È tempo di deflazione comunicativa, di toni bassi e di parole chiare

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

È tempo di deflazione comunicativa. Di toni bassi e di parole chiare, senza sciami di chiacchiere mediali.

Oggi ascoltavo Massimiliano Panarari (un sociologo della comunicazione) su skytg24. Spiegava che servirebbe una comunicazione pubblica più sobria, di profilo basso e il più possibile oggettiva, istituzionale, quasi mimetizzata con l’agire politico, che anzi non tenda a sovrastarlo o a surrogarlo rumorosamente. I cittadini vogliono capire, non restare allibiti dinanzi a toni esacerbati che, di sicuro, non portano nemmeno un grano in più di informazione rispetto a quella che abbiamo già in dote (nemmeno granché).

Secondo me ha ragione da vendere. Anche perché la teatralità e la caciara sono un surrogato della politica, non la sua espressione più genuina – una scorza ipocritla, non la cosa. È la mia tesi, in fondo. Quella per cui bisognerebbe parlare il meno possibile per avere tempo di lavorare e per non usurarsi con la logica mediale, che impone una presenza asfissiante, continua, inflazionata. Io la definisco deflazione comunicativa, ossia attenuazione della densità dei messaggi, a vantaggio delle poche parole che contano, che rispondono a queste poche domande: che cosa facciamo, come lo facciamo, che risultati ci attendiamo, in che tempi e in che modi. Tanto più se si è al governo.

Mettere-in-comune notizie, informazioni, valori, esperienze, scopi. Ecco il senso di comunicare, che per molti invece significa concentrarsi non sugli scopi ma sui mezzi, sui media, sulle logiche specifiche che si impongono a svantaggio del lavoro politico. I media ti vogliono totalmente esposto, la comunicazione politica dovrebbe invece avere più pudore, limitarsi, quasi contare le parole per evitare che siano inutilmente troppe. Il bravo comunicatore non è il guru parolaio, quello che si concentra sul soggetto invece che sulla sua politica, anzi che scambia l’uomo per la politica. Il bravo comunicatore pensa il fine, pensa ai benefici della politica intrapresa, pensa a farla conoscere, immagina quali possano essere i mezzi adeguati allo scopo, calcola i mezzi ai fini.

L’agire comunicativo non è l’inflazione di faccioni e di parole gridate, non è l’occupazione militare dei media, delle home page, della pagine di giornale e persino delle trasmissioni di intrattenimento tipo Uomini e Donne. Non è l’interesse riflessivo sulle proprie parole o sulla propria immagine. Questo lasciatelo fare a Renzi, ai leghisti alla destra, che inscenano la rissa sperando che gli altri ci cadano. La comunicazione politica non è una specie di pornografia, ma una specie di nascondimento, una specie di vedere e non vedere, che crea attorno alla figura politica una scorza che lo protegge dalla usura. Di modo che, quando decide di parlare in un’intervista, mostra necessariamente un’autorevolezza e suscita interesse, persino curiosità e, perché no, rispetto. Deflazione, appunto. Offerta misurata. Economia politica e della persona.

Alla luce di questo penso che Roberto Speranza, tentando di placare i toni quella volta abbia fatto ancor più bene. Anche perché l’agonismo politico non è un duello rusticano, ma far prevalere la propria politica, ovviamente facendola e facendola conoscere con le parole giuste, ben misurate. Come dice Panarari: quasi oggettive.

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