuggire all’abbraccio mortale dell’euro e della Europa dell’euro di Juncker. Da qui la proposta keynesiana elaborata da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Stefano Sylos Labini e dal sottoscritto di introdurre una nuova moneta statale/fiscale parallela all’euro (ma ancora dentro l’euro) per uscire dall’attuale trappola della liquidità (1).

Difficilmente l’economia italiana riuscirà a risollevarsi, e la democrazia italiana riuscirà a salvarsi, senza realizzare urgentemente nuove forme di autonomia monetaria, senza nuove forme di sovranità e autonomia nazionale. Senza alcun controllo sulla moneta e sul credito, lo stato non ha più alcuna possibilità di condurre una politica autonoma di bilancio, di spesa per il welfare e di investimenti per le politiche infrastrutturali e industriali.

La moneta è il sangue dell’economia, porta ossigeno e porta vita. Se la moneta non circola – e oggi non circola – perché le banche restringono il credito, l’economia muore e l’occupazione crolla, e si entra facilmente in recessione. Le banche commerciali creano il 95% della moneta grazie al credito. Ma le banche diminuiscono i crediti quando l’economia va male (2). Se la moneta non scorre e diventa merce sempre più rara e preziosa, tutti cercano di tenersela per sé e di risparmiarla; se la moneta non circola i prezzi crollano e tutti rimandano gli acquisti e i consumi. E’ la trappola della liquidità, è il processo deflattivo ben descritto e studiato da John Maynard Keynes. Allora lo stato dovrebbe intervenire per immettere nuova moneta.

La BCE annuncia continuamente nuove e straordinarie misure per combattere la deflazione. Ma la Germania e gli altri paesi creditori del nord Europa sono contrari a ogni forma di cooperazione: quindi la BCE è sostanzialmente paralizzata. Il Quantitative Easing che ha annunciato, forse si farà nel 2015 ma sarà insufficiente (troppo tardi e troppo poco) a portarci fuori dalla crisi, perché consiste nell’acquisto da parte della BCE di titoli di stato detenuti dalle banche, assicurazioni,ecc. Non è detto che i soldi arriveranno realmente all’economia reale. Ne arriverà solo una parte. Fino a quando i consumi non ripartiranno, fino a quando l’occupazione non tornerà a crescere, non ci saranno investimenti e ripresa.

La BCE, guidata da una sorta di direttorio nominato dai governi, decide e deciderà del futuro dell’Europa. Che c’entra la democrazia in tutto questo? La BCE è un’istituzione formalmente privata nel cui capitale figurano le banche centrali dei 18 paesi dell’eurozona: i maggiori azionisti sono Germania (18%), Francia (14%), Italia (12%) e Spagna (9%). In pratica gli organismi dirigenti sono nominati dai governi, anche se sono formalmente indipendenti. E La Germania ha un ruolo assolutamente prevalente. Insomma l’Italia non ha più la sua moneta e conta come il due di picche nelle decisioni di politica monetaria.

Soprattutto per questo motivo l’Italia sta franando. Il nostro Paese si sta purtroppo sgretolando in nome di una Europa che non esiste come democrazia e neppure come stato, ma esiste invece come euro, come moneta estera, e come debito dovuto alla grande finanza, alle grandi banche estere, ben rappresentate in questa Unione Europea dal presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker.

Democrazia ed economia nazionale sono a rischio

La democrazia italiana è a rischio per molti motivi. Gli scienziati politici indicano molti mali: una classe politica in gran parte corrotta (ma non tutta); partiti pigliatutto senza più ideali e ideologie ma basati sulla leadership esclusiva di una sola persona (Berlusconi, Renzi, Grillo, ecc); istituzioni pubbliche governate quasi sempre senza criteri trasparenti e senza democrazia, spesso da cattivi politici, da burocrati ottusi o da clientele di potere; grande criminalità economica mafiosa; conflitto di interesse tra potere dei media (Berlusconi), della finanza (Berlusconi) e della politica (Berlusconi); media non indipendenti ma dipendenti dalle banche e dai poteri forti; sindacati passivi e in buona parte complici del governo; società civile non sufficientemente attiva, autonoma e organizzata; medio-basso livello di istruzione della popolazione; elevata età media e quindi scarso interesse verso la politica attiva; gestione assurda e perfino criminale dell’immigrazione senza integrazione. Eccetera , eccetera, eccetera.

Ma paradossalmente nessuno degli scienziati politici si rende conto che uno dei mali principali della politica italiana è che… non abbiamo più una moneta! La nostra politica monetaria ed economica è decisa all’estero, a Francoforte e a Berlino.

