Fonte: Il Fatto Quotidiano
Marcello Fois, la Sardegna l’ha vissuta e descritta nei suoi romanzi e nelle sue opere. Oggi la osserva mentre si prepara a scegliere il nuovo governatore. Con quale spirito?
La Sardegna sta male. È stata governata malissimo e con buona pace di tutti. Quest’isola è un laboratorio di fenomeni che poi si ripetono nel resto del Paese: è sempre utile dare un’occhiata qui, aiuta a prevedere quello che succederà in Italia. Noi sapevamo che avrebbe governato la Meloni da quando abbiamo assistito alla vittoria di Solinas. E sapevamo già che Meloni avrebbe governato senza problemi né rivali, perché anche in Sardegna l’opposizione alla giunta Solinas è stata inesistente. Nell’isola, come nel continente, l’esistenza dell’opposizione non è percepita.
Ne deduco che non ha apprezzato la giunta sardo-leghista.
Un governo sardista, però teleguidato da Salvini; un animale mitologico, con la faccia da leone e il corpo da capra. Abbiamo sperimentato anche il consociativismo: amministrati dalla destra col beneplacito di un Pd e un centrosinistra inesistenti.
Però Pd e 5S sfidano la destra: per i sondaggi Todde e Truzzu sarebbero punto a punto.
Abbiamo una legge elettorale che prevede si entri in consiglio con una soglia di sbarramento altissima. È pensata per mantenere questo bipolarismo carsico, in cui nessuno dà fastidio all’altro. Stavolta però c’è un terzo incomodo che rischia di superare abbondantemente lo sbarramento. Chiunque debba governare, si dovrà mettere d’accordo con Soru.
Non pare un segno incoraggiante, essere ostaggi di Soru a 20 anni dalla sua elezione a governatore.
Credo sia molto cambiato rispetto a 20 anni fa. È più esperto ma anche più disilluso: credo abbia capito che mollare la Sardegna per tentare la scalata al Pd nazionale sia stata una sciocchezza senza limiti. Gli va dato atto che ha fatto una campagna elettorale in cui ha battuto palmo a palmo l’isola, ha parlato con tutti, tornando alle origini movimentiste.
Ma rischia di far vincere la destra.
Io non credo che i signori del Pd facciano bene a dire continuamente che il loro avversario è Soru. L’avversario è Truzzu. Uno che ha detto di non essere né antifascista né anticomunista, come se per la nostra Costituzione fosse la stessa cosa. Uno che ha fatto campagna elettorale sputando sulla tomba di Michela Murgia, dicendo che non le intitolerebbe una strada perché era totalitarista. Contro questa destra servono parole chiare. Io ho stima di Alessandra Todde, è una figura nuova, una donna in gamba. Ma dietro di lei c’è la solita nomenclatura del centrosinistra sardo. E male che vada, questa nomenclatura farà con Truzzu quello che ha fatto con Solinas: nulla.
Quindi cosa si augura?
Mi auguro che vincano Todde e il centrosinistra, ma credo che i tre candidati arriveranno vicinissimi e si arriverà in consiglio senza un premio di maggioranza. A quel punto con Soru dovranno per forza trovare un accordo. È un paradosso, ma potrebbe persino aiutare Todde a liberarsi dalla guardiania della nomenclatura locale del Pd.
Quale dovrà essere la priorità del futuro presidente?
Se sarà progressista, dovrà smettere di considerare offese parole come “intellettuale” o “comunista”. Lo dico anche a Schlein: bisogna riformularsi, farsi riconoscere. Non permetterei più a nessuno di dire che comunisti e fascisti siano la stessa cosa.
Quali sono le principali urgenze della Sardegna?
La sanità è nell’abisso, la scolarizzazione diminuita, le università piombate agli ultimi posti. Abbiamo un’economia locale di sussistenza, in compenso sono aumentate solo le prebende e la possibilità di costruire. Ma per gli altri. Hanno liberalizzato il mattone e al tempo stesso hanno valorizzato solo gli aspetti folcloristici dell’isola: è stata turistizzata, trasformata in un enorme Club Méditerranée. Alla faccia del sardismo.