Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 17 settembre 2014
Dicono che, se il lavoro diventasse più flessibile, più precario, meno qualificato, più mobile, un sistema di tanti lavoretti che vanno e vengono in ogni parte d’Italia, avremmo senz’altro più occupati. Se anche fosse, ovviamente non ci dicono che al lavoro andrebbe comunque la stessa attuale quota di reddito nazionale (se non meno). Perché se l’obiettivo è sempre quello di comprimere il costo del lavoro, la ricetta miracolosa è quella di assumere al saldo zero delle risorse: più occupati (così l’Istat gode) ma senza cacciare nemmeno un euro di più, anzi. Non si cercano nuove risorse, tanto meno investimenti pubblici e privati compresi in qualche piano nazionale per il lavoro. No. Le risorse che già ci sono, al limite meno, verrebbero destinate in futuro a un numero più alto di addetti: l’incremento occupazionale, è ovvio, lo debbono pagare quelli che lavorano, gli attuali ‘privilegiati’, secondo una certa vulgata renziana, ma anche i futuri addetti, ai quali spetteranno mini jobs od occupazioni senza più alcuna garanzia, nemmeno quella di durare per l’intero contratto sottoscritto.
Il flusso delle risorse è orizzontale (dal lavoro al lavoro) e non verticale (nuovi investimenti aggiuntivi). Il lavoro, quello che una volta era il Lavoro, con la sua dignità e la sua carriera, si frantumerà in migliaia di mini jobs: lavoretti a termine per pochi soldi, dei quali neanche due contemporaneamente basteranno a poter sopravvivere. Nel frattempo partiranno le politiche ‘attive’ per il lavoro, la famosa flexicurity alla danese, che costa una barca di soldi pubblici e serve solo a garantire un ricambio purchessia: oggi fai l’idraulico a Messina, domani il pizzettaro a Chieti, dopodomani vendi scarpe a Cuneo. E se non ti auto-deporti da un angolo all’altro del Paese, ti tolgono pure i due schizzi di indennità di disoccupazione che ti promettono. Carriere lavorative? Macché. Solo una specie di spezzatino per chi non gode di buona famiglia e di buone relazioni: saranno soddisfatti quelli che imprecano contro l’abitudine italica di svolgere un’unica occupazione tutta la vita.
Ma fate come l’America no? Dove dopo sei mesi ti gira la testa per i traslochi e per i lavoretti cambiati. Coesione sociale? Preservazione di un’identità professionale? Roba vecchia, oggi si è flessibili, sennò il tuo capitano d’impresa si esaurisce. Meglio che ti esaurisci tu che ti limiti a lavorare, mica ad andare pure a Cernobbio. Dice però: vi concedo le garanzie welfare che oggi non avete! Sono diritti in più! La risposta è facile: non potevate estendere il welfare senza menomare il lavoro? In che consisterà questo welfare aggiuntivo? Sarebbero gli schizzi di indennità di cui sopra? Sarebbe l’estensione della legislazione sociale a tutti, anche a mini jobbisti? I quali lavorano tre ore da una parte e venti minuti da un’altra, senza che si sappia chi e come dovrà concederle la maternità o la 104? Ma se puoi essere licenziato al volo, dove sarebbe la garanzia del welfare? Che ci fai con la 104 in queste condizioni terremotate? Convengono le ferie se poi trovi un altro al tuo posto? E le cure mediche o l’assenza malattia non diventano un problema per chi ti ha assunto? Sei sempre a rischio mobilità, si sappia, meglio non godere di troppi diritti. Ti indennizzano e via. Ecco. Se volevano ripristinare le quote di profitto privato senza rischiare nulla di proprio, ci sono riusciti. Tra pochi anni l’Italia non sarà più il Paese a conflitto sociale quasi zero, ma un bel pentolone ribollente di frustrazione, incertezze e nuove povertà. Più occupati a fronte di meno risorse impegnate. Una tassazione accresciuta per garantire le politiche attive sul lavoro. Una politica volta a rendere flessibile l’occupazione in azienda, pagata tutta con risorse pubbliche. La Germania come modello? Ma nemmeno i loro figli minori. Lavoratori spezzettati e frantumati nella consistenza sociale e psicologica, oltre che nelle carriere, pronti ad accrescere il numero degli astenuti alle urne. Mentre Renzi avrà già mollato, perché cessato il compito storico di dare l’ultima botta al malmesso fronte della sinistra italiana.