Anche l’economia italiana sta scivolando paurosamente verso il basso. Ci stiamo… sudamericanizzando! Fiat è ormai una impresa americana con sede legale in Olanda, sede fiscale in UK e sede reale negli USA. Mediobanca sta vendendo le partecipazioni strategiche al miglior offerente; MPS e Unicredit dipendono sempre di più da soci esteri. Rimangono solo pochi presidi nazionali assediati (Cassa Depositi Prestiti, Fondazioni bancarie, ENEL, ENI, ecc). Sono quasi tutte aziende statali o a partecipazione pubblica, e a rischio di privatizzazione e colonizzazione da parte del capitale estero.

Il capitalismo italiano delle medie imprese attive sui mercati internazionali sta soffocando per mancanza di credito, oppure va all’estero dove trova soldi e mercati. L’Italia è in agonia. Questi i numeri drammatici. 11% di caduta del PIL dall’inizio della crisi ad oggi; meno 25% di produzione industriale; 13% e oltre di disoccupazione; metà dei giovani senza lavoro, 2100 miliardi di debito pubblico costantemente in crescita. Un disastro totale!

Con l’Unione Bancaria, lo stato italiano non avrà più alcuna possibilità di condurre una politica del credito. Diventerà impossibile finanziare la crescita con il risparmio nazionale e con banche nazionali. Il risparmio italiano sarà gestito da grandi banche sovranazionali “troppo grandi per fallire” sotto il controllo della BCE.

Il problema dell’euro non riguarda solo le classi popolari e le classi medie ma il futuro della nostra nazione, del capitalismo italiano e delle classi dirigenti nazionali. L’euro – che è un regime di cambi fissi per cui è impossibile la svalutazione esterna – impone la cosiddetta svalutazione interna: ma questa non riguarda solo il lavoro ma anche il capitale. L’euro è un problema nazionale. Il capitale nazionale vale sempre di meno. La moneta unica soffoca il capitalismo italiano e l’industria nazionale. Può giovare solo a poche imprese e a banche giganti che si finanziano all’estero. Non a caso il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, è spesso più critico sull’euro e sulla UE del Manifesto, il giornale della sinistra radicale (ma europeista).

Moneta statale per nazionalizzare il debito pubblico

Come bene comune la moneta dovrebbe essere creata e gestita dalla comunità nazionale. E lo stato, in quanto rappresentante della comunità nazionale, dovrebbe avere il ruolo primario nella emissione e nella gestione della moneta. Invece assistiamo al paradosso che lo stato si sottomette a una moneta estera e al mercato finanziario gestito prevalentemente da una quindicina di grandissime banche d’affari, da hedge fund, fondi pensioni priovate, ecc, ecc.

La nuova moneta fiscale che proponiamo risolve un problema duplice: da un lato verrebbe creata autonomamente dallo stato italiano che quindi si sottrarrebbe al dominio della UE; dall’altro, proprio perché emessa dallo stato e non dagli istituti di credito (che non fanno credito), sottrarrebbe l’economia italiana al dominio delle banche e all’impotenza della BCE nel gestire la trappola della liquidità. Una nuova moneta espressa dallo stato ristabilirebbe, da una parte, una quota di sovranità nazionale verso la UE e, dall’altra, la sovranità della politica rispetto ai grandi investitori istituzionali, alle “banche troppo grandi per fallire”.

Prendiamo esempio dal Giappone: la Banca Centrale giapponese emette la sua moneta e il debito pubblico è almeno due volte quello italiano, il 260% rispetto al PIL, ma è emesso in moneta nazionale ed è detenuto quasi esclusivamente dai cittadini giapponesi. Uno stato che si indebita in moneta nazionale non può mai fallire; e uno stato che si indebita con i suoi cittadini non deve pagare ai mercati finanziari tassi di interesse elevati. In Giappone il tasso per i titoli di stato decennali è inferiore allo 0,5%. Occorre quindi seguire questo esempio virtuoso per uscire dalla crisi.

Uscire dall’euro è attualmente improponibile

Per rifondare l’Europa, cioè per costruire forme democratiche, flessibili ed efficaci di cooperazione europea – e non per costruire gli Stati Uniti d’Europa, che sono una sciocca illusione al di fuori della realtà e della storia – occorre superare Maastricht, il trattato che ha fondato la moneta unica e la BCE. E dal quale è derivato il disastro europeo, la devastante crisi economica, lo svuotamento delle democrazie nazionali, la crisi delle sovranità nazionali e il dominio reale della grande finanza sull’economia reale, sul lavoro e sull’industria. Una moneta unica in una Europa che si divide sempre di più non ha senso.

