I sessant’anni di Yuri Zivago

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Emanuele Torreggiani

di Emanuele Torreggiani – 23 novembre 2017

Fu nel crinale del novembre di sessant’anni fa che Giangiacomo Feltrinelli annunciò la prima mondiale, in lingua italiana ad opera di Pietro Zveteremich, chiarissimo docente di letteratura russa nelle università italiane, del Dottor Zivago di Boris Pasternak. Accade nel 1957. La storia d’amore di Yuri e Lara nel vortice della sanguinosissima guerra civile tra i bianchi e i rossi che, otto anni dopo, li vede interpretati da Omar Shariff e Julie Christie, regia di David Lean, musica di Maurice Jarre e produzione di Carlo Ponti, 5 Oscar per un romanzo che valse il Nobel allo scrittore russo, grandissimo, che non poté recarsi a Stoccolma, consapevole che le autorità sovietiche non gli avrebbero poi permesso il rimpatrio. Rimase nella periferia di Mosca, nel villaggio di Peredelkino circondato dalla grande foresta dove le dacie, che lo Stato metteva a disposizione di scrittori e poeti, erano sia abitazioni che prigioni. Morì lì, nel 1960. Ma il suo romanzo aveva iniziato ad incrinare la cortina di ferro. Mai, come nel dopoguerra del secolo scorso, la letteratura ha così tanto inciso nei rapporti politici tra i due blocchi contrapposti: ovest ed est. Dopo Pasternak arrivò in Occidente, siamo nel 1970, Aleksandr Solzenicyn con Una giornata di Ivan Denissovic e Arcipelago Gulag ed infine, a mio avviso, per la potenza concettuale espressa il più profondo romanzo del secolo Novecento, Vita e destino di Vasilij Grossman, nel 1980.
“Andavano e sempre camminando cantavano eterna memoria”, suona così, nello stile meno materialista immaginabile secondo i perimetrali dettami del realismo sovietico, l’incipit in cui vediamo un bimbo di sette anni, Yuri, accompagnare al camposanto la bara della sua amatissima mamma. Yuri, orfano di quell’intimità ancestrale che abbraccia il figlio alla madre e orfano di un mondo che di lì a qualche anno sprofonderà nella tormenta della guerra civile. Un romanzo in cui si respira la fatica di vivere per un cristiano in quei decenni. E la cristianità era humus, il terreno fertile della popolazione russa. Pasternak affresca con la mano nell’inchiostro della pietà e della misericordia, senza infingimenti mitopoietici e per i bianchi e per i rossi. Questo non piacque al comitato dei lettori di Novi Mir, la rivista che rifiutò di pubblicare il romanzo. Arrivò in Italia ed un editore sui generis come Giangiacomo Feltrinelli lo pubblica in prima edizione mondiale e sarà un successo di lettori planetario. Non sarà un caso, l’anno seguente, nel 1958, Feltrinelli pubblica Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a mio avviso il romanzo che meglio spiega l’Italia. Anche di questo capolavoro ci sarà una rilettura cinematografica per mano di Luchino Visconti.
La pubblicazione di Zivago innestò una durissima polemica dentro il PCI. Contrari si erano dichiarati gli ortodossi alla linea moscovita, Palmiro Togliatti in primis; mentre favorevoli sino all’entusiasmo quei comunisti come Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri che iniziarono, proprio con Zivago sottobraccio, quella diaspora che in dieci anni li portò alla scissione dal PCI ed alla fondazione de Il Manifesto. Ecco. Sessant’anni fa, Milano. Capitale della cultura mondiale. Eterna memoria.

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