25 aprile: la liberazione ad Acqui Terme

per Gabriella
Fonte: isral

Sui giorni della Liberazione di Acqui pubblichiamo un estratto della Tesi di Laurea di Gian Fanco Ferraris “L’Acquese tra resistenza e ricostruzione (1943 – 1950)”, nel quale sono riportate le testimonianze dirette, a tratti contraddittorie, di alcuni protagonisti.

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da www.isral.it

Nei giorni della Liberazione, Acqui divenne crocevia obbligato d’ingenti reparti nazifascisti, che dalla Liguria ripiegavano, forti di migliaia di uomini ben armati, verso la Pianura Padana, dove lo Stato maggiore tedesco aveva previsto un’ultima linea difensiva. A partire dal 24 aprile, tra il sontuoso Hotel Terme ed il comando della Divisione fascista San Marco, alle vecchie Terme militari in Zona Bagni, si svolsero le concitate trattative tra Cln e comandi nazifascisti, per giungere alla liberazione incruenta della città. L’accordo venne raggiunto, anche grazie alla mediazione del Vescovo, Monsignor Giuseppe Dall’Omo, e permise la smobilitazione dei reparti nazifascisti, che lasciarono Acqui senza spargimento di sangue, evitando il temuto combattimento casa per casa e l’annunciato bombardamento di Acqui, da parte dell’aviazione inglese. Le operazioni sul campo, tuttavia, proseguirono sino al 27 aprile, con l’aviazione angloamericana che mitragliò ripetutamente le lunghe colonne di uomini e veicoli nemici in rotta, in marcia sulla statale per Alessandria, soprattutto nel rettilineo tra Villa Olga e Caranzano.
Tra l’autunno 1943 e la primavera 1945 nell’Acquese operarono diverse formazioni partigiane, andate organizzandosi, nell’estate del 1944, intorno alla Divisione “Viganò”, forte di tre Brigate, schierate nella zona tra Ponzone, Cassine ed Ovada; la Divisione “Mingo”, tra il Sassello e l’Ovadese, verso il Genovesato, con attività anche nel Novese; le Divisioni garibaldine, del basso Astigiano, del Savonese; le formazioni di Giustizia e Libertà, di Val Bormida e Nicese; i gruppi autonomi della “Mauri”, tra Langhe e Val Bormida. Nonostante Acqui Terme, per la sua posizione strategica sulle vie di comunicazione tra Liguria e Piemonte, fosse massicciamente presidiata da Wermacht, Ss, Gnr ed in seguito dalla fanteria di marina San Marco e dagli alpini della Monterosa, diversi furono gli episodi di Resistenza anche in città.
Nella notte tra l’8 ed il 9 settembre 1943, i tedeschi presero il controllo degli edifici militari. L’ultimo a cadere fu la Caserma Battisti, in Via Roma, sede del Reggimento d’artiglieria. I soldati italiani, assediati dai nazisti, si difesero strenuamente, sino al giorno successivo, nonostante le poche armi ed il bombardamento a colpi di mortaio dell’edificio, che danneggiò anche l’attigua Chiesa di San Francesco. Il cippo in Piazza d’armi ricorda gli artiglieri combattenti: in due persero la vita nell’assalto nazista. Molti soldati riuscirono a fuggire dalla caserma e al rastrellamento, soprattutto grazie all’azione coraggiosa delle donne acquesi, trovando rifugio ed aiuto, cibo ed abiti civili, nel vicino Quartiere Pisterna. Tra i vicoli del rione, oggi eletto a “Borgo del vino”, furono in tanti a trovare salvezza da certa deportazione, molti dei quali vennero accolti nella chiesa di Sant’Antonio.
In Piazza San Guido, una lapide alla scuola Bella racconta di 5 partigiani, catturati dalla Gnr, nelle Langhe, tradotti ad Acqui, torturati per giorni e passati per le armi. In Via Cassino, una targa ricorda il partigiano Giuseppe Oddone. In missione ad Acqui, il 16 marzo 1945, fu intercettato dai fascisti sul treno da Genova ed inseguito sino in centro. Bloccato in strada, fu fucilato sul posto.
In Vicolo della Pace, la casa che fu sede di riunioni clandestine del Cln locale reca una lapide con i nomi dei membri del Comitato.
All’interno dell’antica Cattedrale (anno 1067) una pregevole icona ed un’ampolla, contenente terra della steppa russa, ricordano il sacrifico degli artiglieri acquesi dell’Armir, caduti nella disfatta della campagna di Russia.
In Via Trucco, una targa commemora la fucilazione del partigiano Natalino Testa “Carlino”. Sorpreso dai fascisti mentre tentava di organizzare l’evasione di alcuni compagni incarcerati, venne fermato ed immediatamente ucciso nel cortile dell’allora cinema Garibaldi. All’esecuzione procedettero direttamente gli ufficiali, poiché nessun milite obbedì all’ordine di fuoco.
In Via Angela Casagrande, un bassorilievo ricorda la giovane operaia acquese uccisa da squadristi fascisti nel 1921.
Nei giardini del liceo classico, un grande monumento celebra “Ora e sempre Resistenza” in otto diverse lingue, e nei giardini della stazione ferroviaria una lapide celebra gli alpini caduti per la Libertà.
Nell’omonimo corso una lapide ricorda la figura del comandante partigiano Eugenio Guido Ivaldi “Viganò”. Questi fu instancabile organizzatore del movimento di Liberazione nell’Acquese e costituì, con altri, il primo nucleo cittadino del Cln. Arrestato dai nazisti il 16 maggio 1944, fu a lungo detenuto e torturato, senza mai nulla rivelare del movimento partigiano. Trasferito a Borgo San Dalmazzo (Cn), venne fucilato. I compagni partigiani intitolarono a suo nome la 79° Brigata Garibaldi, divenuta poi XVI Divisione, che nell’aprile 1945 liberò la città di Acqui.
Alla periferia della città, seguendo la strada che ne porta il nome, si raggiunge il Santuario della Madonalta, suggestiva chiesa campestre, che fu luogo d’incontro clandestino per il Cln acquese. Al cimitero urbano alcune lapidi, all’ingresso, riportano i nomi dei Caduti acquesi nelle guerre 1935-1945, in Eritrea, Grecia, Nord Africa, Russia, Balcani ed alcuni deportati e partigiani.

