Fonte: Limes
Dal 24 febbraio tutto sarà diverso perché la Russia ha deciso di ribellarsi all’egemonia americana. Mosca non vuole soggiogare un’Europa vassalla che la respinge. Ambisce a contare nel mondo e nel suo mondo. Ne va della sua sicurezza e sopravvivenza.
1. Mi è stato chiesto inizialmente di scrivere un articolo sulla volontà di Washington di preservare il suo impero europeo e sulla politica russa volta a sfidare il controllo americano del Vecchio Continente, soprattutto se gli Stati Uniti adottano una posizione più isolazionista. Non ho mai pensato che l’America (con Trump, per non parlare di Biden) abbia assunto una «posizione più isolazionista». Dopo gli eventi degli ultimi mesi e in particolare delle ultime settimane, mi sembra chiaro che gli Usa non intendano isolarsi dall’Europa ma isolare la Russia dall’Europa, rafforzando il loro dominio sul continente.
Tornerò su queste affermazioni dopo aver precisato che i rapidi ed epocali eventi delle scorse settimane hanno trasformato il piano originale del mio articolo: la Russia, l’Europa e il mondo prima e dopo il 24 febbraio 2022 sono realtà completamente diverse. Per struttura e concetti l’articolo non diverge granché da quello che avrei scritto prima di quella data. Ci sono però due differenze sostanziali. In primo luogo, questo testo consiste di una serie di tesi che non argomenterò dettagliatamente. Ritengo che non sia tempo di soffermarsi su ragionamenti complessi nel rivolgersi al pubblico dell’«Europa» contemporanea, dato che vi regna una propaganda primitiva e russofoba e che le opinioni dissenzienti non soltanto non vengono recepite, ma nemmeno espresse.
La presente rivista è probabilmente l’ultimo baluardo libero e pluralista tra i paesi dell’Ue. Pertanto, sono consapevole che la mia sia una voce che grida nel deserto europeo: per quale motivo dovrei prolungare questo mio grido e argomentarlo nei suoi coloriti dettagli? In secondo luogo, anche qualora «ampliate» in termini geopolitici le mie tesi ruotano attorno a quello che l’Occidente definisce «l’attacco russo all’Ucraina», anche se di questo «attacco» non parlerò qui con costanza. Infine, mi sento di puntualizzare che uso la parola «Europa», un tempo gloriosa, talvolta in maniera diretta e talvolta tra virgolette.
So benissimo che in Occidente «Europa» e «Unione Europea» – nonostante quanto affermino la geografia, la storia e altre discipline più che serie – sono di fatto sinonimi. So anche che per la classe politica, per la maggior parte degli intellettuali (se ne esistono ancora) e per il grande pubblico occidentali la Russia non è Europa. Io, però, adotto un approccio differente: scrivo semplicemente Europa quando intendo il fenomeno in senso storico e indipendente; scrivo «Europa» quando mi riferisco invece a quel conglomerato di popoli e paesi vittima delle manipolazioni globali dell’impero anglosassone, di cui è appendice politica e poligono militare. Ora invece arrivo al punto, sia per quanto riguarda il tema dato sia alla luce degli ultimi avvenimenti.
2. C’è mai stata una rivalità tra gli Stati Uniti e la Russia per il controllo dell’Europa (più precisamente dalla fine dell’Ottocento, quando gli Usa sono diventati un vero attore geopolitico, tralasciando la dottrina Monroe)? Si potrebbe dire che c’era, ma strutturata su basi molto diverse e con obiettivi differenti. In quanto grande potenza europea, la Russia naturalmente ha sempre aspirato a essere uno degli attori principali del continente – certamente a partire da Pietro il Grande, anche se sarebbe più corretto iniziare da Ivan il Terribile. Questo perché (a prescindere dal suo nome) è un paese europeo e perché è parte dell’ecumene cristiana, ossia europea. E perché i russi (e molte altre etnie presenti in Russia) sono un popolo europeo e si sono sempre sentiti tale nonostante la loro peculiarità. Infine, perché i legami politici, economici, commerciali, culturali e umani che la Russia ha intessuto da secoli con i popoli e i paesi europei sono i più forti.
