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di Luca Billi 15 gennaio 2015
Credo che uno dei pezzi di satira più riusciti di sempre sia il celebre discorso di Nerone di Ettore Petrolini. L’autore romano aveva portato in scena molte volte questo personaggio, che noi conosciamo grazie al film omonimo del 1930. La scena è notissima: l’imperatore Nerone sta a casa sua e il popolo lo vuole morto perché ha incendiato Roma; allora va alla finestra e fa un discorso per calmare gli animi. Alla fine il popolo gli grida “bravo!” e Nerone risponde “grazie“. E proprio questo gioco del bravo-grazie, ripetendosi più volte, crea un incredibile effetto comico.
I fascisti stupidi ridevano delle smorfie dell’attore, di quelle mosse antiche che, attraverso la commedia dell’arte risalivano proprio al tempo in cui la satira era nata, nella Roma antica. I fascisti intelligenti si infuriavano perché capivano benissimo che quell’imperatore da strapazzo, eppure capace di farsi applaudire dalla plebe, era allora il Duce, come è oggi qualsiasi politicante che salga alla ribalta; ed erano tanto più arrabbiati, perché non potevano vietare quella satira sottilmente allusiva, se non volevano ammettere che il bersaglio era proprio Mussolini. Il pubblico rideva e allo stesso tempo era costretto a pensare. Gli antifascisti infine potevano sperare che qualcosa sarebbe cambiato, se un guitto dell’avanspettacolo poteva mettere alla berlina il dittatore della terza Roma.
La satira deve riuscire a fare tutto questo, deve far ridere, deve far pensare, deve far infuriare, deve far sperare. E soprattutto deve riuscire ad arrivare a tutti, anche se ognuno poi ne coglie un significato diverso. Per questo è così difficile fare satira. E, a volte, così pericoloso.
Credo abbiate immaginato che alla fine il discorso sarebbe caduto qui, perché in questi giorni tutti siamo Charlie, tenendo in mano le nostre matite. Ovviamente non tutti siamo Charlie, perché non tutti siamo capaci di scrivere e di disegnare con la vena cattiva tipica di quel giornale, e perché, se anche lo fossimo, non useremmo così la nostra capacità. Personalmente non amo molto Charlie Hebdo e i giornali di quel tipo, perché credo che quell’impostazione così radicale, spesso di una volgarità violenta, finisca per far perdere efficacia alla satira e soprattutto manchi uno degli obiettivi che ho detto sopra. Petrolini parlava a tutti, faceva ridere tutti e qualcuno – forse molti – capivano il suo messaggio, anche chi andava a teatro dichiarandosi fascista. Charlie Hebdo invece fa ridere chi è già pronto a cogliere quel messaggio; molti si rifiutano di leggere Charlie Hebdo, certamento non lo acquistano i fascisti dei tempi nostri, perché sanno già chi colpirà – ossia loro – e così quella satira finisce inevitabilmente per essere letta solo da chi è già convinto del messaggio che vuole mandare.
Soprattutto non sono Charlie quelli che hanno cercato di sfruttare la morte tragica di quei disegnatori satirici per i propri fini politici. E’ curioso che siano diventati paladini della libertà di Charlie Hebdo personaggi come Marine Le Pen che sono stati tra i bersagli preferiti di quel giornale e che volentieri avrebbe mandato a fuoco la redazione, con tutti i disegnatori dentro. Il fatto che due terroristi di religione musulmana siano i responsabili di quella strage non dovrebbe farci dimenticare che nel “mirino” di Charlie Hebdo non c’erano solo i musulmani – come avviene sulla Padania, o su Libero, o sul Giornale, solo per citare alcuni tra i retrivi giornali italiani – ma i cattolici, gli ebrei, i fanatici di ogni risma e colore. In Italia Charlie Hebdo non avrebbe mai trovato un editore e, se lo avesse trovato, non avrebbe resistito in edicola un anno, perché la sua satira violenta contro il Vaticano e la religione cattolica sarebbe stata considerata inaccettabile. E quindi il conformismo democristiano e curiale di questo paese avrebbe trovato armi ben più efficaci di due kalasnikov.
E’ stato ridicolo vedere sfilare a Parigi, in difesa della libertà di stampa rappresentanti di governi che avrebbero vietato a Charlie Hebdo di pubblicare una sola vignetta e che sistematicamente impediscono ai giornalisti di fare il loro lavoro. C’era un rappresentante di Putin, che è il mandante dell’omicidio di Olga Politkovskaja, c’era un rappresentante di Erdogan che ha fatto mettere in carcere i giornalisti di opposizione, c’era l’ungherese Orban, autore di una legge che limita moltissimo la libertà di stampa, solo per citare i casi più eclatanti. I capi di stato e di governo delle cosiddette democrazie occidentali, che detestavano – per altro ricambiati – quelli di Charlie Hebdo, hanno sfilato senza vergogna, camminando sottobraccio con questi campioni di autocrazia, in una cerimonia di assoluta ipocrisia, rovinando con la loro presenza la commozione di milioni di francesi e di europei, di ogni religione e di ogni origine, che sfilavano orditamente in piazza. Hollande, Cameron, Merkel, renzi, Netanyahu non sono Charlie, sono solo dei patetici mestieranti della politica, che disonorano i valori democratici su cui hanno giurato.
Ma hanno preso la loro dose di applausi, perché perché il popolo quando si abitua a dire che sei bravo, pure che non fai niente, sei sempre bravo.
In tanti in questi giorni siamo scesi in piazza per solidarietà con Charlie Hebdo e per difendere la libertà di espressione. E credo dovremo continuare a farlo, perché i nemici della libertà di espressione, i nemici della satira, sono tanti, sono potenti, sono agguerriti.
Sappiano però che noi continueremo ad impugnare le nostre matite.