di Valerio Iannuzzi
“Ho in testa un’idea meravigliosa”, diceva una volta qualcuno, beh, io di idee meravigliose ne ho in
testa addirittura due e siccome ormai stanno li da diversi anni è arrivato il momento di cercare di
realizzarle.
Quali?
1. “Chi lavora per il pubblico non deve fare profitti”!
2. “Il lavoro deve essere separato dall’impresa”!
Ora voi vorrete sapere cosa significhi tutto ciò, ebbene cercherò di spiegarlo nel miglior modo
possibile.
Primo punto:
Innanzitutto vorrei ricordare che lo Stato non è altro che una comunità di individui che hanno
stipulato un patto tra di loro con il quale, cedendo in parte la propria sovranità e la propria libertà, si
sono messi sotto la tutela di una sovranità superiore, quella appunto dello Stato.
Lo Stato tutela i singoli cittadini e provvede loro il necessario per creare le condizioni di sicurezza e
stabilità affinché ognuno possa realizzare i propri progetti e vivere la propria vita secondo quanto
egli stesso stabilisce, nel rispetto delle norme e dei divieti che regolano i rapporti tra cittadini.
Lo Stato provvede anche a tutelare le situazioni di emergenza lavorativa secondo convenzioni
stipulate con le imprese e con i lavoratori, questo avviene attraverso gli ammortizzatori sociali.
Lo Stato provvede inoltre all’istruzione, alla sanità e all’amministrazione della giustizia e fa tutto
questo in maniera pressoché gratuita, salvo chiedere qualche forma di contributo che in ogni caso
non copre la prestazione.
Infine lo Stato provvede a creare e mantenere le dovute infrastrutture affinché i singoli cittadini
possano svolgere in sicurezza e in maniera efficace ogni loro occupazione.
Affinché lo Stato e le sue diramazioni che conosciamo col termine “Pubblica Amministrazione”,
compiano tutto ciò, occorre che ogni cittadino contribuisca economicamente secondo le proprie
possibilità e in proporzione al proprio fabbisogno
Da tutto ciò si rende evidente che la Pubblica Amministrazione dello Stato, usa soldi dei cittadini
per soddisfare bisogni dei cittadini.
La P.A. non ha altro diritto di prelevare soldi ai cittadini se non quello di usare tali soldi per il
beneficio dei cittadini.
È quindi del tutto evidente che ogni amministratore pubblico deve essere molto parsimonioso
nell’uso del denaro pubblico, deve, per così dire, usare la diligenza del “buon padre di famiglia”.
La crisi speculativa che ha colpito l’intero pianeta negli ultimi anni ha portato amministratori di tutti
i livelli dello Stato a tagliare la spesa pubblica, cioè a limitare la parte di denaro che si spende per
l’utilità del cittadino.
Si noti però che non è accaduto lo stesso con il prelievo fiscale nei confronti degli stessi cittadini,
che invece è cresciuto.
Quindi non siamo di fronte ad un taglio per mancanza di denaro ma ad un taglio per scelta, ovvero
gli amministratori pubblici hanno “scelto” di destinare i soldi dei cittadini alla copertura di spese
diverse di quelle che si dovrebbero sostenere per il mantenimento di quel patto sociale che i
cittadini italiani hanno stipulato con la ratifica della Carta Costituzionale.
Ma che diritto hanno di fare ciò?
Anche se non sono un esperto, a naso direi nessuno!
E se si fa una cosa senza averne il diritto allora ci troviamo di fronte ad un caso di “abuso” o
“sopruso”!
Tale situazione si rende evidente ogni giorno attraverso gli scandali che a ripetizione riempiono le
pagine dell’informazione, scandali che vedono sempre più amministratori collusi con la criminalità
organizzata.
Esistono due rimedi a questa situazione, cambiare tutti gli amministratori o non dargli più soldi!
Ma la sanità va mantenuta, le scuole devono esistere e le strade vanno riparate, quindi non si può
pensare di non finanziare tali necessità.
Allora cosa fare? Come si fa ad amministrare in maniera corretta?
La soluzione sta nell’affermazione iniziale.
“Chi lavora per il pubblico non deve fare profitti”!
Cosa significa questo?