Allo stesso tempo, però, la Russia non ha mai voluto soggiogare, tanto meno conquistare «l’intera Europa». Ecco perché le truppe dell’imperatore Alessandro I, che sconfissero Napoleone in territorio russo, raggiunsero ed entrarono a Parigi, tornarono poi nel loro paese e non si resero occupanti. Ecco perché l’esercito sovietico (russo) che sconfisse la coalizione militare europea guidata dalla Germania nazista e nello specifico da Hitler, che prese Berlino e issò la sua bandiera sul Reichstag, poi si fermò alla linea di contatto con i suoi alleati in quella guerra (Stati Uniti e Gran Bretagna) invece di muovere oltre come temevano gli anglosassoni. Eppure, Stalin avrebbe potuto farlo. L’Unione Sovietica allora occupò (e lo fece in maniera temporanea, non permanente come gli americani) solo un gruppo di paesi adiacenti ai suoi confini. Inoltre Stalin impedì la cancellazione della Germania come Stato, cosa che invece era stata proposta dagli anglosassoni. Certo, sotto il nome di Urss, la Russia prima della seconda guerra mondiale puntava alla «rivoluzione globale», ma l’acuto Stalin rigettò quest’idea utopica e nel 1943 sciolse il Comintern, l’organizzazione preposta a concretizzare il progetto.
Che dire invece degli Stati Uniti, paese distante un oceano dall’Europa? Già dopo la prima guerra mondiale, Washington cominciò a interferire attivamente negli affari europei, a braccetto – al tempo – con gli inglesi. Dopo la seconda guerra mondiale fece dell’Inghilterra il suo vassallo e stabilì il proprio blocco politico-militare (la Nato) su un territorio lontano e con cui non aveva confini terrestri. Ricoprendo praticamente tutta l’Europa occidentale, meridionale e centrale di basi militari attive tuttora (anche nell’Europa orientale, da cui la Russia ha invece ritirato le sue truppe). Non dovrebbe stupire che i «democratici» Stati Uniti stanno ancora occupando paesi europei a loro parere democratici? Washington non sembra avere molta fiducia nelle «democrazie europee». Personalmente ne sono convinto. Gli Stati Uniti non si fidano né dei governi dei paesi europei, né dei loro popoli. Condividono la medesima paura provata dai governi di questi paesi (ad esempio Stati baltici o Bulgaria) nei confronti dei loro stessi popoli: temono che, senza una presenza militare statunitense, questi potrebbero semplicemente rovesciare chi li governa e «rinnovare» radicalmente la classe dirigente.
3. Veniamo all’Unione Europea. È stato ampiamente dimostrato che l’Ue non è necessaria agli Stati Uniti quale attore geopolitico indipendente e globale. Questa è un’altra delle ragioni per cui la Nato continua a esistere come schema militare e l’Ue in qualità di mero attore economico. La dimensione politica dell’Unione Europea è già stata praticamente annullata dagli americani. Inoltre, l’Ue dovrebbe essere un’appendice economica degli Stati Uniti, ovvero arrivare lì dove gli Usa non riescono. Molti economisti sostengono che l’attuale crisi economica stia costringendo Washington, volente o nolente, a trattare i paesi dell’Ue come una colonia, le cui risorse devono ovviare alle carenze americane.
