I “Verdi” e la protesta degli agricoltori

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Valdambrini, Anna Maria Merlo
Fonte: Il Manifesto

di Andrea Valdambrini

È una settimana di passione per i Verdi europei. Nei giorni scorsi, durante il congresso a Lione, hanno eletto i loro spitzenkandidaten ovvero i candidati di punta che li guideranno verso le consultazioni di giugno, dove i sondaggi non li danno certo in ascesa. Sono la tedesca Terry Reintke e l’olandese Bas Eickhout, entrambi europarlamentari. Di fronte alla destra che in tutta Europa mette il cappello sulla protesta del mondo rurale – certamente variegata, ma dove i toni anti-sistema e anti-Ue sono quelli che fanno più rumore – i Verdi vanno al contrattacco.

Lunedì, i dirigenti dei Greens hanno inviato una lettera alla Commissione europea per sottolineare come gli accordi di libero scambio commerciale (segnatamente il Mercosur), insieme a una riforma della Politica agricola comune (Pac) sbagliata stanno schiacciando i lavoratori agricoli che «non riescono più a vivere del proprio lavoro». «Gli agricoltori sanno molto meglio di chiunque altro che il loro lavoro si basa sulla natura», si legge nella missiva, «e sono in prima linea nell’affrontare il disastro ambientale che scuote tutti gli europei: cambiamento climatico, perdita della biodiversità, scarsità delle risorse naturali». Ecco perché, argomentano i Verdi, «sarebbe folle indebolire regole che esistono per proteggere la nostra sovranità alimentare».

Per commentare gli ultimi sviluppi abbiamo raggiunto Philippe Lamberts, eurodeputato belga co-presidente del gruppo dei Greens a Strasburgo al suo terzo mandato. Non da oggi Lamberts esprime posizioni nette, ad esempio scagliandosi contro il Patto di stabilità come ostacolo significativo alla realizzazione delle politiche europee per la transizione green.

Monsieur Lamberts, oggi la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha annunciato il ritiro del regolamento sul taglio dei pesticidi. Cosa ne pensa?

Bisogna intanto sapere che su quella proposta anche noi abbiamo votato contro, perché si trattava di una legge ormai svuotata di contenuto. Quello che è inaccettabile è che oggi la Commissione se ne esca dicendo che sui pesticidi ‘non si possono avere obiettivi vincolanti’. Come se la colpa, a questo punto, fosse tutta del Green Deal. Ma davvero, o stiamo scherzando?

Sembra che l’esecutivo Ue stia facendo marcia indietro su molti punti chiave della strategia per la transizione ecologica, sotto la pressioni dei trattori. Del Green Deal cosa resta?

Consideriamo un fatto importante, e cioè che il Green Deal non è realmente stato applicato all’agricoltura. Non lo è la Pac, mai allineata sugli obiettivi di transizione ecologica. La legge sugli ecosistemi (conosciuta come Nature restauratin law o legge sul Ripristino della natura) nei mesi scorsi è stata completamente svuotata del suo contenuto. E infine è stata uccisa anche la legge sui pesticidi. Inoltre, il regolamento sulle emissioni industriali ha risparmiato in gran parte il mondo rurale. Insomma, mi dica lei: dove è che il Green Deal ha avuto impatto sugli agricoltori?

Però questa è quantomeno l’impressione che ne ha l’opinione pubblica.

Mi sembra che il problema sia che gli slogan dell’estrema destra vengono amplificati. Vedo un’enorme quantità di disinformazione o di bugie vere e proprie che vengono diffuse dai populisti, dai nazionalisti e dai liberali. L’impressione è che più la bugia è grande e meglio è, così magari le persone se la bevono.

Intanto conservatori ed estrema destra si intestano i successi del movimento. Anche in Italia, dove il governo con Meloni e Salvini afferma di stare dalla loro parte.

Non posso commentare riguardo all’Italia, perché non sono lì. Posso dire però quello che vedo in Belgio. Guardiamo ai fatti: la prima cosa che gli agricoltori denunciano è che sono oppressi dal sistema economico che li schiaccia e da una burocrazia invadente che impedisce loro di lavorare. In realtà, quelli che danno la colpa alle politiche europee sono proprio quei movimenti politici che la transizione ecologica non l’hanno mai voluta. Non sono di sicuro gli agricoltori. Basta provare a parlarci direttamente per scoprirlo.

