Fonte: facebook
di Marigo Giandiego – 26 agosto 2014
A trasmettere ed a comunicarvi questa sensazione. Io vivo nella bassa Lodigiana, in una cittadina alto borghese di antica tradizione casara (ormai dimenticata), allevatori e produttori di mais, notai e notabili, Codogno provincia profonda, a cavallo fra Lodi e Piacenza (più Piacenza in realtà, anche se siamo ancora in Lombardia). Stamattina sono andato al mercato, premetto che vivo una condizione che mi fa essere un ultimo, dignitoso, intellettualmente produttivo, forse, ma innegabilmente ultimo. Ero al mercato dicevo ed ho vissuto, nettamente, chiaramente la sensazione di non essere uno di “loro”, ho capito che il primo giudice, il primo muro sistemico era lì, davanti a me, in quella gente che avrebbe dovuto assomigliarmi, ma che in realtà rappresentava il primo bastione difensivo del sistema … anzi il suo primissimo ingranaggio motore. Una sensazione di netta differenza, di distanza, valoriale, morale, etica, persino filosofica e dei meccanismi del pensiero. Ho compreso che tutti loro avrebbero potuto assistere, tranquillamente al mio rogo, alla mia esecuzione continuando tranquillamente a ciarlare delle vacanze passate e future. È una sensazione che ho già provato nei miei anni migliori, quando mi sono reso conto che io ed i miei compagni, non eravamo affatto “il paese” ma solo una splendida minoranza e che i primi che ci avrebbero condannati e che avrebbero anche eseguito la sentenza non erano gli alto borghesi, gli uomini o le donne di potere, ma il popolo minuto per il quale noi pensavamo di lottare, quella “maggioranza silenziosa” che costituisce la base di ogni potere e la cellula basilare di ogni struttura verticale … perché una piramide non è solo punta, anzi c’è molta più base ed essa è in solidarietà con il vertice, altrimenti, molto semplicemente, non esisterebbe alcuna piramide. Come allora ho pensato ed anche oggi mi sono chiesto, ma allora non sono forse io ad esser alienato, che diritto ho di essere diverso da “loro”? Perché mai il mio sentire, il mio essere, lo stare dev’essere così lontano da quella ch’essi definiscono normalità, perché i loro discorsi i loro gesti. i loro riti, devono provocare in me tanta nausea e tanto senso di distacco e sconforto? Forse hanno ragione loro e sono io ad essere distante, altro, malato … alienato, come certamente mi definiscono nei loro bisbigli giudicanti. Con che supponenza io entro in una piazza ed il balletto dei loro gesti, dei loro discorsi, della loro convivialità forzata e falsa mi colpisce allo stomaco come un pugno? È stata questa organizzazione sociale, questo sistema, questo pensiero a gettarmi ai margini … ed io sono convinto che il bastione del perbenismo e della presunta normalità sia il primo strumento di cernita fra vincenti/accettabili e perdenti/rinunciabili. Perdonate il livello dell’intervento odierno e “l’elogio al dubbio” che vi è contenuto … ma anche di qua, io umilmente credo, passa la differenza dell’AreA di Progresso e Civiltà, da quello che la circonda.
(giandiego)