E la Russia contemporanea in tutto questo? In primo luogo, Mosca intende preservare la sua influenza politico-economica e in parte continuare a esportare il suo modello di civiltà soltanto su quei territori che una volta si trovavano all’interno dei confini o dell’impero russo o dell’Unione Sovietica. E soltanto su di essi. La diceria secondo cui la Russia vorrebbe («dopo l’Ucraina») attaccare la Polonia, per esempio, può essere pronunciata solo da pazzi, ignoranti o provocatori (il governo polacco si colloca tra questi ultimi). In altre parole, la Russia non ha alcun desiderio o intenzione, né segreta né tanto meno esplicita, di portare i paesi europei che non facevano parte dell’ex Unione Sovietica sotto il suo giogo militare, politico o anche solo economico. Non c’è alcuna prova che dimostri il contrario. Fin dall’epoca sovietica Mosca ha sempre cercato di mantenere e sviluppare relazioni di buon vicinato e di cooperazione politica, economica e civile con tutti i paesi europei. A volte, secondo me, anche a suo danno, ignorando il comportamento vergognoso nei confronti della Russia tenuto dalla maggioranza delle istituzioni europee, da molti politici europei e da paesi come la Polonia, gli Stati baltici e, negli ultimi anni, l’Ucraina nazionalista e sempre più simil-nazista.
In secondo luogo, sempre a partire dall’epoca sovietica una parte significativa della classe dirigente russa ha creduto a lungo nell’idea frivola e – come è ormai evidente – demagogica, pretestuosa, della «casa comune europea», di un’«Europa dalla francese Brest alla russa Vladivostok». L’ingenuo (scelgo la definizione più educata) Gorbačëv ci credeva ciecamente, così come tanti altri politici sempliciotti, compreso il pragmatico Putin nel corso dei suoi primi due mandati. Malgrado tale obiettivo fosse difficile da raggiungere, per quanto in linea di principio auspicabile. Finché il presidente russo non è stato costretto a dimostrare la propria delusione nei confronti di tutta la politica occidentale, nonché dell’egoismo aggressivo degli Stati Uniti e dell’impotenza politica dell’«Europa», nel suo famoso discorso di Monaco del 2007. Converrete che credere nel progetto di una casa comune europea non si addice all’intenzione di soggiogare il Vecchio Continente.
In terzo luogo, Putin è troppo pragmatico per decidere di entrare in un confronto diretto con gli Stati Uniti per il controllo di questa «Europa»: ha infatti ben capito che l’«Europa» o non vuole o non può liberarsi dai diktat di Washington (anche quando ledono i suoi interessi economici: l’esempio del Nord Stream 2 è più che lampante). È chiaro che Putin si pone degli obiettivi ambiziosi e pertanto spesso rischiosi, ma per nulla impossibili. È sempre stato intelligente, ma soprattutto non è ingenuo. Dopo tutto, più volte negli ultimi anni ha affermato in maniera diretta e pubblica che l’«Europa» non è indipendente, che è un vassallo e per molti versi un lacchè di Washington. Se c’è qualcuno con cui parlare di una «nuova divisione del mondo», non sono i vassalli e i lacchè ma il loro padrone. Che non ha intenzione di dare la libertà ai suoi servi e sudditi europei. Tanto più quando sembra che siano i più fedeli, se non gli unici, di cui dispone. Tutti gli altri stanno prendendo le distanze (o sognano di farlo). Stanno solo aspettando chi lo farà per primo, chi farà la prima breccia nel muro della Pax Americana.
In quarto luogo, mi avvicino agli ultimi avvenimenti attorno all’Ucraina e in Ucraina. Il progetto euro-atlantico (possiamo definirlo «vegetariano») che proclamava «l’Ucraina non è la Russia» si è rapidamente trasformato – sotto gli occhi del presidente Putin – in un progetto «carnivoro» che invece afferma «l’Ucraina è contro la Russia». Va anche detto che questo progetto viene curato dalla «civile Europa» con non meno attenzioni degli americani, per i quali – si sa – ogni guerra fa brodo, purché si svolga lontano dagli Stati Uniti. Proprio questa trasformazione ha confutato le idee che Putin si era fatto degli europei come «soggetti politici ragionevoli». E perché Putin (e dunque la Russia sotto la sua guida) dovrebbe lottare (contro gli Stati Uniti o gli stessi europei) per il controllo di un tale «manicomio politico», popolato e capitanato da cinici e ipocriti?
