Il PD e la riforma del Senato

per Gabriella

di Alfredo Morganti

Il titolo della ‘Stampa’ di oggi lascia un po’ perplessi: “Senato, intesa tra governo e PD”. Disciamo la verità, se un marziano scendesse oggi sulla Terra stenterebbe a capire. L’omino verde con le antenne potrebbe immaginare che: 1. Il PD sia all’opposizione; 2. Il governo sia diretto da un tecnico o da un uomo del centrodestra; 3. Il governo sia di larghissime intese, e dunque fatichi un po’ nei rapporti interni e col Parlamento. Nulla di ciò, invece. Il governo è saldamente in mano al PD, al suo Segretario, il ministero delle Riforme pure, le due principali forze di opposizione sono fuori, le elezioni europee consegnano a Renzi (e al PD) un deserto dei Tartari dove potrebbero, almeno all’apparenza, spadroneggiare. E allora? Si dirà che gli attuali gruppi parlamentari appartengono a un’altra era, e non riflettono più il nuovo contesto renziano. D’accordo. Con l’Italicum e le nuove liste bloccate, la geografia parlamentare cambierà radicalmente (forse) e i gruppi si specchieranno di più sul partito. Ciò non toglie come il titolo della ‘Stampa’ incuriosisca, e ci restituisca un’immagine paradossale della sinistra italiana, forzata dal titolista certo, ma paradossale. Dove leggi le divisioni, le lotte intestine, le fazioni, le discrasie culturali, quelle organizzative, nonostante il napoleonico 40% raccolto pochi giorni or sono.

Lo ribadisco. Serve un vero partito, ora, non un contenitore che al massimo è in grado di contenere lo spirito di fazione che appare ancora molto vivo. Un partito con strutture, ganci istituzionali, filamenti sociali, solide sponde culturali. Un partito che discute ma sia unito per davvero. Una cosa solida, insomma. Perché la campagna elettorale si può pur affrontare sparando le miccette dello storytelling su di un elettorato bombardato a livello mediatico, ma il governo è un altro paio di maniche, e la favola non può durare molto sotto la pressione di crisi, tasi, imu, disoccupazione, precariato, moniti europei, ecc. Un bravo venditore funziona se vende un buon prodotto, corrispondente alla ‘narrazione’ messa in campo col cliente, sennò arrivano i reclami. Talché, se qualcuno lo incontra successivamente in strada, magari lo rincorre pure imbufalito. Serve un vero partito, dunque, perché la politica è fatta di raccordi, relazioni, mediazioni sociali (non frettolose o d’accatto), e questo lavoro lo può garantire soltanto un organismo forte, robusto, radicato, non un uomo isolato, piazzato per di più su entrambe le sponde del tavolo, per quanto ben visto dal popolo sovrano. Un giorno, lo si sappia, quando arresteranno qualche amministratore o parlamentare, quando si chiederà conto alla politica, quando calerà il solito pessimo giudizio sul governo, non si potrà più dire: io non c’ero, io sono dalla parte del popolo, io sono contro questa politica, io voglio il nuovo. Non si potrà dire: ‘e che sono io Pasquale!?’. Quel giorno, dovremmo essere in tanti, uniti, pronti a rispondere, motivati a farlo, capaci di stringere da vicino la società, prima che scatti un’altra letale ondata di antipolitica. L’uomo solo è bravo a farci sognare, raccontare storie, la sua storia in special modo, ma alla lunga è più debole e più vulnerabile di una comunità motivata e coesa. E debole appare il partito dove lui vorrebbe specchiare (frettolosamente) la propria solitudine.

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