YO,  EL  SUPREMO

per Filoteo Nicolini

                                                        YO,  EL  SUPREMO

                                     ROMANZO  DI  AUGUSTO  ROA  BASTOS

 

  Yo, el Supremo (1974) è una riflessione sull’impossibilità del potere assoluto. Nel romanzo si illustra la figura di J. Gaspar Rodriguez de Francia (1776-1840), dittatore che fondò il Paraguay, una singolare personalità tra la varietà di autocrati spagnoli e latino americani per la sua formazione illustrata e l’impulso rivoluzionario, figura d’avanguardia tra coloro che lottarono per l’indipendenza dalla Spagna. Augusto Roa Bastos (1917-2005)  non tratta il suo personaggio con benevolenza ma gli riconosce i risultati che apparivano delle vere e proprie chimere per il Paraguay del secolo XIX, cioè l’auto determinazione, l’indipendenza, la sovranità, pur con episodi di violenza e mano dura. In una intervista Roa Bastos rivelava che il nucleo della sua opera partiva dal Quijote di Cervantes, in quanto aveva immaginato un alter ego del Cavaliere dalla triste figura, qui metamorfosato nel Cavaliere andante dell’Assoluto. Un Cavaliere che credesse di forma allucinata nella scrittura del Potere e nel potere della scrittura. Un Cavaliere che cercasse di realizzare il mito dell’Assoluto nella simbiosi tra realtà obbiettiva e realtà simbolica, nell’intesa tra la tradizione orale e la parola scritta.

Con la differenza che la pazzia del Quijote era frutto della saggezza, mentre quella del Supremo Dittatore non era altro che allucinazione dell’Assoluto, annebbiamento della ragione, chiusura di fronte alla luce. C’è in Roa Bastos una abilità eccezionale nel convertire intenzionalmente in delirio ragionato ogni aspetto della realtà. L’allucinazione e la sua dilatazione oltre il reale immediato diviene paradossalmente una garanzia contro l’oblio di cui soffrono i popoli. De Francia giudica sé stesso e la sua epoca con un linguaggio delirante e assolutista. Ne deriva una insuperabile contraddizione: la libertà diviene il prodotto del dispotismo, l’indipendenza  sorge sotto il ferreo operato della dittatura perpetua. È il monoteismo del Potere.

Il romanzo comincia con il ritrovamento di una pasquinata e si sviluppa nella ricerca degli autori. Vi sono diverse modalità di scrittura che si susseguono: gli Appunti di memoria, la Circolare perpetua che contiene le istruzioni e gli ordini destinati a funzionari per loro conoscenza e adempimento, poi  i Quaderni privati che indicano la prospettiva unica da cui osserva il Dittatore, ovvero colui che detta. Vi sono infine note, osservazioni, incisi che alludono a un Compilatore con l’apparente incarico di riunire documenti, tradizioni orali, interviste.

E il Compilatore alla fine del romanzo rivelerà che la storia racchiusa nel libro è tale perchè è stata narrata, ma non per essere realmente successa, in quanto i personaggi e i fatti posseggono tutti una esistenza fittizia.

Il Dittatore è quindi colui che detta agli amanuensi il suo verbo e sostituisce scrittori, cronisti, storici, tutti essi soggetti indesiderabili per la Repubblica. Gode con potere supremo dell’esclusività della parola scritta, e quindi perseguita, reprime o espulsa coloro che ne fanno uso indebito. Per questo la pasquinata è la massima insurrezione in quanto si oppone alla Voce unica. Teme il Dittatore l’afasia e non la caduta, non lo preoccupa la perdita del Potere quanto la perdita della Parola.

Il testo è scenario del conflitto che vede opposti due idiomi e due culture, il bilinguismo che costituisce una delle caratteristiche dell’America indigena. E se il castigliano in apparenza sconfigge il guaranì, questo lo corrode da dentro, gli impone i suoi ritmi, si vendica trasformandolo. Si avverte nell’opera la sensibilità alla sofferenza del popolo paraguaiano dalle origini della sua esistenza, l’angoscia per gli emarginati della storia.

