Fine della diplomazia, guerra inevitabile

per Giorgio Pizzol
Autore originale del testo: Angelo Santoro
Fonte: Pensalibero.it
Url fonte: https://www.pensalibero.it/il-tramonto-della-diplomazia-nellera-della-politica-muscolare/

Angelo Santoro, 20 giugno 2025

Il tramonto della diplomazia nell’era della politica muscolare

Il tramonto della diplomazia-nell’era-della politica muscolare

Sono caduti anche gli ultimi argini della diplomazia tradizionale. Lo scenario internazionale ricorda sempre più un regolamento di conti tra gang, dove il linguaggio dei leader ricalca quello delle periferie violente più che delle cancellerie. Quando un capo di Stato occidentale si rivolge pubblicamente a un omologo con toni da bullo da strada, significa che il livello dello scontro si è irrimediabilmente abbassato. Gli Stati Uniti, in particolare, sembrano ispirarsi al cinema di Coppola più che al diritto internazionale. Un messaggio pericoloso per le nuove generazioni, che rischiano di crescere ammirando la forza bruta a discapito dell’intelligenza e del dialogo. È il segno di un tempo in cui la politica estera diventa spettacolo, e lo spettacolo diventa minaccia. Il confronto con la storia è inevitabile. Le giovani generazioni, che spesso faticano a comprendere i racconti dei nonni sulla Seconda Guerra Mondiale, potrebbero iniziare a coglierne il senso ora che lo spettro di un nuovo conflitto globale torna ad affacciarsi. Allora, come oggi, fu un gruppo di uomini armati e arroganti a scatenare il caos. E allora, come oggi, la guerra fu conclusa con l’uso della forza estrema: due bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki per affermare una volta per tutte la legge del più forte. Quella logica, purtroppo, non è mai stata abbandonata. La storia recente lo dimostra: dal Vietnam all’Iraq, dalla Libia alla distruzione della Primavera Araba, gli interventi militari sono stati giustificati da pretesti poi smentiti dai fatti. Ora tocca di nuovo all’Iran, accusato di voler sviluppare l’arma nucleare. Il presidente degli Stati Uniti minaccia apertamente Teheran per rafforzare l’asse con Israele, lasciando intendere che la guerra potrebbe essere solo questione di tempo. Le sue parole, rivolte direttamente alla Guida Suprema Ali Khamenei – “Per ora non lo uccideremo” – segnano un nuovo punto di non ritorno nella retorica internazionale. Dietro il timore che l’Iran completi il proprio programma atomico, si cela una strategia che sa di déjà-vu. Sembra la sceneggiatura di un film già visto: la costruzione del nemico, la tensione crescente, la minaccia nucleare. E intanto, come scrivevamo ieri, resta il sospetto che le potenze atomiche non vedano l’ora di testare le loro armi in un vero teatro di guerra, con l’obiettivo di ridisegnare il mondo a colpi di milioni di vittime. In questo scenario inquietante, non si può ignorare il ruolo di Israele. Il premier Benjamin Netanyahu, deciso a mantenere il potere a ogni costo, dispone di circa duecento testate nucleari. E secondo alcuni analisti, sarebbe pronto a usarle contro l’Iran con il tacito – o esplicito – sostegno di Washington. Di fronte a tutto questo, l’Europa resta in silenzio. Potrebbe agire, mediare, proporre una via alternativa. Ma preferisce restare ai margini, godendosi i dividendi di un passato coloniale, incapace di affrontare le sfide del presente.

Trump a Khamenei: “Per ora non lo uccideremo”. È evidente che la diplomazia abbia ceduto il passo alla politica muscolare.

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