“Alla fine di una riflessione travagliata ho deciso che voterò per Liberi e Uguali”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Riccardo Achilli
di Riccardo Achilli – 7 gennaio 2018
 
Considerazioni personali sul voto
 
Alla fine di una riflessione travagliata ho deciso che voterò per LeU e, se mi verrà chiesto, nei limiti molto angusti del tempo a mia disposizione e delle mie capacità, farò anche volontariato in campagna elettorale. Ed invito anche chi ha deciso di abbandonare LeU, pur comprendendone le ragioni, a tornare indietro, magari leggendo questa mia nota.
Si tratta di una scelta non facile, cui sono pervenuto dopo alcuni altri tentativi di adesione ad altre formazioni, che mi hanno convinto definitivamente dell’irresolubile settarismo paternalistico, dell’identitarismo astratto e anche, in alcuni casi, di certi pericolosi collateralismi, di ciò che rimane della sinistra cosiddetta “radicale” (aggettivo peraltro poco convincente per descrivere tali realtà, forse sarebbe meglio descriverle con il titolo di un romanzo di Soriano: tristi, solitarie e finali). E vi sono pervenuto anche dopo una fase in cui ho pensato di disimpegnarmi e di mandare tutto in vacca, aggiungendomi alla schiera degli astensionisti.
Dopo tutto questo travaglio, costatomi anche amicizie e credibilità personale, ho ritenuto di dover accettare una ovvia verità: in politica, come nella vita, non serve a niente la monade di chi si ritiene depositario della Verità, ma il collettivo di chi lavora affinché almeno un frammento di tale Verità si attualizzi nella vita sociale. Per fare ciò serve, ovviamente, una mediazione onesta fra ciò che individualmente si pensa che occorrerebbe fare e ciò che chi è in condizioni di incidere, anche solo di poco, nella vita politica del Paese, ritiene di volere o potere fare. La situazione della sinistra è disperata, dentro un contesto complessivo di disfacimento del Paese, tale da far immaginare persino scenari, nemmeno troppo lontani, di svolta autoritaria come ultima strada praticata dalle élite interne ed esterne per tenere insieme il caos in cui la società italiana precipita. Il nostro Paese non è abituato al liberismo, non fa parte del suo DNA, a differenza delle società anglosassoni e protestanti. Ogni tentativo di imporre il liberismo all’Italia sfocia nei paternalismi giolittiani, nei periodi buoni, o negli uomini forti che promettono protezioni sociali in cambio della libertà, in quelli cattivi.
L’unica fioca speranza di invertire un percorso di inevitabile distruzione è nell’hic et nunc di chi ha i numeri per entrare nelle istituzioni, non in un domani in cui i Puri potranno affermare finalmente le loro ragioni motivate da studi ed intelligenze superiori, con le loro mani candide per non essersi sporcati nell’arte del compromesso, che in definitiva è l’essenza della politica. Non in ipotetiche liste pseudo-arcobaleniste, guidate da leader già usurati prima ancora del voto, che molto difficilmente arriveranno alla soglia di sbarramento. Per fare politica oggi non serve la testimonianza. La politica moderna è fatta di soldi, di capacità di accesso alla comunicazione ed ai media, di una leadership efficace. Il segreto dell’esplosione dei 5 Stelle è stato questo. Una azienda che ha sponsorizzato il Movimento, investendovi dei quattrini, una capacità di penetrare nei canali della comunicazione di massa, legata alle competenze in materia di reti sociali della predetta azienda, ma anche agli agganci, tutti documentabili, perché seduti nel Cda, che tale azienda poteva vantare con il mondo giornalistico e televisivo, un leader che, con il suo nome, era in grado di portare in piazza migliaia di persone, che magari andavano a vederlo anche senza essere interessate al messaggio politico.
Piaccia o meno, l’unica risorsa politica a sinistra che ha ancora qualche soldo (magari perché riesce ancora a far eleggere qualche consigliere o parlamentare, che contribuisce con la sua indennità, e perché ha ereditato la cassa della ex SEL) e un minimo di organizzazione sul territorio, ancorché insufficiente, è LeU. Che è anche l’unica ad avere una scuola politica dalla quale, si spera, prima del 2030 Odissea Nello Spazio, possa uscire un leader in grado di bucare lo schermo e fare proseliti. L’ascesa del Quarto Potere mediatico e la fine del finanziamento pubblico a partiti e relativi giornali hanno segnato un salto di qualità nella verticalizzazione del potere politico, oramai sempre più oligarchico e sempre più chiuso ai piccoli gruppi, a prescindere dalla cultura politica che esprimono, ma che non hanno i mezzi per veicolare all’opinione pubblica, e non hanno una strutturazione organizzativa minima per far crescere classe politica e selzionare leadership.