Un rigoroso amore quello di Roa Bastos verso la sua terra natale nella difesa dei suoi valori, nella critica dei suoi mali e difetti, nella ricerca di affermazione della sua identità profonda. E si sottintende un profondo amore per la Matria grande che è America latina tutta, castigata per infortuni, vicissitudini ed errori. L’opera di Roa Bastos è stato a volte criticata come deliberata mostra delle parti in ombra della sua Nazione, quando invece ha avuto il compito di decifrare enigmi e contraddizioni, dove si sovrappongono luci ed ombre e si avvertono i dolori di parto di nuove nascite e speranze. Il complesso testo è costruito di forma ammirabile, fatto della stessa sostanza della vita e delle anime che popolano il Paraguay. La storia è presa come materia di finzione, il testo è reale e immaginario allo stesso tempo. Il Paraguay è visto come una sfera particolare dentro di America e tuttavia unita al resto del Continente per una religiosità diffusa, coscienza del eroismo e ripugnanza di fronte alla corruzione.

La storia politica e istituzionale che viene raccontata è temperata dalle leggende popolari, da costumi e credenze religiose. Si percepisce una identificazione tra gli affanni del personaggio storico e la tensione dell’autore. A chi appartengono le parole: ” …Solo il silenzio mi ascolta paziente, silente, seduto insieme a me, su di me. Unicamente la mano continua scrivendo senza fermarsi. Animale dotato di vita propria, agitandosi, intrecciandosi su sé stessa senza pausa. Scrive, scrive, spinta, scossa da una ansia convulsa…”?

La personalità del dottor di Francia appare contraddittoria, colta, selvaggia, misantropa, egoista, patriottica. Forse specchio del Paese sudamericano. Il tempo del romanzo è quello in cui il Supremo detta al suo scrivano. Affermazioni, racconti, riflessioni, ammonimenti, condanne, anatemi, parolacce, tutto quello di cui dispone il linguaggio di fronte alla realtà. L’amanuense Patiño tarda nel redigere, lento e goffo, mentre gli viene dettata e raccontata la Storia del lento procedere della Nazione tra invasioni, guerre e complotti.

La relazione tra il personaggio storico e il protagonista del romanzo è quella che esiste tra realtà e mito, tra storia e immaginazione, che a suo modo indica un’altra verità non meno valida. Mentre lo storico lavora con documenti e prove testimoniali per  ricostruire una epoca, dunque enuncia e spiega, il compito di chi narra cerca segni rivelatori nella relazione dei fatti mediante simboli. Tende dunque a una rivelazione più profonda dei fatti, dei sentimenti e delle credenze collettive mediante fasci di nuove relazioni.  L’autore cerca nei simboli  la visione di immagini che si moltiplicano ed arricchiscono il mito. Allora si pone in evidenza la coscienza storica e sociale degli avvenimenti narrati. La lettura storica semplifica i fatti che si oscurano e perdono la ricca complessità vitale, mentre il mito così elaborato genera nuovi significati. Qualcuno ha paragonato il mito a uno specchio rotto che riflette nei suoi frammenti immagini sempre nuove della complessità.

 

Il romanzo Yo, el Supremo di A. Roa Bastos  si unisce idealmente ad altre opere come El Otoño del Patriarca di G. Garcìa Marquez,  Tirano Banderas di Ramòn Valle Inclàn, El Señor Presidente di Migual Angel Asturias, El Recurso del Mètodo di Alejo Carpentier, Oficios de Difuntos de Uslar Pietri, La Fiesta del Chivo di Vargas Llosa. Tutte dedicate ad illustrare figure centrali delle dittature che hanno caratterizzato i secoli XIX e XX.

FILOTEO NICOLINI

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