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Gli ebrei acquesi e la Shoah

Sotto i Portici Saracco, poco distante da Piazza della “Bollente” e dal luogo in cui sorgeva un tempo la Sinagoga di Acqui, alcune lapidi ricordano i nomi dei deportati ebrei nei lager nazisti e dei civili acquesi, caduti sotto i bombardamenti. La piccola comunità ebraica acquese, 200 persone ad inizio Novecento, non sopravvisse alla Shoah e si disperse. Il ghetto ebraico di Acqui si snodava tra suggestivi vicoli intorno alla “Bollente”.

Oggi non vi è più traccia della Sinagoga (fondata nel 1888 e demolita nel 1973, quando era chiusa da molti anni) ed è solo visibile lo storico cimitero ebraico di Via Romita. Alcune lapidi sono ornate da simboli funerari non appartenenti alla tradizione ebraica, ad esempio un’urna parzialmente coperta, di evidente ispirazione classica.

Gli ebrei di Acqui, arrestati, in gran parte dai militi italiani e deportati nei campi di sterminio, furono 22. In Via Salvatori, sorge l’altro cimitero ebraico cittadino, situato a ridosso della collinetta del antico castello dei Paleologhi. Il cimitero fu aperto nel 1835, reca circa 350 sepolture. Il luogo è “museo” ed “archivio” storico in pietra della vita della comunità ebraica acquese degli ultimi due secoli.

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la foto ritrae Giovanni Pesce “Visone”, famoso comandante partigiano dei GAP, originario di Visone, e sua moglie Onorina Brambilla, anche lei partigiana.

 

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