È semplice, un’impresa privata, che di conseguenza deve realizzare un profitto per l’imprenditore,
non dovrebbe lavorare utilizzando il denaro pubblico ma limitare il proprio campo di azione agli
scambi privati.
Questo significa che tutti i lavori e i servizi che lo Stato, cioè la collettività dei cittadini, deve
acquistare, deve essere acquistato al prezzo di costo, quindi senza il “giusto” profitto per
l’imprenditore.
Questo si può realizzare anche da subito partendo da piccoli comuni con una giunta illuminata che
sappia cogliere la grande opportunità che questo provvedimento offre.
• Risparmio sui costi: la P.A. che dovesse adottare tale provvedimento vedrebbe scendere
drasticamente i costi che deve sostenere. Immaginiamo una struttura “NO PROFIT” che
produca medicinali, la sanità arriverebbe a costare anche la metà di quanto costa adesso. Lo
stesso dicasi per la manutenzione, per i trasporti e per tutto ciò che ora viene eseguito da
aziende private o “partecipate”.
• Niente corruzione: dove non c’è guadagno non c’è speculazione e quindi non ci sono
interessi mafiosi. In mancanza di appalti da “truccare” non avrebbe senso tentare di
corrompere gli amministratori.
• Ammortizzatori sociali: ogni qualvolta una società privata attraversa una crisi economica
lo Stato deve intervenire fornendo un reddito minimo al personale in “esubero”. Questo con
pesanti ricadute sui conti dello Stato, cioè, dei cittadini. Dirottando quel personale in
apposite strutture che lavorino per la P.A., oltre al risparmio spiegato sopra, si avrebbe un
ulteriore risparmio dalla mancata erogazione di Cassa Integrazione.
È proprio questo ciò che ho in mente, cooperative NO PROFIT che accolgano al loro interno, fin
quando non si presenti un’occasione migliore, i cittadini che restino senza lavoro, cittadini che
conosciamo col termine di “disoccupati”.
Naturalmente questo provvedimento, oltre ai benefici già elencati, avrebbe anche grandi benefici sul
fronte della disoccupazione e se venisse applicato anche a chi è in cerca di un primo impiego allora
i benefici sarebbero incalcolabili.
In pratica si tratterebbe di mettere insieme cooperative locali, di modeste dimensioni e controllate
da più parti, che eseguano ogni lavoro o servizio di cui la comunità abbia bisogno, al costo degli
stipendi e dei salari di chi lavora, delle merci che vengano utilizzate e della gestione che sia
necessaria al funzionamento dell’attività.
Sarebbero tutelati i diritti dei lavoratori, i minimi salariali, non ci sarebbero dirigenti con stipendi
astronomici e si rispetterebbe il patto stipulato, secondo il quale lo Stato deve garantire le
condizioni per la realizzazione del lavoro, elemento fondante di questa società.
In due parole “Giustizia Sociale”!
Questo sarebbe definito “amministrare con la diligenza del buon padre di famiglia”!
Veniamo quindi al secondo punto!
“Il lavoro deve essere separato dall’impresa”!
Gli imprenditori italiani, come quelli del resto del mondo, hanno in mente solo il loro profitto!
Questo sarebbe anche comprensibile, nessuno si aspetta che investano per la gloria ma quando i
profitti si realizzano sulla pelle di altri allora non è più accettabile.
Si pensi ai Riva, che hanno lasciato che i loro dipendenti morissero di tumore per non rinunciare a
parte del profitto, si pensi agli Agnelli, che chiudono stabilimenti in Italia per correre a produrre
dove non vengono rispettati i diritti dei lavoratori.
Dopo la conquista del contratto dei lavoratori abbiamo assistito ad una graduale “rimonta” da parte
dei nostri avversari di sempre, rimonta che si sta concretizzando oggi in una vittoria schiacciante da
parte loro.
Come ci siamo difesi?
Manifestazioni, proteste, occupazioni ma con effetti sempre più blandi. Sembra che i capitalisti si
siano assuefatti ai nostri sistemi, sembra che non facciano loro più alcun effetto.
La nostra protesta è diventata sterile, anche per il fatto che le istituzioni sindacali sono via via
venute meno al loro scopo. Addirittura sono stati creati sindacati ad hoc, che pur con pochissimi
iscritti sono riusciti a far pendere i tavoli delle trattative dalla parte opposta a quella che avrebbero
dovuto tutelare.
