UMORISMO E LIBERTA’

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: FILOTEO NICOLINI

UMORISMO E LIBERTA’

Prologo

Per chi è meridionale come me, i mezzi di espressioni attingono a piene mani da quel vasto allestimento di umorismo, esagerazione e ironia che lo Spirito del Popolo ha profuso nelle anime, quali abbondanti doni*. Forse la comicità e l’umorismo hanno aiutato a sopportare disgrazie e calamità, invasioni e oppressioni, ma è un fatto che non siamo esenti da frequenti incursioni nell’umorismo e non ci è estranea la satira.

Appunto, la satira.

Mi interrogo sui noti avvenimenti legati al giornale satirico Charlie Hebdo e alla pubblicazione delle vignette, che hanno rinnovato il dibattito sulla libertà di espressione. E’ un tema spinoso.

Da dove osservare? Se si vuole studiare una regione, si può vagare da un luogo all’altro, attraversare villaggi, boschi, prati, strade ed osservarne le varie parti. A seconda del luogo in cui si è, si avrà di volta in volta uno scorcio piccolo dell’intero territorio. Si può anche salire sulla cima di un monte e da lì spaziare con lo sguardo sull’intera regione. I particolari appariranno allora indistinti, però in compenso si avrà una vista d’insieme.

Così si potrebbe simbolicamente indicare il rapporto tra la conoscenza umana della vita ordinaria e ciò che è il punto di vista superiore, distaccato. La normale conoscenza umana si muove nel mondo dei fatti, passando da un particolare all’altro. Il punto di vista superiore equivale a salire su di un’alto pinnacolo dove l’orizzonte si amplia e si vede da lontano il ribollire delle anime e gli scontri tra Nazioni e Religioni. Da lassù però si può perdere contatto equilibrato con la realtà, ci si libra nell’aria al di sopra delle circostanze e dei cuori, e soprattutto, si diminuisce l’interesse per il prossimo, per gli altri esseri umani.

Ma si può anche salire a metà del monte, dove si ha qualcosa sopra di sé e qualcosa sotto, e si possono confrontare le due prospettive. Ci si pone allora a metà cammino, e si concilia ciò che proviene dal basso e ciò che sta sopra.

Umorismo e ironia

Ciò detto, voglio partire da una virtù a cui aspiro: l’arguzia. Prontezza, sottigliezza e vivacità nel cogliere e nell’esprimere gli aspetti delle cose: l’arguzia è alla sommità delle capacità umane che predispongono al sorriso e facilitano le relazioni sociali. Da cercare col lumicino, quel fare gentile che coniuga lo spirito e lo scambio di sagaci battute che ci fa avvicinare al prossimo. Immediatamente al di sotto dell’arguzia, l’umorismo.

Un buon senso dell’umorismo è correttivo esistenziale necessario per la presunzione umana e quelle piccole falsità del quotidiano vivere. Naturalmente, si è sempre esposti all’umorismo di ritorno! Se si è colti in fallo, e ciò accade di sovente, la sincerità e la tempestività dell’ammissione diviene essenziale per ridere di noi stessi, per apprendere un poco e crescere nella vita. L’umorismo appartiene al cuore, ha una qualità conciliatoria e redentrice, e risiede nel legame con l’emotività e con ciò che è profondamente umano.

Al ritirare per momenti l’identificazione empatica con l’altra anima, l’umorismo ci permette di esprimere contenuti ed osservazioni emozionali che emergono dal profondo, in modo non traumatico e aggressivo. La comicità si dà con la percezione nell’altra persona di un’apparenza, un difetto o una contraddizione che si nascondevano dietro una immagine di rispettabilità. Ogni volta che lasciamo di essere trasparenti e sinceri nel profondo, ci esponiamo alla rivelazione di ciò che emerge come risibile agli occhi dell’umorista. Il quale deve allora bandire per pochi istanti la simpatia e scoraggiare il proprio cuore dall’essere nostro complice, obbedendo a un impulso interno, senza permesso né licenza.