Anche chi si dichiara «democratico» e «civilizzato» dopotutto può fingere che il regime di Kiev (anche prima di Porošenko e Zelens’kyj, ma più palesemente con loro) non stia deliberatamente annientando ciò che è russo (la lingua, l’istruzione, la cultura, fino all’identità e all’ethnos) in un territorio dove vivono quasi 20 milioni di russi e 40 milioni di russofoni. Possono farlo però soltanto quei «democratici» che sono in realtà ipocriti incalliti e quei «civilizzati» che sono razzisti patentati, almeno nei confronti dei russi. Che se ne farebbero la Russia o Putin del controllo su questi «democratici» e «razzisti civilizzati» (senza contare gli sforzi necessari a ottenere questo controllo)?
Ho espresso molte volte pubblicamente il mio stupore di fronte alla politica europea in via di rapida ucrainizzazione: centinaia di milioni di europei sono state soggiogate da una minoranza politica filo-americana brussellese. Così come quaranta milioni di ucraini, tra cui milioni di russi, sono stati costretti dal 1991 a sottomettersi a poche decine di migliaia di ucraini galiziani che fanno risalire la loro discendenza personale e politica ai combattenti di Stepan Bandera e dell’Upa (Esercito insurrezionale ucraino), antisemiti ideologici e russofobi zoologici che collaborarono attivamente con i nazisti tedeschi durante la seconda guerra mondiale, si inchinavano a Hitler e compirono azioni punitive che persino alcune SS erano riluttanti a fare. Ci sono centinaia di prove che documentano tutto ciò. Nelle ultime settimane (spero temporaneamente), l’«Europa» è diventata razzista sul modello ucraino, passando alle vessazioni e persino alla repressione dei russi che vi abitano (bambini compresi), nonché allo sradicamento della lingua e della cultura russe. I due capisaldi di questo razzismo, com’è noto, sono la russofobia e l’antisemitismo.
4. Ho cercato di descrivere e spiegare l’assurdità delle idee pretestuose secondo le quali Mosca intende «soggiogare l’Europa». Ora cercherò invece di tratteggiare ciò che la Russia vuole ottenere veramente con le azioni che ha intrapreso negli ultimi mesi, comprese le operazioni risolute e rischiose in Ucraina. Mosca ha davvero dei grandi piani, delle ambizioni globali, ma queste azioni rispondono alla sua sicurezza e alla sua sopravvivenza nazionale. Per quasi quarant’anni (ovvero a partire dalla perestrojka gorbacioviana inaugurata nel 1985) la Russia ha cercato di stabilire rapporti cordiali con l’Occidente (anzitutto con i paesi dell’Europa), adottando i cosiddetti valori europei come simbolo di fede e il modello ideologico, politico ed economico occidentale come modus vivendi e operandi. Tutti questi simboli e modelli si sono rivelati di stampo puramente americano e, secondo le stime ufficiali più oneste, in trent’anni (dal 1991) un trilione di dollari è uscito dalla Russia in direzione Occidente (soprattutto Stati Uniti). Oltretutto, l’Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare – anche attraverso i modi «eleganti» dei politici europei – hanno deciso di portare la Federazione sotto il loro completo controllo politico, «facendo a pezzi» (parole di Obama) l’economia russa.
