Autore originale del testo: Igiaba Scego
Il collega Scurati nel suo discorso di ieri a Piazza del Popolo ha detto tra le altre cose “non massacriamo i civili e non deportiamo i bambini e li usiamo come riscatto”. Nell’Europa che ha esternalizzato le frontiere, messo in mano terzi la tortura, calpestando il diritto al viaggio delle persone del sud del mondo, tacendo sulle gravi violazioni del diritto internazionale degli ultimi anni, dire questo è diciamo, per usare un eufemismo, qualcosa di molto (ma moooltooo) lontano dalla verità. Nel discorso del collega, che rispetto in quanto collega, ma di cui non condivido le idee, soprattutto quelle esposte nei suoi ultimi articoli e nel discorso di ieri, ho trovato molto pericoloso quel “Noi” che presuppone già nella sua enunciazione esclusione. È un noi molto recintato. Un noi bianco, borghese, elitario, eterosessuale. Un noi che appena è stato enunciato fa sentire esclusi. Io confesso mi sono sentita esclusa da questo discorso. Un noi poi che professa innocenza e candore. Immagino siano parole dette con il cuore e in buona fede, in questo rispetto le intenzioni di chi le ha dette, pur non condividendo nulla. Ma sono parole un po’ grigie che subito mi hanno fatto pensare a James Baldwin quando scriveva al nipote che l’innocenza (in quel caso lui parlava degli Stati Uniti e dei crimini perpetuati verso la popolazione nera, verso i nativi con il genocidio) era il crimine. Chi studia come me da tanto tempo le dinamiche coloniali e postcoloniali sa quanto dichiararsi innocenti sia pericoloso e nefasto. Perché i crimini sono stati tanti, quelli di ieri e quelli di oggi. L’Europa affonda le mani nel sangue. E quando nelle linee guida del ministero dell’istruzione viene detto che solo l’Occidente conosce la storia, citando un po’ fuori contesto Bloch, (riesumando il concetto tossico di missione civilizzatrice) si può dire che in un certo senso può anche essere vero, perché l’Occidente affonda le sue radici nella violenza della storia e nel sangue del prossimo. E se vogliamo costruire un continente forse si deve partire da questo, da una storia problematica. Dal sangue versato. Quindi un po’ meraviglia che proprio l’innocenza, e in questo l’eco di italiani brava gente, che diventa subito europei brava gente, sia stata messa al centro di istanze che, almeno così sono arrivate a me, sono ancora confuse se non distorte. E dette in un certo modo, con una certa postura, escludenti. Europa è un concetto complesso. Un ombrello che non può contenerci tutt* se non scaviamo davvero nelle sue dinamiche profonde e nelle sue diversità. Io negli anni mi sono chiesta per esempio come mai ci conosciamo cosi poco in Europa, perché ci interessiamo poco degli altri. Cosa sappiamo veramente dei norvegesi? Degli austriaci? Degli olandesi? Dei portoghesi? Degli afroeuropei? A stento di alcuni paesi si leggono i libri o si vedono i film. Io che amo molto la lingua portoghese mi meraviglio ogni volta quanto sia assordante il silenzio sul Portogallo per esempio. Conosciamo, e mi scuso pure io del noi generico, più Columbus in Ohio rispetto a Lisbona. Ora scusate questo paradosso ma è per ragionare sulla parola “noi” che non esiste. Noi rispetto a chi? Rispetto a cosa? E poi mi sono chiesta davvero vogliamo creare un’Europa a partire dalla paura? Sono tempi complessi, me ne rendo conto. Ma la paura detto tra noi (e mi scuso di nuovo per questo noi generico) non è un collante. Anzi di solito è il primo agente disgregatore
Vi posto una foto tratta da Afropean di Johnny Pitts un libro meraviglioso sull’Europa che non sempre viene vista.