Da qui però è facile varcare la soglia che ci immette di filato nella caricatura, quando segnaliamo aspetti singoli della persona, dimenticando ad arte la ricchezza di qualità e virtù, oscurata per momenti, mentre si carica e si esagera quel tratto essenziale preso di mira. Qui già la tensione che si crea è più pungente e meno amichevole, e sembra anch’essa emergere come necessità impellente dell’anima. Sono gli istanti in cui ci sopraffa l’antipatia. Il gioco che appare in chi fa dell’umorismo e le sue varianti sembra ascriversi a una delle caratteristiche più umane, cioè l’altalena tra amore e odio, tra antipatia e simpatia. L’umorista vero si abbandona per momenti alla antipatia, ma poi ritorna sui suoi passi per abbracciare nuovamente l’oggetto dei suoi strali riconoscendosi parte in causa e non libero dalle stesse falsità e contraddizioni.

Poi, c’è chi carente di spirito di vero umorismo ripiega sul cinismo del dileggio e del sarcasmo. Sono sottili sfumature dalla grandi implicazioni. Il dileggio, l’ironia e il sarcasmo hanno radici nella nostra parte più cosciente del giudizio, ovvero nell’anima intellettuale. Mi limito a citare da Wikipedia alcune idee sul sarcasmo.

Il sarcasmo è una immagine retorica consistente in una forma di ironia amara e pungente, volta allo schernire o ad umiliare qualcuno o qualcosa. Può essere sottolineato anche attraverso particolari intonazioni della voce, enfatizzando così alcune parole o parti dell’affermazione.

La parola deriva dal tardo latino, sarcasmus, che a sua volta deriva dal greco antico sarkasmos, da sarkazein- mordersi le labbra per la rabbia-. A sua volta il termine è una derivazione di sarx, carne. Sarcasmo letteralmente può essere reso con “tagliare un pezzo di carne da qualcuno”. L’ironia si riferisce però allo stravolgimento del significato letterale delle parole, mentre il sarcasmo è denotato dall’intento volontariamente beffardo dell’affermazione.

In pratica l’ironia non è altro che l’affermazione di un qualcosa che però sta a significare il suo contrario, mentre il sarcasmo sta ad indicare un’affermazione beffarda volontaria, di breve durata e tagliente. Il sarcasmo personifica una assurdità che si intravede nell’interlocutore e si sostiene per momenti fingendo di esserne convinti.”( https://it.wikipedia.org/wiki/Sarcasmo)

Un’altra considerazione va fatta. La satira si caratterizza dall’attenzione critica ai vari aspetti della vita sociale, mostrandone contraddizioni e storture e promuovendo il cambiamento o almeno spunti di riflessione morale. In qualche modo, la satira include le forme più variate di umorismo e critica sociale. Si va dalla canzonatura alla messa in evidenza del paradossale, alla licenza della denuncia impune nel Carnevale, fino alle modalità amare del sarcasmo.

In una prima conclusione, un buon senso dell’umorismo è un correttivo esistenziale alla falsità umana e alla presunzione. Ma laddove l’arguzia e l’umorismo appartengono alla regione del cuore, i loro parenti del sarcasmo e ironia sono più intellettuali. L’umorismo ha un carattere più conciliatore e salvifico, mentre l’ironia e il sarcasmo tendono a generare contrasto e reazioni, distanziamento e separazione.

Moliere, o le preziose ridicolaggini

Prendiamo ad esempio la comicità di Moliere: è irresistibile e sempre esilarante, eppure ci fa pensare, contiene qualcosa che ci induce alla riflessione, a considerare i nostri molti difetti e pochi pregi, sia individuali, sia della società. Vi è per esempio la satira estrema della professione medica nella commedia “Il medico per forza”. D’altra parte “Il malato immaginario” ci presenta altre caricature ed ilari esagerazioni dell’impresa della salute, e allo stesso tempo mette in luce l’ipocondria del protagonista che vive sedotto e abbindolato da medici senza scrupoli. Essi lo illudono con la loro ossequiosa presenza e lo avvertono delle conseguenze nefaste di una rinuncia alle loro cure.

