Fonte: La stampa
È la Sanremo della grande riconciliazione Sanremo-destre, dei trattori (forse) al posto degli amplessi gay simulati, e scusate se è poco. Un inedito assoluto almeno per l’ultimo decennio: un festival senza strilli sul monologo di Rula Jebreal o sulla vittoria di Mahmood, senza tweet contro i Måneskin mezzi nudi o Achille Lauro vestito da Mina, senza polemiche sugli omaggi alla Costituzione, su Roberto Benigni, sui baci proibiti di Rosa Chemical, sul nude-look di Chiara Ferragni e su televoto che premia il di lei marito. Togli tutte queste cose in nome del nuovo politicamente corretto e cosa resta? Le canzoni e Fiorello, vabbè. Sono abbastanza? Magari sì, vedremo con gli ascolti.
È la Sanremo dell’elezione indiretta a cinque turni, altro che premierato. Al primo giro votano solo gli ermellini della sala stampa e dei giornalisti accreditati. Il popolo sovrano dovrà aspettare fino a oggi, e comunque avrà un peso specifico relativo: 50 per cento, l’altra metà del voto ponderato spetterà agli inviati delle radio. Idem domani, mentre nell’ultima serata la volontà popolare sarà ulteriormente declassata al 33 per cento. Fino a sabato nemmeno sapremo chi sono i potenziali perdenti perché la classifica completa delle serate non sarà rivelata. E dunque: addio pure al format «star assolute punite da Sanremo» che suscitò putiferi per gli ultimi posti di gente come Vasco, Zucchero e Loredana Berté.
È la Sanremo dove nessuno boicotta Sanremo: l’hashtag corrispondente resterà nel cassetto. Fosse stata almeno una Sanremo sovranista, con Pino Insegno e Povia sul palco, la sinistra avrebbe potuto rispolverare l’antico gne-gne contro il nazional-popolare che trafisse Pippo Baudo negli Ottanta, quando l’aggettivo risultava ancora dispregiativo. E invece neanche quello. Alla conferenza stampa di presentazione Amadeus e Marco Mengoni, sollecitati da Enrico Lucci di Striscia, si dichiarano antifascisti e intonano pure Bella Ciao. La pratica di osservanza repubblicana è spicciata, e si va avanti. Difficile immaginare una Elly Schlein che metta l’elmetto per riproporre alla rovescia il vecchio anatema di Matteo Salvini: «Hanno già deciso che vinceranno tutti quelli politicamente corretti e di sinistra».
Magari arriveranno i trattori, ma abbiamo già visto i metalmeccanici, i disoccupati, i matti, i tentati suicidi, gli spacchi inguinali delle bellissime, la rissa sul palco, e pure il Dio Patria e Famiglia è stato adeguatamente servito già quindici anni fa dall’esiliato Emanuele Filiberto e Pupo: «Sì, stasera sono qui per dire al mondo e a Dio, Italia amore mio». Fu eliminata al primo giro, ripescata, portata fino al secondo posto in finale, contestata dall’orchestra che lanciò per aria gli spartiti e denunciata dal Codacons per brogli: chi potrà restituirci emozioni così? Forse solo se cantasse il generale Vannacci, ma purtroppo non succederà.
La Sanremo della grande riconciliazione Sanremo-destre rischia di deluderci perché, da almeno un decennio, il sale del Festival sono appunto i commenti indignati dei politici di destra contro la deriva woke delle serate e il carnet degli ospiti giudicato a senso unico, tutti buonisti, tutti petalosi, tutti simpatizzanti comunisti, Fazio e Littizzetto, Bisio, Crozza, Carla Bruni, Serena Dandini, Neri Marcorè, Carlo Verdone («Ma è uno spettacolo o è un COMIZIO del PD?», frase e maiuscole di Salvini, sempre lui). E adesso che l’egemonia ha cambiato segno la sinistra, anche se volesse ricambiare, non saprebbe a cosa attaccarsi, almeno per il momento. Il pre-festival è innocuo e strapaesano. L’apertura con la fanfara dei carabinieri a cavallo è bizzarra ma incontestabile. Clara ha un vestito strano ma niente che possa suscitare dibattito. La performance pseudo-punk di La Sad è ammortizzata dai cartelli di impegno contro il suicidio. Non c’è nemmeno Beatrice Venezi a dirigere l’orchestra.
«Da questo momento in poi nulla sarà come prima», hanno detto Amadeus e Mengoni alzando il sipario, e chissà cosa intendevano. Forse che da quest’anno il popolo di Sanremo sarà obbligato a parlare solo di canzoni, sperando che ci sia qualcosa da dire almeno su quelle.