Il Plebiscito

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Reichlin
Fonte: L'Unità
Url fonte: http://www.unita.tv/opinioni/lillusione-della-semplificazione/

di Alfredo Reichlin  – 18 ottobre 2016

Più si avvicina il 4 dicembre, più mi pare dannoso e mistificante il referendum-plebiscito a cui siamo chiamati. Ma è ormai impossibile tornare indietro. Cerchiamo allora di usare questo tempo per mettere la gente (compreso chi scrive) in condizione di assumere una maggiora consapevolezza della realtà in cui ci muoviamo e delle conseguenze delle scelte che facciamo.

Penso ai grandi rischi e alle grandi sfide che stanno mettendo in gioco il destino dell’Italia (come del resto tutto l’occidente, America compresa). Leggiamo il grande discorso di commiato del presidente Obama. Di che si tratta? Si tratta della rottura dell’ordine mondiale e dei muri del nazionalismo che tornano a dividere l’Europa.

S i tratta di movimenti migratori incontrollabili, delle guerre tra popoli e religioni, mentre il fantasma della povertà torna ad affacciarsi anche nei paesi sviluppati. La povertà assoluta in Italia si è triplicata. Riguarda i giovani. Cosa c’entra tutto questo con il nostro referendum? C’entra perché alla base di tutto c’è una crisi di dimensione storica della politica e della democrazia, nel senso più profondo: chi comanda, la sovranità del popolo e il suo diritto di partecipare alla direzione effettiva della cosa pubblica. Con la duplice conseguenza: riduzione dei diritti di cittadinanza e rivolta populista contro il potere. Qui sta la ragione fondamentale della crisi dei sistemi politici, compreso quello italiano.

Renzi ha ragione quando pone il problema della capacità della democrazia di decidere. E penso anch’io che così non si può andare avanti. Il sistema attuale è così debole che il primo che passa diventa sindaco di Roma. Sì, Renzi ha molte ragioni quando pone la questione del potere della politica come condizione per riprendere in mano il destino di questo paese e fermare il suo declino. Ma qui sta la sostanza vera della discussione così confusa che stiamo facendo. Il rischio molto serio che io vedo non sta solo nei pasticci e nelle incongruenze di questa riforma ma nel fatto davvero nuovo che la Costituzione cessi di essere percepita dagli italiani come “casa comune” (oppositori compresi) per trasformarsi in un qualche assetto di regole espresse dal governo pro-tempore il quale chiede un plebiscito sul suo Capo.

Mi chiedo dove va l’Italia un paese che non ha la storia della Francia o dell’Inghilterra senza una identità chiara del suo “stare insieme”. Io non sono un conservatore e condivido l’esigenza di cambiare tante cose. Ma per piacere non possiamo far credere alla gente che la colpa dei nostri guai sta nella vecchia “navetta” tra Camera e Senato. Stiamo attenti a non giocare con la Costituzione. Non confondiamo la Costituzione con lo sfascio dello Stato, cioè con il saccheggio che di esso si è fatto in questi anni in favore di interessi particolari.

E’ una lunga storia di politiche che hanno bloccato lo sviluppo dell’Italia in quanto nella sostanza hanno consentito che larga parte delle rendite e delle ricchezze private si formassero proprio sulla miseria pubblica: il liberismo straccione alla Berlusconi al posto delle regole e del rispetto dell’interesse generale. Qui sta l’ostacolo vero alle riforme. Con in più il fatto che la capacità della politica di decidere deve fare i conti con fenomeni globali, quali lo spostamento del potere decisionale dalle istituzioni rappresentative nazionali ai grandi complessi finanziari. Il fenomeno che in sostanza è alla base di quest’onda anche torbida di protesta che attraversa tutto l’Occidente. E’ così che il lavoro è stato ridotto a merce precaria, da scarto. Ma allora per piacere, non facciamo credere alla gente che è ormai invecchiata quella nostra grande Carta la quale comincia col dire che la Repubblica democratica italiana è fondata sul lavoro.

Non era propaganda. Era l’idea che democrazia–dignità della persona umana-sviluppo-lavoro stanno insieme. Era il tema che ritorna al centro della crisi del mondo attuale. Vengo così al punto. Vorrei solo che i miei autorevoli amici del “Si” riconoscessero che al di là dei toni disdicevoli, sbagliati, a volte avvilenti, la discussione che sta lacerando il PD è questa: ed è molto seria. Il suo cuore è il ruolo e la sorte di questo partito in quanto asse politico su cui porre l’evoluzione democratica del paese per metterlo in grado di reggere a sfide di questa natura. Qui sta la scelta vera. Quale asse politico? Una alleanza tra la sinistra di governo, cioè quella sinistra che è stata parte della storia migliore della repubblica, insieme con quel grande mondo di mezzo, anche moderato, laico, sensibile all’impegno civile e al progresso democratico (insomma l’idea dell’ulivo)? Oppure è il cosiddetto “partito di Renzi”? cioè l’accentramento del potere nelle mani del leader, e quindi la nascita di un nuovo centro che fonda la sua egemonia sulla capacità di assorbire una buona fetta della destra berlusconiana dando ad essa la garanzia implicita che la sinistra non conta più nulla e verrà emarginata.

L’accentramento del potere darà poi a Renzi la forza per fare quello che vuole. Si dirà che non è così. Lo si dica chiaro. E la cosiddetta sinistra del “Si” mi faccia capire che idea ha del divenire della nazione italiana ha in testa. Sono state queste e lo sono tutt’ora le ragioni del mio “No”. Ma ciò che mi importa dire è che non voglio vivere questa vicenda come una insanabile lacerazione tra le forze democratiche. E lo spero perché penso che lo spazio per un’intesa tra esse esiste. Per una ragione fondamentale: perché la realtà, cioè le cose, cioè le sfide del mondo sono molto più grandi delle nostre dispute interne. Per la ragione che per governare l’Italia non basterà un “uomo solo al comando”.

E’ il tessuto nazionale che non reggerà se lo sviluppo del paese non viene posto su nuove basi, più larghe, sia economiche che sociali, e soprattutto su nuove basi ideali. Un uovo patto tra gli italiani. Ma qui non si può tacere sulle responsabilità della sinistra. Che cosa aspetta la sinistra a produrre un nuovo pensiero sulla democrazia, cioè sul rapporto tra le masse e il potere, tra l’inter vento pubblico e la libertà di mercato? Sbaglia chi non capisce che si profila una nuova grande “questione sociale”, per cui anche la sinistra più rincretinita dalle sue beghe interne deve uscire da una vecchia visione del rapporto tra la politica e la società. Per guardare le nuove forme in cui si può ricostruire il legame sociale. Regge sempre meno questa terribile idea che il mercato e il denaro sono la ragione del mondo. Dove va il mondo se l’individuo lasciato solo non può fare appello a quelle straordinarie capacità creative che non vengono dal semplice scambio economico ma dalla memoria, dall’intelligenza accumulata, dalle speranze e dalla solidarietà umana?

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