Terzo mandato? Nuoce al fisiologico ricambio della rappresentanza politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Pertici
Fonte: Huffington Post

Terzo mandato? Nuoce al fisiologico ricambio della rappresentanza politica

Il limite dei due mandati fa bene alla democrazia, che prevede un ricambio nelle cariche pubbliche. Più che ampliare le norme già contenute nel “decreto elezioni”, bisognerebbe eliminare quelle che vi sono state inserite, senza escludere soluzioni di compromesso

Il “decreto elezioni”, vale a dire il decreto-legge n. 7/2014, in corso di conversione, ha eliminato ogni limite al numero di mandati consecutivi che possono essere ricoperti dai sindaci dei comuni fino a 5.000 abitanti, portandolo da due a tre per i comuni fino a 15.000 abitanti. Ciò ha aperto alla richiesta che (almeno) un terzo mandato consecutivo possa essere riconosciuto anche per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e per i presidenti di Regione.

Una riflessione in merito non può che partire dalla considerazione per cui il limite alla possibilità di essere rieletti a una carica monocratica, nella quale cioè si esercita un potere da soli, è normalmente una regola in democrazia. Lo ha spiegato la Corte costituzionale, nella sentenza n. 60/2023, a proposito del limite al numero consecutivo dei mandati dei sindaci, che costituisce un «punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona». Infatti, «il limite in parola ha lo scopo di tutelare il diritto di voto dei cittadini […] impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi […] che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo» e «serve a favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale». In sostanza, «la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi […] riflette una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali». Considerazioni simili erano peraltro state già compiute dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato, quando avevano avuto occasione di affrontare il tema in questione.

Il limite alla rieleggibilità alla carica di sindaco e di presidente della Provincia, in effetti, fu introdotto dalla legge n. 81/1993, che per la prima volta stabiliva l’elezione diretta di tali organi monocratici, la cui durata era peraltro stabilita in quattro anni (essendo stata portata a cinque nel 1999), ed è poi transitata nel testo unico degli enti locali. La legge Delrio, nell’eliminare l’elezione a suffragio diretto degli organi provinciali, ha però previsto la possibilità di un terzo mandato consecutivo nei Comuni fino a 3.000 abitanti. Per il presidente della Regione il limite dei due mandati consecutivi è stato previsto dalla legge n. 165/2004, tra le norme fondamentali dettate in modo uniforme per tutte le Regioni. Un’eccentrica giurisprudenza ha poi ritenuto che tale previsione debba essere implementata con legge regionale, cosa che ha consentito al Veneto di approvare la propria nel 2012, dicendo che tale limite si applicava a partire dalla consiliatura successiva, tanto che – come noto – il presidente Zaia sta attualmente svolgendo il suo terzo mandato consecutivo.

Il limite dei due mandati, come emerge dalla giurisprudenza richiamata, fa bene alla democrazia, che, per definizione, prevede un ricambio nelle cariche pubbliche, come aveva ricordato anche Carlo Azeglio Ciampi, nel respingere la richiesta di rielezione che gli era stata rivolta. E ciò vale tanto più, appunto, per le cariche monocratiche alle quali si è eletti direttamente, che possono determinare una maggiore concentrazione di potere e soffocare l’effettiva competizione di altri candidati, essendo normalmente più semplice la conferma in un ruolo. Ciò senza considerare che una troppo lunga permanenza in una carica potrebbe far perdere slancio alla capacità amministrativa di chi la ricopre.

Occorre peraltro precisare che il limite non è assoluto, ma si riferisce a mandati consecutivi, come sanno bene alcuni celebri sindaci: infatti, Massimo Cacciari è stato sindaco di Venezia per due volte consecutive dal 1993 al 2000, per poi tornare dal 2005 al 2010; Enzo Bianco è stato il “primo cittadino” di Catania dal 1993 al 2000 e poi ancora dal 2013 al 2018; Leoluca Orlando ha guidato Palermo per due volte, dal 1993 al 2000, e poi per altre due, dal 2012 al 2022 (avendo svolto la stessa funzione pure prima dell’introduzione dell’elezione diretta dal 1985 al 1990). Ma almeno, con l’introduzione della regola in discussione si sono evitati quei casi clamorosi per i quali alcuni esponenti politici avevano guidato la propria città per decenni: il più noto è forse Remo Gaspari, ministro in una quindicina di Governi tra il 1969 e il 1992, ma sindaco di Gissi, in provincia di Chieti dal 1976 al 1994, ma abbiamo avuto in altre realtà sindaci che sono rimasti tali anche per più di cinquant’anni. Si tratta di casi clamorosi, a fronte dei quali la domanda che sorge, anche a fronte di amministrazioni ben riuscite, è se davvero non vi fossero alternative degne di essere testate per così tanti anni. E naturalmente per rispondere a questo non basta dire che oggi sono gli elettori a scegliere, perché, come ha detto la Corte costituzionale, l’essere in carica offre una posizione privilegiata rispetto ad eventuali sfidanti, turbando la par condicio.

La questione è peraltro assai delicata anche a fronte della proposta di elezione diretta di un presidente (del Consiglio) anche a livello nazionale, per il quale non è stato previsto un limite ai mandati consecutivi, a differenza di quanto avvenga per i Presidenti eletti in Francia, negli Stati Uniti ed in altri Paesi che prevedono il suffragio diretto per chi guida il governo nazionale.

Ecco che, quindi, se la democrazia implica la temporaneità delle cariche, la loro scalabilità e l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla vita pubblica, un limite ai mandati, almeno consecutivi, per le cariche monocratiche elettive (tra le quali torneranno presto – sembra – anche i presidenti delle Province) va nella giusta direzione. Di conseguenza, più che ampliare le norme già contenute nel “decreto elezioni” bisognerebbe eliminare quelle che vi sono state inserite, a fronte delle quali è forse comprensibile che il sindaco di un comune di quindicimilacinquecento abitanti non comprenda perché debba rinunciare a quel terzo mandato concesso a chi guida un comune di quattordicimilanovecento, mentre ancor più discutibile è l’eliminazione di ogni limite nei comuni fino a cinquemila abitanti.

Naturalmente non sono escluse soluzioni di compromesso, che tengano comunque conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale. In tal senso, forse, potrebbe andare una riforma che preveda la possibilità di ricoprire la carica per un massimo di tre mandati (anche non consecutivi), della durata di quattro anni, non potendosi in ogni caso applicare a chi ne abbia già svolti due di cinque anni.

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