Detto questo, evidentemente nisciun’è fess’. I limiti della costruzione di LeU sono evidenti, non mi dilungherò a parlarne. Lo scenario che si fa sempre più probabile per il dopo-4 marzo è quello di una condizione di ingovernabilità in cui il compromesso ruoterà attorno ad una qualche forma di prorogatio del Governo-Gentiloni, in attesa di un nuovo voto fra autunno ed inizio inverno. In questo modo, Berlusconi potrà contare su una molto probabile sentenza favorevole della Corte Europea dei Diritti Umani e quindi in una rinnovata agibilità politica, potendo rapidamente tornare in campo personalmente in ciò che sa fare meglio (guidare una campagna elettorale da leader della coalizione) senza dover creare un proconsole da strangolare successivamente, soffocando definitivamente le ambizioni lepeniste-bonapartiste di Salvini, con la Lega da ricondurre a fedele alleato di Governo. Al contempo, nell’area del “centrosinistra”, la fase intermedia che si aprirà con la prosecuzione del Governo Gentiloni consentirà di regolare i conti, ammazzare politicamente Renzi e quindi, senza più il rignanese fra le scatole, ricostruire un centro-sinistra anni Novanta, ovvero una coalizione fra sinistra di governo, Pd e centristi. Solo l’ambizione sempre più sbiadita e perdente del rignanese di portare il Pd a conquistare i presidi elettorali storici di Forza Italia, denominata “partito della Nazione” impedisce questo progetto, fortemente voluto non solo da Pisapia, ma anche dai vertici di Mdp (in fondo desiderosi di tornare dentro l’ovile del Pd una volta che l’agnello cattivo, che li voleva rottamare, sia stato sgozzato) e dall’area moderata e governista della ex SEL. Tale progetto (far fuori Renzi e poi ricostruire il centro-sinistra con il trattino) viene spiegato in modo cristallino dall’organo di stampa di LeU, ovvero Il Manifesto, in un editoriale odierno dell’ineffabile Asor Rosa, intitolato “Se Renzi perde il centro-sinistra si avvicina”.
A questo punto, e cioè dopo il voto, si misurerà veramente quanto LeU possa rappresentare, pur con i suoi evidenti limiti, un germe per la rinascita di qualcosa a sinistra. C’è modo e modo per ricostruire un tessuto di alleanze che, diciamolo francamente, sarà inevitabile. C’è un modo che può aprire spazi all’accoglimento di rivendicazioni di sinistra, che storicamente è rappresentato dal ricordo del centrosinistra degli anni Sessanta, che coniò lo Statuto dei Lavoratori, e c’è un modo ancillare, rappresentato plasticamente dal moderato social-liberismo che permeava lo spirito dell’Ulivo, dell’Unione e per ultima di IBC. Fra questi due modi di allearsi passano fattori storici esogeni (ad esempio il contesto degli anni sessanta, in cui il capitalismo welfaristico era una necessità storica per frenare l’avanzata del comunismo nei Paesi occidentali, Italia compresa, e il clima da “Fine della Storia” conseguente alla caduta del muro di Berlino a partire dagli anni Novanta). Ma i fattori storici esogeni sono solo una parte della questione. E, detto “en passant”, se persino il FMI, Draghi e Mattarella parlano della necessità di una nuova fase di crescita dei salari, forse si intravede uno spiraglio in cui infilare una proposta di sinistra, poiché il liberismo si sta accorgendo, a suo danno, della immanente fragilità di chi ha stravinto, ma proprio per aver stravinto non riesce più a contenere la rabbia sociale dei perdenti, sempre più pericolosamente indirizzata verso i populismi.
L’altra parte della questione è la capacità di dotarsi di un progetto culturale, prima di tutto, e politico, di conseguenza, sufficientemente robusto, credibile e radicato in fasce solide di elettorato fidelizzato, tramite il quale negoziare l’appartenenza alla coalizione da posizioni intellettuali (ed anche da presidi elettorali) forti. Se si possiede questa forza, si è in grado di imporre un compromesso alto. Diversamente, si rimane ancorati ad una sinistra affabulatoria ed allucinata, sostanzialmente di servizio. Ma per dotarsi di tale progetto culturale, servono alcune cose. Serve la costruzione di una organizzazione partitica solida, fisica e non solo virtuale, in grado di far crescere una classe dirigente politica e di diffondere cultura politica, di radicarsi sul territorio e quindi di far vivere la sinistra dentro le ferite prodotte dalle contraddizioni reali. Non i meet up o le illusioni della rete. Serve dotarsi di persone che sappiano fare analisi sociale e tradurla in proposta politica. Che abbiano proprio la professionalità per farlo, e la voglia di farlo. Serve una dirigenza politica ricettiva, ed anche un certo grado di ricambio della stessa. Servono regole interne di democrazia e partecipazione, ma anche una responsabilizzazione del gruppo apicale nell’indicare una direzione di marcia.
Se LeU saprà dotarsi di tutto ciò, o quanto meno vorrà andare in direzione di quanto detto sopra, anche lentamente o confusamente, allora, personalmente, continuerò a sostenerla. Se invece il progetto è solo quello di tornare agli anni Novanta, con una coalizione raccogliticcia socio-liberista in cui giocare il ruolo dei bambini un po’ discoli ma che alla fine si allineano, magari nel nome di un resuscitato anti-berlusconismo, condito da un po’ di anti-populismo, magari in cambio di qualche piccola concessione su diritti civili, Lgbt ed altre amenità, allora saprò che l’occasione, probabilmente l’ultima, sarà stata buttata via, e scenderò dalla giostra.
La fiducia è sempre qualcosa che si dà a termine, e che si ritira altrettanto rapidamente.
 
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