Moliere è l’autore comico per eccellenza, che ironizza divertendo e critica i costumi senza ferire; si considerava primo destinatario delle sue trovate caustiche, considerandosi non al margine della società ma piuttosto in essa coinvolto e responsable delle stesse imperfezioni. Passione moralizzatrice e malcontento animano la sua Opera, compassionevole verso ciò che gli appare poroso e diffuso socialmente e allo stesso tempo capace di additare giocoso gli umani difetti. Si propone suggerire la allegra sfiducia alla falsa sicurezza, il suo è un perenne attacco frontale ai pericoli della falsità, la pedanteria, la superbia, gli eccessi. La preziosa ridicolaggine del saccente ovvero la meschinità e il volo basso di chi si circonda di esteriorità, ci spinge a favore di qualità spirituali, virtù e valori. Per ingentilire l’anima ed elevarne il volo.

Vuole quindi dirci di badare affinché la materialità delle condotte e delle apparenze non dislochi i valori, le virtù umane e la grandezza dello spirito che costituisce la vera statura dell’individuo. Senza invettive nè sermoni sul terreno intellettuale, ci propone ciò che è sensato, nobile di intenzioni, vivo. Il rimprovero burbero è fatto in nome della vita che non si deve lasciar irrigidire per il conformismo, l’arroganza, la simulazione. La risata sorge spontanea e la trama rivela trasparenza e facilità di fruizione. Mentre la satira avvolge discretamente i disonesti, Moliere porge la mano al Medico Fleurant e al boticario che ne escono scornati e ridimensionati dal riso.

Tra riso e pianto

Ridere e piangere vanno visti insieme nella loro polarità. Ridere e piangere sono possibili perché ciascuno di noi è un Io, ovvero una individualità spirituale. Il pianto sorge se l’Io si sente debole di fronte al mondo esterno, se sente certa dissonanza, certa disarmonia. All’avvertire la disarmonia, si corre ai ripari contraendo le emozioni e in generale i sentimenti, ora ripiegati su sé stessi. Il cordoglio per esempio nasce dal sentirci abbandonati da qualcuno a cui si era uniti, e allora interviene la disarmonia, sentiamo di aver perso quella persona. L’Io allora contrae le forze per difendersi e ciò giunge anche al livello corporale, la voce rotta, la contrazione della fisionomia, le lacrime.

Che cos’è il riso invece? E’ il processo opposto, perché ora cerchiamo di rilassare le emozioni ed i sentimenti, di dilatarli, di espanderci nel mondo esterno. Quando l’Io invece di mantenere controllato il complesso delle sue emozioni lo allenta, lo rilassa, le forze emozionali allentate agiscono sul corpo fisico e certi muscoli che normalmente hanno una certa posizione ne assumono un’altra. Nel riso abbiamo l’espressione fisionomica dell’allentarsi delle tensioni emozionali per l’azione dell’Io. Se la tensione emozionale si allenta, si allentano anche i muscoli e appare l’espressione del riso.

Se non avessimo il principio superiore dell’Io non potremmo sperimentare la sofferenza né la gioia. Poiché abbiamo la possibilità dataci dall’Io di agire sulle nostre emozioni e quindi anche sul corpo, gioia e sofferenza divengono forze attive e creative. In un certo senso il riso e il pianto sono espressione dell’egocentrismo. Può anche accadere che il corpo sia già mobile in sé stesso ma l’Io sia pochissimo evoluto e non possa esercitare ancora il giusto dominio su di esso. Succede in quelle persone che ridono o piangono senza ragione, che ridacchiano o piagnucolano di continuo.

Il pianto può essere per momenti l’espressione dell’egoismo, una specie di piacere interiore di chi cerca fortificarsi interiormente perché si sente debole e si allontana dal mondo esterno. Sente allora sorgere la forza interiore al produrre una maschera protettiva di lacrime.

Anche il riso è espressione dell’egocentrismo, del fatto che ci si sente al di sopra di quanto ci circonda. Perché ridiamo? Ridiamo quando ci poniamo al di sopra di quanto osserviamo. Che si rida di noi stessi o di qualcun’altro, il nostro Io si sente per momenti superiore a qualcosa. Di conseguenza il riso può essere molto sano, perché può rafforzare l’essere umano quando lo eleva al di sopra di sé stesso e gli insegna qualcosa. Quando attorno a noi, in noi o negli altri, vediamo qualcosa che è privo di senso o è falso, ci può succedere di elevarci al di sopra del non senso e del falso e di essere mossi al riso. E’ una possibilità che dovremmo usare sempre.