Il problema è che uscire dall’euro è come fare entrare il dentifricio nel tubetto. Il referendum sull’euro proposto dal M5S, ammesso che riesca a passare e che sia fattibile sul piano giuridico, è benvenuto perché finalmente si discuterebbe con la popolazione dei danni e dei benefici della moneta unica. Ma l’uscita unilaterale dall’euro quasi certamente provocherebbe molti più danni che benefici.

Non è possibile uscire unilateralmente dall’euro senza danni incalcolabili. L’euro è infatti la seconda valuta mondiale di riserva detenuta da Cina, India, Russia, ecc; e quindi ci troveremmo contro i maggiori paesi del pianeta. I contratti privati con l’estero conoscerebbero contenziosi a non finire. Inoltre gran parte della popolazione italiana (circa la metà secondo i sondaggi) sarebbe contraria temendo per i suoi risparmi (3).

L’uscita concordata dall’euro, come presuppone Alberto Bagnai, è nella fase attuale una bella illusione intellettuale pensata a tavolino (magari si potesse così facilmente!) ma è fuori dalla realtà. L’euro non si scioglierà mai in maniera concordata dopo una pacifica discussione tra i governi europei.

I governi del sud Europa difficilmente si alleeranno per ritirarsi dall’euro, dal momento che sono costantemente sotto attacco da parte dei mercati internazionali. E’ però improbabile che l’Europa possa continuare a suicidare così la sua economia. L’euro è una costruzione fragile che provoca depressione e che ai primi venti di crisi potrebbe cadere rovinosamente provocando il caos finanziario globale.

Molti economisti vorrebbero che una nuova Bretton Woods europea si discutesse di riformare l’euro, con o senza la Germania (4). L’iniziativa è lodevole in astratto, e, come gli appelli contro l’austerità portati avanti per esempio dagli economisti sul Financial Times (5), o dagli economisti che fanno capo a Sbilanciamoci.info, hanno il grande merito di attirare l’attenzione contro le politiche suicide e controproducenti della UE. Però sono scarsamente efficaci, o del tutto inefficaci, sul piano pratico perché presuppongono che questa UE voglia e possa rinsavire e riformarsi.

Le proposte inspirate a un “riformismo moderato” riguardo all’Europa si sono dimostrate purtroppo inutili. Presuppongono che i governi decidano di liberarsi della tutela della Germania e della UE e riescano in qualche modo a riformare l’euro. Ma è utopistico credere che i governi europei riescano ad agire in maniera concordata per risolvere la crisi. E’ una politica attendista e illusoria. Affidarsi all’iniziativa dell’Europa e dei governi europei per cercare di risollevarsi è come se l’impiccato cercasse di sfuggire all’impiccagione stringendo il cappio al collo.

Dopo anni di crisi bisognerebbe avere compreso che se la UE e la Germania insistono sull’austerità, sul pareggio di bilancio, sul Fiscal Compact e sulle “riforme strutturali”, sulle privatizzazioni e il taglio del welfare, è perché non vogliono cambiare. Non saranno gli intellettuali di sinistra o di destra o di centro a fare cambiare loro idea.

Purtroppo dai vertici della politica europea non ci si può attendere più nulla se non la prosecuzione della crisi. Sperare nella possibilità che Unione Europea e governi riescano a farci uscire da questa crisi perpetua è politicismo ingenuo. Significa soprattutto sottovalutare il valore e le potenzialità di una azione autonoma nazionale e della democrazia dal basso. Sono il popolo e l’opinione pubblica italiana che, con il loro grido di dolore, con le proteste e il voto, dovrebbero e potrebbero spingere la politica, i partiti, il Parlamento e il governo a trovare una strada autonoma di salvezza, e urgentemente.

Moneta fiscale a favore dell’economia reale

Se si vuole uscire dalla crisi, diventa necessario creare una moneta nazionale parallela all’euro: una nuova moneta dentro il sistema dell’euro, ma anche oltre l’euro. Restaurare anche solo parzialmente la sovranità monetaria è una condizione indispensabile (anche se non sufficiente) per fare riprendere l’economia e salvare la democrazia, assediata dalle istituzioni internazionali che nessuno ha eletto (Commissione UE, BCE, FMI).