Questo è precisamente lo scopo del progetto che afferma «l’Ucraina è contro la Russia», perseguito attivamente da Usa e Ue negli ultimi anni. Il progetto si è però ampliato nel tempo tramutandosi e americanizzandosi (con la compartecipazione dei trozkisti europei) in un «Europa contro la Russia» dalle sfumature sia ideologiche sia pratiche. Stando alla versione razzista, questo progetto suona così: «I russi non sono europei». Gli europei onesti e obiettivi difficilmente non concorderebbero sul fatto che negli ultimi anni (o piuttosto, decenni) l’«Europa» ha preteso che noi russi «provassimo e dimostrassimo costantemente» di essere «europei». «Provassimo», s’intende, sotto l’occhio vigile dell’Unione Europea, del Consiglio d’Europa, degli Stati Uniti, ma anche della Polonia, degli Stati baltici e di altri nani politici europei. Alla fine, la Russia e Putin si sono stufati. La ragione concreta di tale brusco cambiamento nella politica russa di compromesso (diplomatica per sua natura e forma) è stata la crescente attività nella testa di ponte ucraina (cioè ai confini russi) da parte dei nazisti ucraini, dei loro protettori europei, dei servizi speciali e militari degli Usa e della Nato. La svolta è avvenuta il 24 febbraio 2022. La Russia, dopo aver riconosciuto l’indipendenza delle Repubbliche Popolari di Luhans’k e Donec’k, ha annunciato l’inizio di un’operazione militare speciale al fine di smilitarizzare e denazificare l’Ucraina.
Nel suo discorso del 16 marzo, Vladimir Putin ha descritto il contesto geopolitico degli eventi attuali in termini molto chiari e franchi e ha delineato l’obiettivo strategico della nuova politica russa: «Sì, molti paesi sono abituati da tempo a vivere con la schiena china e ad accettare servilmente tutte le decisioni del sovrano (gli Stati Uniti, n.d.a.), guardandolo docilmente negli occhi. Questo è il modo in cui vivono molti paesi. Purtroppo, anche in Europa. La Russia invece non si ritroverà mai in una condizione così miserabile e umiliante e la lotta che stiamo conducendo è una lotta per la nostra sovranità, per il futuro del nostro paese e dei nostri figli. Lotteremo per il diritto di essere e rimanere Russia. È chiaro che ciò che sta accadendo interrompe il dominio globale geopolitico e finanziario dei paesi occidentali. Inoltre, mette in discussione il modello economico che è stato imposto ai paesi in via di sviluppo e al mondo intero negli ultimi decenni».
Molti russi aspettavano da tempo che Putin pronunciasse queste parole; parecchi le avevano dette prima di lui. Ma ora è stato lui, il presidente della Russia, a pronunciarle. Da speranze e desideri di decine di milioni di cittadini del nostro paese, queste parole sono diventate politica ufficiale. Dunque «lotteremo per il diritto di essere e rimanere Russia» e non per un supposto «controllo dell’Europa». Il 24 febbraio 2022 la Russia ha sfidato apertamente l’egemonia americana, che da tempo schiaccia sotto al suo tallone anche quella che fu la grande civiltà europea, ovvero l’attuale Unione Europea non sovrana, chiusa nello schema della Nato. Gli «europei» non si sono decisi a ribellarsi, la Russia sì.
Concludo il mio articolo con un’affermazione che non dimostrerò, ma sulla quale invito a riflettere coloro che sono disposti a riconoscere anche le opinioni divergenti dalle proprie. Gli eventi del febbraio e del marzo 2022 sono paragonabili nella loro importanza storica e nelle loro ripercussioni globali (sic!) a ciò che accadde in Russia nell’ottobre 1917, ossia a quella che io chiamo ancora la Grande rivoluzione socialista d’Ottobre. Qui non si tratta di socialismo, ma del fatto che nel febbraio 2022 la Russia, proprio come nel 1917, si è liberata dal controllo politico, economico, ideologico e, cosa molto importante, psicologico dell’Occidente. In questo momento storico, si tratta dell’«ultima e decisiva battaglia» (parole tratte dall’inno russo dell’Internazionale) per la Russia. La vittoria della Russia è attesa non solo da milioni di suoi cittadini, ma anche da decine di paesi (segretamente, anche da molti europei). L’egemonia globale degli Stati Uniti ha subìto un colpo poderoso. Il colosso sulle gambe di dollaro lo ha capito. Ecco perché è furioso. Ma crollerà. Perderà. Se ora non mi credete, ricordate almeno questa mia dichiarazione. Tra qualche anno, vedrete voi stessi che era tutto vero.
(traduzione di Martina Napolitano)