Una breve considerazione su conoscenza e verità

per Davide Morelli
Autore originale del testo: Davide morelli

Ci sono diverse accezioni della conoscenza che prescindono dalla cultura, dall’epoca, dalla società. Facciamo ad ogni modo  una rapida rassegna. Per gli scienziati, ad iniziare da Galileo Galilei, la conoscenza è la spiegazione di fenomeni fisici e la descrizione della realtà con formule matematiche. Per Freud la conoscenza è trasformare l’inconscio in conscio, rimuovendo il rimosso e facendo riaffiorare ciò che era al di sotto della soglia di coscienza. Per molti oggi conoscere vuol dire soltanto restare sempre aggiornati e sapere tutte le notizie divulgate dai mass media. Per i poeti maledetti conoscere significa soprattutto scardinare le porte della percezione ed esperire nuovi stati alterati di coscienza. Per i moralisti conoscere significa ricercare incessantemente il bene, per mistici e religiosi vuol dire relazionarsi al divino, per i più pragmatici vuol dire conseguire ciò che è utile. Per altri umanisti  conoscere significa avere un rapporto dialettico con la realtà. Rapporto dialettico vuol dire più cose; significa in termini marxisti ricercare una dialettica tra struttura economica e sovrastruttura ideologica, ma può significare anche ragionare a rigor di logica. Ciò che è implicito di questa scuola di pensiero è che il mondo è in eterno divenire e che noi non possiamo che cogliere verità parziali. Secondo questa concezione conoscere significa ricercare verità, anche se è quasi impossibile fissare criteri di verità non tautologici(“vero è come sono gli enti, falso è come non sono” per Platone). Inoltre ci sono cose vere ma inverosimili per la nostra ragione e cose false ma verosimili. La verosimiglianza talvolta ci allontana dalla verità. Ma l’importante è che la conoscenza non diventi violenza. L’estrema volgarizzazione e deformazione del cristianesimo, del marxismo, della filosofia di Nietzsche ha portato a bagni di sangue. Ma cultura necrofila significa anche quella suicidaria, violenta o che comunque civetta con la morte. L’arte è biofila non solo perchè è terapeutica/catartica(si pensi all’arteterapia o alla psicosintesi) ma anche in quanto è  attività extrasoggettiva ed universale in una epoca caratterizzata  dalla  cosiddetta decostruzione del simbolico. L’arte ricorda all’uomo di essere un “animale simbolico” ed anche questa è conoscenza perché espressione dell’inconscio freudiano, dell’inconscio collettivo e rappresentazione del mondo. L’arte è al tempo stesso polisemia, continua metafora e stimolo di riflessione. L’arte ci pone sempre nuovi interrogativi e ci mostra aspetti nascosti e sconosciuti di noi stessi. C’è un’arte che mette ordine ed un’arte che aggiunge disordine al caos del mondo, provocando e sovvertendo i codici usuali. La vera arte non deve veicolare messaggi edificanti: deve soltanto spingere al pensiero in una società che vuole annullare il senso critico e vuole tramutare i nostri intelletti in un mare di luoghi comuni. Le scienze quantificano e l’arte invece qualifica il mondo, gli autori e i fruitori. L’occidente vuole quantificare tutto. Lo dimostra anche il tentativo di pesare l’anima. Ma all’uomo non bastano solo le equazioni e i nessi causali: vuole anche intuire le forme ed esprimere la propria parte più profonda. Ogni opera d’arte è un tassello al mosaico della cultura umana. Non a caso di una opera d’arte si dice oggi che ha contenuto di verità.

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