Ci sono diverse accezioni della conoscenza che prescindono dalla cultura, dall’epoca, dalla società. Facciamo ad ogni modo una rapida rassegna. Per gli scienziati, ad iniziare da Galileo Galilei, la conoscenza è la spiegazione di fenomeni fisici e la descrizione della realtà con formule matematiche. Per Freud la conoscenza è trasformare l’inconscio in conscio, rimuovendo il rimosso e facendo riaffiorare ciò che era al di sotto della soglia di coscienza. Per molti oggi conoscere vuol dire soltanto restare sempre aggiornati e sapere tutte le notizie divulgate dai mass media. Per i poeti maledetti conoscere significa soprattutto scardinare le porte della percezione ed esperire nuovi stati alterati di coscienza. Per i moralisti conoscere significa ricercare incessantemente il bene, per mistici e religiosi vuol dire relazionarsi al divino, per i più pragmatici vuol dire conseguire ciò che è utile. Per altri umanisti conoscere significa avere un rapporto dialettico con la realtà. Rapporto dialettico vuol dire più cose; significa in termini marxisti ricercare una dialettica tra struttura economica e sovrastruttura ideologica, ma può significare anche ragionare a rigor di logica. Ciò che è implicito di questa scuola di pensiero è che il mondo è in eterno divenire e che noi non possiamo che cogliere verità parziali. Secondo questa concezione conoscere significa ricercare verità, anche se è quasi impossibile fissare criteri di verità non tautologici(“vero è come sono gli enti, falso è come non sono” per Platone). Inoltre ci sono cose vere ma inverosimili per la nostra ragione e cose false ma verosimili. La verosimiglianza talvolta ci allontana dalla verità. Ma l’importante è che la conoscenza non diventi violenza. L’estrema volgarizzazione e deformazione del cristianesimo, del marxismo, della filosofia di Nietzsche ha portato a bagni di sangue. Ma cultura necrofila significa anche quella suicidaria, violenta o che comunque civetta con la morte. L’arte è biofila non solo perchè è terapeutica/catartica(si pensi all’arteterapia o alla psicosintesi) ma anche in quanto è attività extrasoggettiva ed universale in una epoca caratterizzata dalla cosiddetta decostruzione del simbolico. L’arte ricorda all’uomo di essere un “animale simbolico” ed anche questa è conoscenza perché espressione dell’inconscio freudiano, dell’inconscio collettivo e rappresentazione del mondo. L’arte è al tempo stesso polisemia, continua metafora e stimolo di riflessione. L’arte ci pone sempre nuovi interrogativi e ci mostra aspetti nascosti e sconosciuti di noi stessi. C’è un’arte che mette ordine ed un’arte che aggiunge disordine al caos del mondo, provocando e sovvertendo i codici usuali. La vera arte non deve veicolare messaggi edificanti: deve soltanto spingere al pensiero in una società che vuole annullare il senso critico e vuole tramutare i nostri intelletti in un mare di luoghi comuni. Le scienze quantificano e l’arte invece qualifica il mondo, gli autori e i fruitori. L’occidente vuole quantificare tutto. Lo dimostra anche il tentativo di pesare l’anima. Ma all’uomo non bastano solo le equazioni e i nessi causali: vuole anche intuire le forme ed esprimere la propria parte più profonda. Ogni opera d’arte è un tassello al mosaico della cultura umana. Non a caso di una opera d’arte si dice oggi che ha contenuto di verità.
Una breve considerazione su conoscenza e verità
Autore originale del testo: Davide morelli
Articolo precedente