Zero eventi e celebrazioni. Il silenziatore del governo sulla memoria di Matteotti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fabio Martini
Fonte: La stampa

Zero eventi e celebrazioni. Il silenziatore del governo sulla memoria di Matteotti

La legge Segre aveva stanziato 700 mila euro per ricordare il centenario della morte. Ma i rinvii di Palazzo Chigi hanno bloccato tutto: entro il 10 giugno non si farà nulla

Oramai sugli scaffali delle librerie manca lo spazio: in 4 mesi e mezzo sono usciti addirittura ventidue libri su Giacomo Matteotti e altri sono in arrivo. Nel frattempo in giro per l’Italia stanno spuntando Comitati, mostre, dibattiti sul martire socialista: un magma inatteso e spontaneo di iniziative in vista del centesimo anniversario del delitto Matteotti. Un boom sul quale pesa il retropensiero di tanti al contesto politico. Come dire, senza dirlo: allora il mandante era Mussolini, oggi a Palazzo Chigi c’è la “post-fascista” Giorgia Meloni.

Attualizzazioni semplicistiche che chiamerebbero in causa il governo, ma il condizionale si impone: sull’anniversario di Matteotti per ora Palazzo Chigi si è defilato e quel poco che era di sua spettanza, lo ha fatto col supporto di un corposo silenziatore: rinviando e sopendo. Con un primo effetto paradossale: nessuna delle iniziative previste dalla “legge Segre”, che ha stanziato 700 mila euro, potrà svolgersi (salvo miracoli) entro il 10 giugno, il giorno di cento anni fa nel quale Matteotti fu ucciso.

Ma c’è un altro dato eloquente: l’unica istituzione che sta lavorando attivamente ad una cerimonia solenne non è il governo ma la Camera dei deputati: per il 30 maggio, giorno dell’ultimo discorso parlamentare di Giacomo Matteotti, è prevista una seduta speciale, in diretta su Rai1, alla quale parteciperà il Capo dello Stato e nel corso della quale un attore reciterà il discorso del deputato socialista, il discorso più coraggioso della storia del Parlamento. Una cerimonia promossa dal presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, che sta connotando il suo mandato con uno stile istituzionale, super partes, diverso da quello di molti predecessori e che lo ha portato di recente a definire l’eccidio delle Fosse Ardeatine un crimine “nazi-fascista” e non soltanto “nazista” come invece lo ha ricordato il presidente del Senato Ignazio La Russa.

Certo, un anniversario – pur importante come questo – non suggerisce alcun obbligo formale al governo e alla sua Presidente, come quelli imposti da una festa nazionale come il 25 aprile e tuttavia nel delitto Matteotti c’è qualcosa di ineludibile, qualcosa che interpella in primis la destra italiana. E quel qualcosa è stato evocato alcuni giorni fa nel corso di un convegno promosso a Roma dal Forum Terzo Millennio: «Se andiamo all’essenza del delitto Matteotti – ha detto il professor Beppe Scanni – quello fu il primo, vero delitto di Stato nella storia unitaria e come tale interpella chiunque si richiami a quella storia».

Un delitto di Stato. In effetti nella narrazione dell’estrema destra c’è sempre stato un vuoto interpretativo che riguarda l’inizio del «male assoluto»: con le leggi razziali o prima? Nel catalogo della mostra su Matteotti organizzata dal Comune di Roma compare un contributo del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che traccia coordinate non del tutto scontate: vi si legge della «vita brutalmente spezzata di un oppositore del fascismo», di un delitto dopo il quale «venne meno ogni teorica speranza che il regime potesse conservare traccia democratica» e il «fantasma di Matteotti aleggiò per tutti gli anni della dittatura fascista». Come dire: è quel delitto e non le leggi razziali il vero Rubicone del fascismo.

Presto per dire se in vista del 25 aprile sia alle viste una revisione più profonda di quella – pur significativa – di Giorgia Meloni nella sua lettera di un anno fa al “Corriere della sera” ma la gestione del dossier Matteotti da parte della Struttura di missione Anniversari, di stanza a palazzo Chigi, è eloquente: la legge Segre per le celebrazioni del centenario viene approvata all’unanimità il 10 luglio 2023 e prevede che il «Presidente del Consiglio provvede, con proprio decreto, ad adottare entro 60 giorni all’istituzione di un bando di selezione di progetti» da realizzarsi entro il 2024. Ma il decreto presidenziale non è arrivato, come imponeva la legge, entro due mesi ma addirittura dopo sei: molto tardi. Perché a questo punto, nonostante l’apposito Comitato presieduto da Luciano Violante abbia bruciato i tempi, i progetti approvati, non riusciranno ad essere operativi entro il 10 giugno. Una gestione infelice dei fondi che il Parlamento aveva voluto dedicare al più coraggioso dei suoi difensori.

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