Democrazie sorde. Le opinioni pubbliche e la guerra.

per Gian Franco Ferraris
Democrazie sorde. Le opinioni pubbliche e la guerra.
Ma voi la riuscite a immaginare una democrazia moderna senza il ruolo decisivo dell’opinione pubblica? Ossia delle opinioni dei cittadini, espresse in forme e modi diversi? Perché è questo che sta avvenendo in Italia (mi limito al nostro Paese). I sondaggi dicono chiaramente che la maggioranza degli italiani non vuole la guerra, non vuole che proseguano i combattimenti, teme un’escalation, ritiene che le armi che stiamo inviando siano benzina gettata sul fuoco, pensa che ogni passo in avanti sia un passo in più verso un abisso insondabile di orrore. Eppure la classe dirigente (non solo il governo) ignora deliberatamente queste preoccupazioni e questa inquietudine diffusa. Solo a pronunciare dei dubbi si diventa putiniani.
Viviamo in una situazione di democrazia limitata, come se fossimo già direttamente coinvolti nelle operazioni belliche, e di fatto lo siamo sempre più. Non è un caso che le forze politiche che crescono nei sondaggi sono proprio quelle che si oppongono a invii massici e indiscriminati di armi: sono le forze politiche che chiedono le ragioni di questi atti, che mettono in guardia sugli esiti niente affatto scontati del conflitto, che vorrebbero l’Italia su posizioni ragionevolmente critiche e non codiste rispetto alla Nato e alle élite internazionali.
D’altra parte mi chiedo da tempo cosa ne sia dell’opinione pubblica in Ucraina. Cosa chieda, cosa pensi. Non possiamo saperlo. La sola cosa certa è che, su quel popolo, cadono le bombe che non cadono in testa alle élite europee, compatte invece nel chiedere la “vittoria finale” avvolte ipocritanente nella bandiera gialla e blu. Ma proprio quelle bombe, le condizioni di vita disumane che impongono, le sofferenze, la morte (250.000 scomparsi in meno di un anno), io credo che mettano in guardia e inducano alla saggezza di sperare in un cessate il fuoco.
Ci sono famiglie, ci sono bambini, si sono madri e padri ucraini che non vorrebbero vedere i propri figli soccombere nei combattimenti. Sono sentimenti umani di sopravvivenza, che inevitabilmente spingono a desiderare che le armi tacciano, che torni la diplomazia, la ragionevolezza dei negoziati, soprattutto nelle regioni contese, quelle di confine, plurilinguistiche, dove la guerra è strisciante da 8 anni e dove da uno le bombe non danno più tregua. Siamo a un limite oltre il quale il paradigma “aggressori”/”aggrediti” diventa un non senso, un alibi per perseverare nell’idea che l’Ucraina sia il tabellone del risiko di potenze che giocano alla guerra sulla pelle dei più deboli, gli unici che la subiscono davvero.
(La sinistra che gioca alla guerra, poi, è il danno ulteriore. Così facendo perde credibilità, non ispira più alcuna fiducia, si amalgama all’establishment, si mostra succube del pensiero bellico unico, si crede moderna ma appare solo inaffidabile e vana dinanzi alla maestosità dei grandi drammi storici ed epocali. Avremmo dovuto aprire un capitolo nuovo, coraggioso, dopo la pandemia, la crisi economica, la guerra, eventi davvero epocali, segni di un passaggio di fase drammatico. E invece stiamo facendo il girotondo attorno al congresso del PD, come se suonargli il piffero contasse davvero qualcosa. Dovevamo giocare in questa partita l’autorevolezza rimasta, e non l’abbiamo fatto, chinando il capo. Un giorno saremo giudicati per tutto questo e il giudizio sarà sprezzante).
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