Sulla situazione precaria delle carceri italiane: intervista al giurista Vincenzo Musacchio

per Vincenzo Musacchio
Fonte: Blog Vincenzo Musacchio

Vincenzo Musacchio, giurista, più volte professore di diritto penale e criminologia in varie Università italiane ed estere. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto.

Il Governo attraverso il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis ha dichiarato che i detenuti saranno vaccinati con gli stessi criteri dei cittadini liberi. Cosa ne pensa?

Ritengo sia una scelta non condivisibile, non in linea con il principio di umanizzazione della pena che dovrebbe accompagnare le scelte di salute in ambiente penitenziario. Al contempo stesso la ritengo anche una scelta di politica criminale imprudente che mette sullo stesso piano detenuti e liberi senza valutare se il virus si propaghi più facilmente in ambiente carcerario.

Lei cosa proporrebbe?

Di vaccinare tutti i reclusi presenti, tutti gli operatori penitenziari e di vaccinare in ingresso i nuovi arrivati e tenerli divisi dalla restante popolazione detenuta fino a che il vaccino non abbia piena efficacia. Ritengo sia percorribile anche la strada della temporanea conversione delle pene minori in detenzione domiciliare. Laddove non esista un domicilio, si potrebbe individuare qualcuno (enti o persone) che si possa assumere la responsabilità della quarantena. Non parliamo poi dello scandalo della mancanza dei braccialetti elettronici che, di fatto, non permette l’uscita di persone per le quali vi sarebbe la concessione da parte del giudice degli arresti domiciliari in luogo della custodia cautelare in carcere. Credo che il Ministero della Giustizia debba anche predisporre un immediato piano di emergenza per la vaccinazione delle oltre centomila persone che vivono e lavorano negli istituti di detenzione. Da cittadino mi auguro che questo impegno sia già stato adempiuto.

Le carceri italiane restano un problema irrisolto sia per l’eccessivo affollamento sia l’inadeguatezza delle strutture, lei cosa ne pensa?

La risposta è già nella domanda. Siamo lo Stato membro dell’Unione europea (a parità di popolazione) con più persone in carcere senza processo: 19.565 (Fonte Istat 2018 ultimo dato utile). A parte la vergogna di avere così tanti detenuti in attesa di giudizio, sarebbe anche il caso di domandarsi quanto costa avere in carcere quasi ventimila persone, parte delle quali usciranno o per decorrenza dei termini o perché innocenti. Quello dei costi della carcerazione preventiva è un tema che, forse per la sua inciviltà di fronte al tema dei diritti della persona, è poco affrontato. Diamo un dato: l’Italia spende per loro oltre cinquecento milioni di euro l’anno, una cifra che può essere considerata come parte dei costi economici della lentezza della giustizia. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 29 febbraio 2020, in Italia i detenuti erano 61.230, a fronte di una capienza a norma delle carceri pari a 50.930 posti. Credo che basterebbe un uso meno automatico della carcerazione preventiva per cominciare a svuotare in parte le carceri e porre rimedio all’attuale sovraffollamento carcerario, a maggior ragione oggi in tempo di pandemia da Covid-19. Su questi temi in Parlamento purtroppo non si discute più.

Cosa si potrebbe fare per risolvere questi problemi?

Una possibile risoluzione dei problemi da lei posti la propose il mio maestro Giuliano Vassalli circa trent’anni fa e fu poi ripresa più volte negli anni successivi ma mai attuata: la cd. “lista d’attesa”. In sostanza, si dovrebbe stabilire con legge che qualora tu Stato non possa garantire uno spazio sufficiente in carcere per l’imputato in attesa di giudizio aspetti per rinchiuderlo fino a quando questo spazio non l’avrai. La norma si dovrebbe applicare ovviamente per i reati meno gravi in conformità a una serie di requisiti tassativi, ricordandoci che siamo sempre di fronte a non colpevoli sino alla condanna definitiva, come recita testualmente l’articolo 27 della Costituzione. Occorrerebbe naturalmente investire anche sulle strutture delle carceri e su una nuova e più adeguata edilizia penitenziaria adeguata ai tempi moderni.

Il 2020 per molti è stato l’anno nero delle carceri lei che ne pensa?

Penso che con lo scandalo della circolare “scarcera mafiosi”, duemila positivi tra detenuti e personale e le rivolte carcerarie in varie parti d’Italia non si possa dire che sia stato un buon anno.

Cosa pensa di quella circolare “sfortunata”?

Un errore.

Sulle rivolte? Erano organizzate?

Io credo di sì e mi auguro che presto le indagini in corso facciano luce su ciascuna rivolta e sulle regie esterne. Da non dimenticare le morti avvenute tra i detenuti e in particolare quelle delle carceri di Modena e di Rieti.

Che cosa pensa dell’opportunità di concedere amnistia e indulto?

Sono contrario. Sono favorevole invece alla depenalizzazione di molti reati inutili, facendo in modo che si vada in galera di meno e solo quando c’è una reale pericolosità sociale. Sono stato sempre contrario alla custodia cautelare in carcere e favorevole alle pene alternative e domiciliari in tutti i casi ove sia possibile. Occorrono nuove carceri, più dignitose e rieducative. I cittadini tuttavia devono sapere che lo Stato punisce chi va punito. Tolleranza zero per mafie, terrorismo, corruzione ed evasione fiscale.

Tocchiamo un altro tasto dolente: il 41 bis. Qual è il suo giudizio?

È un circuito penale speciale che ha come obiettivo quello di impedire ai boss i contatti esterni con la criminalità organizzata. Sacrosanto e direi indispensabile nella lotta alle mafie assieme alla confisca dei beni. Il 41-bis non viola la Costituzione, ovviamente, lo Stato ha il compito di garantire il rispetto dei fondamentali diritti umani ai detenuti che sono sottoposti a questo trattamento che non è certo ascrivibile ad alcuna forma di tortura. A dimostrare l’infondatezza di tale degenerazione da più parti sollevata vi è la possibilità di interrompere il regime del 41 bis, mediante la collaborazione con la giustizia.

Un’ultima questione, lei è un penalista, ritiene che sia arrivato il momento di avere un nuovo codice penale?

Veda ho sempre pensato che quando fu varato il nuovo codice di procedura penale si sarebbe dovuto emanare anche un nuovo codice penale per affiancarlo. Io sono per le riforme globali e non a compartimenti stagni. Oggi purtroppo latita il dialogo fra la politica e il mondo giudiziario. Manca soprattutto una classe dirigente predisposta e le condizioni politiche e istituzionali: l’instabilità governativa e la conflittualità tra i partiti purtroppo non fanno ben sperare per una imminente riforma del codice penale che se ben congegnata avrebbe incidenza anche sui problemi che affliggono le carceri italiane.

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