Anna Maria Merli per Il Manifesto

Emissioni e pesticidi, la Commissione Ue fa a pezzi il Green Deal

BRUXELLES. Von der Leyen, spaventata dalle proteste degli agricoltori, cede sui fitosanitari e annacqua le raccomandazioni sulla Co2: ritirato il testo Sur che avrebbe imposto un taglio del 50% dell’agrochimica entro il 2030 e silenzio sul calo del 30% di diossido di carbonio in agricoltura

«Afuera» (come direbbe l’argentino Milei) il testo sul taglio del 50% dell’uso di pesticidi in agricoltura, minimizzazione dell’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2040 – meno 90% rispetto al 1990 – che sarà raggiunto anche se non facciamo niente di speciale e continuiamo «la traiettoria 2030», oltre al grande silenzio sul necessario calo del 30% di produzione di Co2 in agricoltura.

Ursula von der Leyen preoccupata per la sua rielezione alla testa della Commissione, così come il suo partito, il Ppe, è spaventato dalle proteste dei trattori che rischiano di gonfiare i consensi all’estrema destra alle prossime elezioni europee di giugno, mette precipitosamente nel cassetto alcuni pilastri del Green Deal.

IERI, LA PRESIDENTE della Commissione ha cominciato con i pesticidi, uno degli elementi della protesta degli agricoltori in Europa, che urlano contro l’eccesso di norme: ha annunciato il ritiro del testo Sur (Sustainable Use Regulation) che avrebbe imposto un taglio del 50% dell’agrochimica entro il 2030, del resto già bocciato nel novembre scorso dal parlamento europeo (il Ppe lo aveva annacquato drasticamente, troppo per la sinistra, così tutti hanno votato contro).

«La Commissione farà proposte più mature», ha detto von der Leyen, senza però sbilanciarsi su una data. Con la partecipazione «delle parti in causa», ha aggiunto, chiamate in fretta e furia a discutere nel «dialogo strategico» sull’agricoltura che la Commissione si è precipitata a evocare vedendo le strade d’Europa riempirsi di trattori in collera. «Gli agricoltori meritano di essere ascoltati» ha concluso: «dobbiamo superare il dibattito polarizzato, instaurare la fiducia, evitare di rinfacciarci le colpe e cercare assieme una soluzione».

LA COMMISSIONE ieri ha anche ridimensionato la traiettoria sulla riduzione di emissioni di Co2 per arrivare alla neutralità carbone entro il 2050, in conformità con gli Accordi di Parigi. Ha confermato una riduzione del 90% di gas a effetto serra entro il 2040, dopo il meno 55% del 2030, ma al momento è solo una raccomandazione di Bruxelles, manca l’accordo di parlamento e stati membri. Di fronte alla protesta degli agricoltori, molti governi insistono su una «pausa» nella regolamentazione della transizione climatica.

La Commissione si nasconde dietro un’analisi tecnica: «Le emissioni nette teoriche di gas a effetto serra risultanti dal quadro politico senza cambiamenti si eleverebbero a meno 88% rispetto al 1990» e nei fatti punta a soluzioni tecniche, come la captazione e lo stock di Co2. Ma un recente Rapporto del Consiglio europeo consultivo sul cambiamento climatico afferma che, al ritmo attuale, la traiettoria di riduzione di Co2 prevede solo un meno 49% entro il 2030 (invece di meno 55%). Il commissario al clima, l’olandese Wopke Hoekstra (esponente dei conservatori liberali del partito Appello Cristiano Democratico con un precedente incarico alla Shell), molto prudente, insiste sulla necessità di una «transizione giusta».

IN BALLO CI SONO delle vere bombe a scoppio ritardato: deve essere ridefinito il prezzo della tonnellata di Co2, che se troppo alto può essere causa di deindustrializzazione, è prevista la fine delle allocazioni gratuite delle quote per l’industria e l’estensione del mercato del carbonio anche alle famiglie (combustibili per riscaldamento e carburanti).

La carbon tax alle frontiere non è ancora in vigore. In ogni caso, Hoekstra se ne lava le mani, la patata bollente passa alla prossima Commissione. Il deputato di Renew Pascal Canfin, presidente della commissione Envi del Parlamento (per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare), mette in guardia: «Se le condizioni politiche non ci saranno dopo le elezioni perché non ci sarà una maggioranza per sostenere gli obiettivi 2040, non si farà». Il suo partito, del resto, al potere in Francia, ha ceduto agli agricoltori per fermare la protesta, 400 miliardi di aiuti in più e tagli netti alle norme ambientaliste.

FINORA, SONO STATI adottati circa una sessantina di testi del Green Deal, dalla fine del motore termico per le auto nel 2035 al potenziamento delle rinnovabili, all’efficacia energetica nell’edilizia, alla lotta contro la deforestazione importata. Ma la campagna elettorale è in corso. Lo slogan del Ppe, primo gruppo politico, è «proibito proibire». Non siamo nel ’68, oggi significa passi indietro nelle norme di protezione della natura.

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