Chi ha cambiato il mondo?

per Gabriella
Autore originale del testo: Marino Badiale
Fonte: il-main-stream.blogspot.it

Chi ha cambiato il mondo?

CHI HA CAMBIATO IL MONDO? – DI IGNAZIO MASULLI – ed. LATERZA

di Marino Badiale  da il-main-stream.blogspot.it

Il libro di Masulli è un’ottima sintesi storica dell’evoluzione del capitalismo negli ultimi trent’anni. Partendo dalla “crisi sistemica” del capitalismo negli anni Settanta, il libro analizza le risposte che a tale crisi hanno dato i ceti dirigenti, mettendo in evidenza soprattutto tre aspetti:

“1) La delocalizzazione produttiva nei paesi meno sviluppati che, proprio per questo, consentivano bassa remunerazione del lavoro e condizioni di supersfruttamento; 2) un’automazione senza precedenti della produzione e una crescente informatizzazione dei servizi (…); 3) un consistente spostamento d’investimenti nel mercato finanziario.” (Introduzione, pag.XVIII)

 

Ad ognuno di questi aspetti il libro dedica un capitolo, per proseguire analizzando le conseguenze di queste dinamiche sui lavoratori sia dei paesi avanzati sia di quelli in via di sviluppo ed emergenti. Per quanto ci riguarda, si tratta di ciò che vediamo succedere da anni, sotto tutti i governi: perdita dei diritti del lavoro, lenta distruzione del Welfare State. L’autore mostra come sviluppi simili, necessariamente differenziati nei tempi e nei modi ma sostanzialmente analoghi quanto alla tendenza di fondo, si siano avuti nei principali paesi industriali: Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Stati Uniti.

La ricostruzione storica compiuta da Masulli ci sembra precisa, chiara ed efficace. Si può forse dissentire da alcune delle conclusioni cui arriva l’autore, quando scrive

“la ristrutturazione capitalista attuata nell’ultimo trentennio si è conclusa con un bilancio fallimentare, sia sul piano economico che sociale e politico. (…) il deciso spostamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro a favore del primo verificatosi nell’ultimo trentennio ha consentito la riproduzione di logiche tradizionali e affatto unilaterali nei modi di determinazione del profitto e di sfruttamento del lavoro. Possiamo anzi dire che sotto diversi aspetti si sono registrati arretramenti e svolte decisamente conservatrici” (pag. 215)

Il dissenso non sta nella ricostruzione dei fatti, ma nella loro interpretazione come “fallimento”: ciò che è successo negli ultimi trent’anni è certo un fallimento dal punto di vista dei diritti dei ceti sulbaterni, e dello sviluppo di una civiltà sociale avanzata, ma tutto ciò non riguarda, ovviamente, la logica dell’accumulazione capitalistica, che è il fondamento della riproduzione sociale, finché siamo nel capitalismo. E da questo punto di vista ciò che è successo negli ultimi trent’anni è ovviamente un grande successo: ad una crisi dell’accumulazione e dei profitti si è risposto con una serie di misure che hanno permesso la ripresa di accumulazione e profitti. Certo, a sua volta il nuovo meccanismo è entrato in crisi, ma le crisi fanno parte della natura stessa del modo di produzione capitalistico. La nuova crisi troverà presumibilmente una risposta con nuove forme di regolazione dell’accumulazione.

Nonostante questo dissenso su alcune della valutazioni finali, è un testo di cui consiglio la lettura, perché chiaro, ben scritto e ben organizzato, e senz’altro utile per avere una visione sintetica di alcuni mutamenti fondamentali nella storia del mondo degli ultimi trent’anni.

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