Anna Lombroso per il Simplicissimus – 30 luglio 2014
Molto si è detto sull’istinto della fortezza Europa a chiudersi intorno al suo relativo benessere, ammettendo solo pacchetti numerati di lavoratori stranieri immigrati, a seconda dei propri bisogni, ma restringendo l’accoglienza perfino di rifugiati che vogliano insediarvisi stabilmente. Ideologie xenofobe e razziste di varia natura informano esplicitamente posizioni, programmi e proclami di partiti, politiche e giurisprudenza e intridono sia pure a macchia di leopardo, l’opinione pubblica.
Ha ragione il Simplicissimus a parlare di cattiva coscienza dell’Occidente, dovremmo forse dire del capitalismo e del privilegio, nei confronti del Medio Oriente, dell’interminabile e implacabile conflitto, delle potenze burattinaie che tirano i fili delle guerre, le stesse che prima e dopo le primavere arabe hanno stretto patti criminali sempre fondati sullo sfruttamento e su alleanze con despoti velenosi quanto velenosi erano gli intenti, economici, commerciali, bellici degli educati, emancipati o anche ridicoli governanti europei, a cominciare dai sodalizi che ha legato il susseguirsi di leader italiani con i regimi del Mediterraneo e del Nord Africa.
Con la differenza che per quanto ci riguarda di coscienza, buona o cattiva, ce n’è ben poca, per non parlare di colpa o vergogna per un passato coloniale cialtrone ma anche sanguinario, che sembriamo aver rimosso talmente che con esso è evaporato anche il senso del ridicolo, se la ministra che si vorrebbe promuovere ad alto incarico sovranazionale, non sa fare altro che appellarsi al potere demiurgico dell’Onu, e se l’intero governo di fronte a centinaia di morti o di reclusi o di respinti ancor prima del loro arrivo, sa solo piatire aiuto a un’Europa che fa della buona pedagogia sull’accoglienza, salvo rifiutare poi i diritti dei suoi popoli e contingentare l’ospitalità degli altri.
Vale per la Libia, la Somalia, Eritrea, Etiopia: l’assenza di un’assunzione di responsabilità per i crimini commessi, anche senza arrivare all’erezione di una statua a Graziani, rappresenta un terreno fertile per politiche discriminatorie e razziste che auto assolvendo tutti, legittimano accordi commerciale così come l’esclusione e la subordinazione civile degli immigrati e perfino dei rifugiati.
Le vittime del colonialismo non hanno avuto una lobby, quella dei cosiddetti “imprenditori della memoria”, addirittura nel caso italiano i pochi studiosi che se ne sono occupati hanno sottolineato le resistenze opposte all’apertura degli archivi, per non dire del mancato perseguimento giuridico degli autori dei crimini coloniali più cruenti. E per non parlare della rimozione attuata dagli “intellettuali”: restano a testimoniare attenzione Tempo di uccidere di Flaiano e il film che ne fu tratto, di Montando, Le rose del deserto di Monicelli, Come un uomo sulla terra di Segre, Yimer e Biadene, circolato solo nel circuito d’essai e su YouTube. Mentre la Rai, dopo un lungo contenzioso, si è assicurata i diritti di un documentario della BBC “Fascist Legacy” sui crimini fascisti, evidentemente per impedire che venga trasmesso e altrettanto è successo a un film di Hailè Gerima sulla battaglia di Adua, che, onusto di premi anche italiani, non è mai stato proiettato nelle sale.
A lavare coscienze labili sono bastate “forme di risarcimento” ancora più labili, dalla restituzione dell’obelisco di Axum, spacciata per “dono” munifico, agli accordi stretti con Gheddafi da Prodi e Berlusconi.
Ma se altrove il crescente flusso di immigrati ha riaperto altrove la memoria della frattura coloniale, quella italiana resta “bianca”, contribuisce alla “banalizzazione” della dittatura, delle leggi razziali, dei crimini, nutre lo stolta leggerezza leghista, alimenta l’indifferenza del ceto politico che confina la xenofobia tra i residuati, comunque tra temi ininfluenti o secondari in tempo di crisi, che considera il “razzismo” comunque innocuo, sia rivolto contro neri, gialli, omosessuali, donne non rampanti e governative, vecchi, disoccupati, poveri, insomma altri da loro.