In tutto ciò, possiamo aspettarci realisticamente di ottenere nuovamente le garanzie perse?
Direi proprio di no!
Che fare quindi?
Una soluzione ci sarebbe, ardita, complicata, che presuppone maturità, coraggio e senso
imprenditoriale.
Dividere il fattore lavoro dal fattore impresa!
Cosa significa?
Immaginiamo che la FIAT (o FCA come si chiama adesso) decida di de-localizzare la produzione e
di chiudere gli stabilimenti in Italia.
Cosa faranno i dipendenti? Protesteranno? Si incateneranno ai cancelli? Compiranno gesti estremi
di protesta?
Probabilmente ma cosa otterranno? Nella migliore delle ipotesi qualche mese di cassa integrazione
(sempre che la “ragazzina viziata” non decida di riformare anche quella) e poi “vai con Dio”!
Immaginiamo invece che una delegazione di operai si sieda con i proprietari e che, in cambio di una
rinuncia immediata, chieda la cessione dello stabilimento.
Cosa faranno i dirigenti aziendali? Sicuramente la cosa più semplice e meno dolorosa, cederanno lo
stabilimento! E se questo non dovesse avvenire in maniera indolore, lo Stato spenderebbe
sicuramente meno con un intervento piuttosto che con svariati mesi di cassa integrazione
Ora gli operai sono proprietari di uno stabilimento che ha la capacità di produrre, hanno ricevuto la
liquidazione (che consideriamo sacrosanta e non barattabile) e quindi per alcuni mesi hanno delle
garanzie economiche, non resta loro che costituirsi in forma giuridica, possibilmente cooperativa, e
iniziare a produrre per conto terzi, per la stessa FIAT ma anche per altre case automobilistiche.
Potrebbero anche produrre in proprio un modello economico, alla portata di tutti, potrebbero anche
decidere di rinnovare, modificandoli, vecchi modelli obsoleti ma ancora validi che, con una spesa
esigua, potrebbero soddisfare i requisiti ambientali richiesti dai più recenti regolamenti e servire i
loro proprietari ancora per qualche anno.
Insomma, il lavoro non mancherebbe!
Ora immaginiamo di ripetere l’operazione per ogni impresa che voglia svincolarsi dalla
manodopera, cosa otterremo?
Sicuramente una fuga all’estero delle fabbriche che conosciamo ma anche un nuovo assetto
industriale che sappia dettare le regole, che rispetti l’ambiente e che sappia soddisfare i bisogni reali
dei cittadini italiani.
Soprattutto però otterremo una classe operaia che si svincoli dai ricatti capitalistici che, come una
morsa implacabile ha strangolato decine di generazioni.
È possibile realizzare tutto questo?
Direi di si, per la prima volta dopo decenni possiamo contare su nuove generazioni con capacità
nettamente superiori di quelle precedenti.
Il livello di istruzione si è notevolmente alzato e i nuovi disoccupati sono ingegneri, contabili,
medici, tecnici di vario tipo.
Non abbiamo più una classe operaia fatta di analfabeti, abbiamo si persone con forti disagi ma
abbiamo molti imprenditori che non ce l’hanno fatta, giovani laureati che non riescono ad inserirsi,
artigiani senza più sbocchi.
Abbiamo potenzialmente una classe produttiva altamente qualificata, serve solo un catalizzatore per
tenere insieme il tutto.
E qui vengo al punto focale, il catalizzatore!
PRIMA LE PERSONE!
Questo è stato ed è tuttora lo slogan con il quale Alexis Tsipras ha coinvolto milioni di persone in
tutta Europa, realizziamolo allora!
È il caso che la politica, quella con la “P” maiuscola, quella che abbiamo la pretesa di
rappresentare , si occupi da vicino dei problemi delle persone, dei cittadini, quei cittadini che
condividono con tutti noi un “patto sociale” che si chiama Italia!
È il caso che la buona politica prenda per mano queste persone e non solamente per portarle alle
urne o per portarle nelle piazze, è il caso che prenda per mano le persone nelle loro scelte, perché se
è vero che ci fa indignare l’accusa di aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità, è anche vero
che spesso lo abbiamo fatto.