Spesso i grandi intellettuali apologeti della Europa unita o della Federazione Europea (?), come Jurgen Habermas, Thomas Piketty, Etienne Balibar, accusano i popoli di volere regredire verso il nazionalismo. Ma non si accorgono che la democrazia è ancora presente e forte, è ancora possibile (anche se mutilata e sofferente) solo dentro i confini nazionali. Non c’è invece democrazia a Bruxelles e nella Commissione Europea. Il Parlamento Europeo conta poco o nulla rispetto alle lobby governative e private (6).

Perché i popoli dovrebbero consegnarsi all’Europa dell’euro? L’Europa doveva garantire benessere, eguaglianza, democrazia; ma ha tradito palesemente ogni prospettiva sociale e democratica. Perché sostenere ancora questa Europa non riformabile? Occorre rifondarla su basi di cooperazione radicalmente differenti, e comunque rispettose delle sovranità nazionali. Questa Europa ci ha indebolito, non rafforzato, anche sul piano economico.

E’ urgente introdurre a livello nazionale una nuova moneta che ci permetta di uscire dal tunnel in cui ci siamo cacciati per poi ridiscutere a livello europeo, possibilmente da posizioni di forza, tutta l’architettura dell’euro, e in buona sostanza, la “stupida Maastricht”.

Come avviare una riforma monetaria nazionale imposta democraticamente dal basso? L’unico settore in cui lo stato nazionale ha ancora un certo livello di autonomia è quello del fisco. Per uscire dalla crisi e dalla trappola della liquidità proponiamo di rilanciare la domanda grazie all’emissione gratuita da parte dello Stato italiano di Certificati di Credito Fiscale (CCF). L’Italia potrebbe creare, senza violare formalmente i trattati, una moneta fiscale, i Certificati di Credito Fiscale ad uso differito. I CCF dovrebbero essere utilizzati dopo due anni dalla loro emissione per pagare le tasse e ogni corrispettivo alla pubblica amministrazione: contributi, tariffe, multe, ecc. Ma potrebbero funzionare immediatamente come mezzo di pagamento dentro i confini nazionali.

In tal modo lo Stato creerebbe una “quasi moneta” nazionale, parallela all’euro, con l’obiettivo di aumentare la capacità di spesa dell’economia senza creare nuovo debito. Il nuovo strumento creato dallo Stato permetterebbe di diminuire il carico fiscale e di aumentare il potere d’acquisto senza generare nuovo debito pubblico. Infatti, per effetto del moltiplicatore del reddito, il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale differito dei CCF verrebbe più che compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto dal forte recupero del PIL.

Lo stato dovrebbe emettere la moneta fiscale fino a 200 miliardi di euro. E dovrebbe distribuirla gratuitamente a favore delle imprese (80 miliardi) per ridare loro competitività verso l’estero; a favore dei lavoratori (70 miliardi) per sostenere i loro redditi e i consumi, e a favore delle iniziative pubbliche (50 miliardi) per promuovere lavori pubblici locali, il reddito garantito, lo sviluppo della ricerca e l’occupazione per i giovani e le donne.

I titoli fiscali potrebbero rilanciare l’economia e l’occupazione, risollevare il PIL, annullare i deficit pubblici e diminuire rapidamente il debito pubblico. Lo spettro del default dello stato italiano si allontanerebbe. Potremmo pagare i nostri debiti esteri e gli investitori internazionali potrebbero finalmente vedere garantiti i loro crediti.

Così potremmo paradossalmente assistere a una conseguenza curiosa: i mercati finanziari, le grandi banche d’affari internazionali potrebbero approvare la diffusione della nuova moneta fiscale/statale perché li metterebbe al riparo da giganteschi fallimenti a catena. Mentre l’Unione Europea potrebbe invece contrastare politicamente l’iniziativa perché la moneta fiscale, recuperando la sovranità nazionale, toglierebbe alle istituzioni intergovernative gran parte del potere che hanno acquisito nel vuoto della democrazia europea.

NOTE

[1] Micromega on line Marco Cattaneo, Enrico Grazzini, “Oltre l’euro, dentro l’euro: una nuova moneta fiscale per vincere la crisi

[2] Idem

[3] Micromega on line, Enrico Grazzini, “L’Italia può uscire dall’euro? Problemi e difficili soluzioni

[4] Micromega on line “L’Italia chieda una ‘Bretton Woods’ per l’eurozona

[5] Financial Times “The Economists’ Warning”, 23 settembre 2013

[6] Micromega on line Enrico Grazzini “Sinistra svegliati, la casa europea brucia

(11 dicembre 2014)

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