Ma può essere anche dannoso quando gonfiamo l’Io, quando vogliamo ergerci al di sopra di supposte incoerenze e difetti altrui e trarne un rafforzamento delle nostre affioranti antipatie, del senso di separazione, di superiorità e affini patologie dell’anima. Quando non facciamo degli eventi occasione di insegnamento per noi ma motivo di derisione. Insulto e diffamazione possono celarsi dietro una frase o una immagine satirica, creare irritazione e senso di offesa e sdegno. Le cronache dei giornali e certe trasmissioni Tv sono sature di esempi eloquenti. Non si tende precisamente la mano con cordialità all’altro, ma si cerca il facile effetto sui seguaci e spettatori. Del resto, ben altra sarebbe la vita politica se si cercasse il meglio nell’opponente e non si cadesse nella bassezza e nella volgarità.

Libertà che evolve

Il complesso tema dell’umorismo e varianti gira intorno alla libertà di manifestare il pensiero, alla indipendenza culturale di fronte alla moralità e i costumi in una società complessa e multietnica. Ho la convinzione che dovremmo riflettere sempre più sul come esercitare la nostra libertà.

Se una persona agisce soltanto perché riconosce determinate norme di comportamento e ad esse fa appello, la sua azione risulta da principi inseriti nel suo codice etico. Egli è a ben vedere un esecutore, un automa di ordine superiore. Appena stimolato, l’ingranaggio dei suoi principi etici si mette in moto e compie il suo corso regolarmente per compiere un’azione cristiana, musulmana, umanitaria, altruistica, o per il progresso della civiltà, o a favore di uno schieramento politico, o della critica satirica. In una certa fase di sviluppo, ci lasciamo guidare da norme di comportamento, questo è vero, ma sempre sforzandoci di andare oltre, di comprenderne le ragioni in modo da sviluppare il nostro giudizio morale. Ed anche per criticarne limiti e favorirne sviluppi.

Accenno al tema dell’individualismo etico. Libero è l’essere umano quando in ogni momento è in grado di ubbidire a sé stesso. Io non domando a nessuno, e neppure a un codice o una prassi consolidata, se debba compiere quell’azione, ma la compio appena ne ho concepito l’idea con l’intuizione. Mentre agisco, mi muove la linea di condotta viva e a me rivelata intuitivamente; essa è legata misteriosamente con l’amore per l’oggetto che voglio realizzare per mezzo della mia azione.

Soltanto quando seguo il mio amore per l’oggetto della mia azione sono Io stesso che agisco. Qui non riconosco nessun principio sopra di me, né autorità esterna. La mia azione sarà buona se la mia intuizione immersa nell’amore si trovi situata nel giusto modo nel mondo delle idee da sperimentarsi intuitivamente. Altrimenti non sarà buona.

Agirò come Io, quale individualità, mi vedo stimolato a volere. Mi guida il mio amore per quell’azione, non il costume generale, o una massima umana, o una norma sancita nella Costituzione. Non sento la costrizione della Natura che mi vuole dirigere con i suoi impulsi inferiori, né la costrizione del comandamento o della consuetudine. Quanto più mi individualizzo, tanto più posso divenire portatore di amore.

Solo un atto volitivo che nasce dall’intuizione può essere individuale. L’impulso cieco che spinge la persona all’offesa e al delitto non nasce dall’intuizione e non appartiene a quello che è più individuale, ma invece a quanto in lui vi è di più generale nella natura inferiore. Per i miei istinti e impulsi Io sono un essere come tanti altri; per la forma particolare dell’idea per cui mi designo come un Io, sono un individuo. La libertà è in continua evoluzione nella coscienza umana.

FILOTEO NICOLINI

*Senza andare molto lontano, ripenso alla celebre sequenza di Totò e Peppino a Piazza del Duomo a Milano quando chiedono una informazione al vigile urbano. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, il deliberato qui pro quo sul Duomo che viene scambiato per il Municipio e La Scala può suscitare il riso, ma c’è da chiedersi quante persone si siano sentite beffeggiate e dileggiate e quindi spinte a reazioni. Magari con pregiudizi e forme di razzismo culturale di ritorno dirette a chi ha riso di quella satira e le sue origini. Dovremo abituarci all’idea che anche l’umorismo deve evolvere al pari della nostra coscienza.

Immagine: Ana Sànchez (ARG), sin tìtulo.

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