#Conte deve dimettersi?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Pertici
#Conte deve dimettersi?
Questa domanda mi è stata rivolta oggi almeno una decina di volte da amici, colleghi e giornalisti.
La risposta secca è piuttosto semplice: NO.
Il Governo Conte ha ottenuto la fiducia solo pochi giorni fa. Al Senato questo è avvenuto a maggioranza semplice, ma questo è legittimo ed è già accaduto: a parte il “governo della non sfiducia”, nel 1976 (Andreotti III) o il “balneare” Leone I, nel 1963, abbiamo i casi del Governo Dini, che, nel 1995, alla Camera ottenne la fiducia (iniziale) con soli 302 voti e il D’Alema II, che, nel 1999, alla Camera ottenne la fiducia (iniziale) con 310 voti.
Per non parlare di tutte le volte che singole questioni di fiducia sono state approvate a maggioranza semplice, come accaduto al Governo Gentiloni per la fiducia sul #Rosatellum, sia alla Camera che al Senato. E per non parlare di tutte le volte che i governi sono “andati sotto”, come si dice quando non vedono approvate loro proposte. Basti pensare che il “fortissimo” primo Governo Craxi, tra maggio e giugno del 1986, andò sotto in ventiquattro votazioni su ventisei.
Ma la Costituzione prevede espressamente che “Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni”.
Ciò implica che Conte non sarebbe tenuto a dimettersi neppure nel caso di un voto contrario alla ormai celeberrima relazione sulla giustizia di #Bonafede.
Naturalmente, il Presidente del Consiglio dei ministri, al quale spetta la direzione della politica generale del Governo, di cui porta la responsabilità, può fare valutazioni politiche diverse e, a fronte di una conclamata debolezza parlamentare, non accidentale ma politica, dimettersi.
Ciò è accaduto, ad esempio, nel 2011, quando dopo che il Rendiconto generale dello Stato era prima stato bocciato e poi approvato con soli 308 voti favorevoli, dalla Camera, Berlusconi si dimise. Ma è evidente che quella fu l’occasione per un epilogo segnato dalle numerose difficoltà in cui il Governo si trovava, non solo per la pesante frattura nella vecchia maggioranza (con la scissione di Fini), ma anche per i diversi scandali, che portarono al “processo Ruby” (che poi ha avuto un bis e un ter) e per la pesante crisi economica che portò perfino a ricevere una lettera di “richiamo” da parte della BCE.
In ogni caso, le dimissioni del Presidente del Consiglio in molte occasioni gli hanno lasciato almeno in prima battuta in mano la soluzione della crisi. Ad esempio, nel novembre 1987, i liberali lasciarono il Governo e il Presidente dell’epoca, Giovanni Goria, si dimise, ma il Presidente della Repubblica Cossiga accettò le dimissioni con riserva, aprendo e chiudendo rapidamente le consultazioni e ri-conferendo a Goria l’incarico di formare il Governo. Quando Goria, incontrati i partiti, constata che la sua maggioranza si è ricompattata, torna dal Presidente della Repubblica, il quale, sciogliendo la riserva formulata due giorni prima, respinge le dimissioni di Goria, che quindi si ripresenta in aula dove viene votata una nuova mozione di fiducia che consente al Governo di proseguire. Così non ci sono stati due Governi Goria, ma un Governo Goria/atto I e un Governo Goria/ atto II.
D’altra parte, invece, si potrebbe anche avere un nuovo Governo presieduto dalla stessa persona in base a un accordo già previamente trovato, ma questa ipotesi è naturalmente più scivolosa, perché anche nel giro di pochi giorni qualcosa può sciuparsi… e aprire la strada all’incarico a un nuovo Presidente del Consiglio, anche se poi si è tornati al Presidente uscente (v. Craxi I e Craxi II).
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