In buona parte la speculazione che ha provocato la crisi è dipesa dalle scelte che tutti abbiamo fatto.
Il “mercato” non siamo altro che noi, le nostre scelte commerciali, il nostro modo di reagire davanti
alle richieste che ci vengono fatte.
Ma come ci è mai venuto in mente che un appartamento che costava 200 milioni di Lire (circa 100
mila Euro) potesse essere valutato dopo pochi mesi 300 mila Euro (circa 600 milioni di Lire) con un
incremento del 300%?
È il mercato, dicevano! Ma mica ci hanno puntato una pistola alla testa!
Cosa sarebbe successo se ci fossimo tutti rifiutati di sottostare a questo tipo di forzatura? Niente,
semplicemente l’appartamento sarebbe tornato alla valutazione precedente.
Lo stesso è accaduto in tutti i settori commerciali, per lo più abbiamo subito passivamente gli
aumenti smisurati, quando sarebbe bastato “cambiare fornitore” e comprare merce ad un prezzo
migliore o di migliore qualità.
Ecco quindi il terreno su cui una forza politica dovrebbe lavorare, un’ampia opera di informazione
sul funzionamento dell’economia legata alle nostre scelte commerciali.
La tutela legale di chiunque, indignato, voglia rivalersi sull’operato sconsiderato di alcuni
amministratori che hanno regalato risorse ad imprenditori privati assoggettando i cittadini ai ricatti
di questi ultimi.
Un’opera di tutela a chi voglia costituire una cooperativa e tornare a produrre, tutela che comprenda
l’assistenza fiscale, l’accesso al credito e ogni altra necessità che permetta ad un gruppo di persone
di “fare economia”, cioè permetta loro di scambiare risorse con beni per soddisfare i propri bisogni.
Ma soprattutto, prima di ogni altra cosa, la realizzazione di una “rete di mutuo soccorso”, un vero e
proprio sistema, parallelo a quello esistente, che tragga ogni giorno persone, individui, cittadini,
fuori dalla realtà virtuale della quale sono prigionieri, che li tiene in uno stato neurovegetativo
rendendoli incapaci di vedere la realtà che li circonda.
Da dove cominciare?
Dai consumi! Dalla ricreazione di quella economia locale che il sistema ha abbattuto con i suoi
centri commerciali, con le sue offerte speciali con i suoi 3×2 falsi!
Fare rete tra i cittadini, ovvero mettere in connessione il produttore e il consumatore, favorire
l’artigianato, favorire la riparazione piuttosto che la sostituzione, far nascere officine che
trasformino un vecchio veicolo in uno ecologico perfettamente funzionante, squadre di operai che
trasformino una casa fatiscente in una “attiva”, in una casa cioè che produca più energia di quanto
consuma, il tutto condito con un sistema che permetta alle famiglie di pagare nel tempo e a chi
lavora di percepire il salario.
È difficile? Se volevo una cosa facile votavo Renzi o Grillo!
L’Altra Europa con Tsipras ha le carte in regola per realizzare tutto ciò, per rovesciare il sistema e
crearne uno nuovo ha gli uomini e le donne per realizzare un sogno.
Ma deve lavorare duro e cominciare subito!
Non riusciremo a realizzare gli Stati Uniti D’Europa? Non possiamo fare la stessa politica per la
Grecia e per la Germania?
Pazienza!
Possiamo però ipotizzare un’unione Mediterranea, dove tutti i paesi hanno bisogno della stessa
politica, perché non possiamo farcela senza i Portoghesi, senza i Greci, senza i Tunisini e senza gli
Spagnoli e chiunque altro abbia voglia di cambiare il mondo.
Perché quelli sono nostri fratelli! Dividiamo con loro una storia che ha più di duemila anni,
abbiamo parentele strette con loro, abbiamo la cultura in comune, l’arte in comune, i tratti somatici
in comune.
Il nord Europa non ci vuole se non alle loro condizioni? Peggio per loro!
Ho 48 anni, lavoro da quando ne avevo 11 e sono stanco. Avrò voglia di fare ancora per una decina
d’anni poi probabilmente giocherò a bocce o a tresette!
Queste sono le mie idee, questo è il mio pensiero e venderei l’anima per vedere tutto ciò realizzato.
Non fatemi ricominciare di nuovo!