Correnti PD, l’incudine e il martello della sinistra

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 2 marzo 2015

L’incudine e il martello

E sono cinque. Ogni giorno fioriscono correnti renziane. Più il partito è liquido, più le correnti si strutturano. Ecco la prima aporia, che non è nemmeno tale, ma un fatto insindacabile. Abbiamo una specie di mollusco dotato al suo interno, però, di una struttura vertebrale di clan sempre più rigida e ossificata. È un po’ come l’ ‘apertura’ delle primarie, no? Le quali (seconda aporia) più si ‘spalancano’ ai passanti sporadici, e più irrompono tuttavia le truppe cammellate e ben organizzate a soccorso di questo o quel candidato. Mi chiedo: quand’è che questi fatti oggettivi e così evidenti diverranno chiari un po’ a tutti? Io dico mai. Perché? Perché qui scatta la terza aporia: più propagandi il partito aperto, non ideologico e cinicamente nichilistico (vincere e basta!), e più scatta l’ideologia, peraltro ben sostenuta dal coro dei media più pigri d’Europa. Così che tutti pensano, oggi, che siamo davanti a una specie di turbo-rivoluzione renziana, e non, invece, al più classico, al più evidente, dei ritorni all’ordine. Cos’altro è il jobs act se non il duro riequilibrio a favore del capitale della relazione tra questo e il lavoro?

Ma torniamo alle correnti renziane. Ve ne sono ormai per tutti i gusti, e tendono a occupare tutto lo spazio politico, da destra a sinistra: Giglio magico, Cattorenziani, Ortodossi, renziani di sinistra (sic!), Carta 22 aprile (di cui, immagino, tra un mese circa ci sarà il compleanno). Ormai sono un vero partito (strutturato) nel partito (liquido). A esser più precisi, gli unici davvero liquidi sono proprio i democratici della minoranza, ed è una liquidità che minaccia una pericolosa, ravvicinata liquidazione totale. La minoranza non ha un leader da proporre per le future scadenze. Non ha un manifesto comune. Non ha delle parole chiave da suggerire come formula identificativa. Non ha un’idea propria sul da farsi: e si sa che il ‘che fare’ (oltre al ‘come’) è la vera e ineludibile domanda politica. Dalla quale non si può prescindere. Se non accade qualcosa (ma qualcosa pensate accadrà?) tra un po’ ‘Repubblica’ aggiornerà la mappa correntizia, e scriverà della nascita (a sua insaputa) di una corrente di ‘non renziani’ renziani, che fa colore, curiosità, e persino tanto ‘1984’.

Sono serio. Davanti a noi c’è una grande sconfitta culturale della sinistra italiana. E se la sconfitta politica ha sempre delle ragioni che vanno indagate ed errori che devono essere riconosciuti, le sconfitte culturali sono di tutt’altra natura. Con esse è un paradigma che viene abbattuto, è un modello interpretativo che viene accantonato. Il mondo è visto sotto altri occhi, e non è mai una visione neutrale, perché offre un punto di vista concorde con gli interessi trionfanti. Se poi questo punto di vista si estende pure agli interessi perdenti, si chiama egemonia. Perciò, quando si perde culturalmente, non si perde per ‘errori’ culturali ma per ragioni politiche, economiche, sociali. Perché la cultura ‘propone’ un mondo, lo aggiorna, lo rende visibile sotto una certa angolazione, e si coordina con i vincenti. Oggi la culturale egemonica è di destra, ed è di destra la visione trionfante nel campo del lavoro, dei diritti, delle istituzioni politiche. Per tornare a vincere culturalmente bisognerebbe anche ribaltare progressivamente questi paradigmi operanti, non solo tentare di riconquistare la leadership, per giocarsela però all’interno dello stessa cornice attuale. Un doppio binario, dunque. L’incudine della politica, con il martello della cultura, questo il lavoro da fabbro che ci attende. Abbiamo buone braccia, oppure ci toccherà diventare la corrente non-renziana di Renzi?

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