Fonte: La Stampa
Anna Foa: 25 Aprile? Ottant’anni dalle prime grandi celebrazioni a Liberazione avvenuta, con alleati e partigiani sui palchi improvvisati, le bandiere e folle immense nelle piazze. Le prime celebrazioni di quello che celebriamo oggi, ottant’anni dopo: la fine della guerra, dell’occupazione nazista, del regime fascista di Salò, dei massacri, della fame, degli arresti. Per gli ebrei, dei nascondimenti e della costante paura della deportazione.
Sono passati ottant’anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ottant’anni dall’insurrezione delle grandi città del Nord, Genova, Torino e Milano. Ottant’anni dalle prime grandi celebrazioni a Liberazione avvenuta, con alleati e partigiani sui palchi improvvisati, le bandiere e folle immense nelle piazze. Le prime celebrazioni di quello che celebriamo oggi, ottant’anni dopo: la fine della guerra, dell’occupazione nazista, del regime fascista di Salò, dei massacri, della fame, degli arresti. Per gli ebrei, dei nascondimenti e della costante paura della deportazione.
Che cosa resta di quel momento, di quel clima? Come celebrare oggi, dopo tanti cambiamenti, in Italia e nel mondo, e tanti lutti che ritornano ad affliggerci, a farci temere per il nostro futuro e per il futuro del mondo? Perché una delle più importanti conquiste di quel momento era stata la speranza. Sui volti delle folle sorridenti, su quelli dei partigiani che scendevano dalle montagne nelle città liberate, c’era chiaro il segno della speranza in un mondo migliore, e dell’impegno di tanti a costruirlo. Era la fine della monarchia, con le donne che andavano a votare come cittadine a pieno titolo, la nascita della Costituzione. E per il mondo c’era la nascita del diritto internazionale, i cui tribunali avrebbero impedito altri genocidi, limitando la violenza delle guerre contro i civili.
C’erano però anche altri sentimenti, altri progetti in quei momenti: la paura che non fosse davvero finita, che i fascisti potessero tornare al potere; la consapevolezza degli enormi compromessi che si sarebbero dovuti fare in un mondo già diviso in due parti, già avviato alla guerra fredda, primo fra tutti la rinuncia quasi completa in Italia a punire i perpetratori, sancita dalla legge sull’amnistia. Il lutto per chi era morto, nelle guerre, nei campi di concentramento, nelle deportazioni. Ma la spinta a prendere in mano il futuro, dopo tanti anni di dittatura e di occupazione, era forte. E quando, quindici anni dopo appena, gli eredi della Repubblica di Salò tentarono di entrare a far parte dell’area di governo, ci fu una grande sollevazione che glielo impedì. Era il luglio del Sessanta, con i ragazzi dalle magliette a strisce nelle piazze e la polizia che sparava. Ma poi venne il centro sinistra, e l’Europa, l’Unione degli stati europei sognata da alcuni antifascisti nella prigione del confino di Ventotene, e realizzata in modo tale da consentire all’Europa la pace dopo mezzo secolo di guerre.
Cosa ne resta oggi? Gli eredi del MSI, a sua volta erede dei repubblichini di Salò, governano il Paese. Non più come i fascisti del ventennio, certo, nulla nella storia si ripete uguale, ma con l’intento, ove riescano, di limitare i diritti, di sollecitare i nazionalismi, di allearsi con le forze più estreme della destra, dagli Usa all’Europa. Il loro rifiuto dell’esistenza stessa dell’Unione Europea è così intrinseco da averli portati ad attaccare i padri dell’Europa e il loro Manifesto di Ventotene. Il loro rifiuto delle differenze e delle alterità li spinge a combattere i migranti, come con violenza assai maggiore e con maggior disprezzo della legalità fa il loro alleato, il Presidente degli USA Trump. Siamo ancora una democrazia? Domanda che va purtroppo rivolta a molti paesi, a molte forze politiche in questa nuova era di declino delle democrazie. Il mondo ci sembra rovesciarsi, e soprattutto troppi sembrano accoglierne il rovesciamento con rassegnazione o addirittura con accettazione.
L’aggressione di tre anni fa dell’Ucraina da parte di Putin non smette di fare vittime, mentre sempre più si rafforza un sentimento di rinuncia a difendere i diritti dell’aggredito, la rassegnazione alla vittoria della forza. Come in Ucraina, anche in Medio Oriente assistiamo impotenti alla vittoria della violenza, ormai fuori da ogni ragione e ogni controllo. E l’antisemitismo, che credevamo sconfitto, rialza la testa, mentre il governo israeliano definisce ogni critica alla sua politica come tale. E intanto, una delle più alte conquiste del dopoguerra, il diritto internazionale, viene attaccato e distrutto proprio da coloro che dovrebbero difenderne le ragioni con più forza.
In questo contesto, credo sia ancora più necessario che le celebrazioni del 25 aprile vedano ricomposta la frattura fra istituzioni ebraiche e Resistenza che in molte città italiane si è realizzata negli scorsi anni in seguito a pretestuose polemiche sulla Brigata Ebraica. Brigata che come parte dell’esercito britannico ha combattuto in Italia contro i nazifascisti ed ha quindi tutto il diritto di sfilare accanto alle rappresentanze degli altri eserciti alleati. Ma occorre anche che da parte ebraica si riconosca il ruolo dei partigiani ebrei italiani, che come italiani hanno combattuto accanto ai resistenti non ebrei, che non hanno da parte loro mai manifestato alcuna ostilità contro di loro. Hanno combattuto insieme contro l’oppressione e il razzismo, e insieme possono, e devono, sfilare adesso, contro ogni forma di razzismo e di oppressione. Non salverà il mondo, ma aiuterà forse a riprendere almeno una briciola di quella speranza di allora, di quella volontà di essere protagonisti, di cambiare il mondo, di mantenere intatta la propria anima.