di Raniero La Valle – 30 novembre 2018
Sono già passati 18 anni dall’inizio del secolo, e anzi del millennio, e le cose avvenute sono tali per cui è diventato urgente fargli il primo tagliando, per capire dove sta andando, e se bisogna lasciarlo andare così.
Era cominciato, il millennio, nella percezione di un grande cambiamento. Con molta retorica era stato celebrato l’Anno Santo del Duemila, stava cominciando l’euro e stava debuttando, col suo nuovo nome di Eurozona, l’Europa, il comunismo non c’era più e il capitalismo stava prendendo il potere in tutto il mondo promettendo libertà e benessere, all’occidentale, per tutti. Grandi (e piccoli) uomini e donne avevano chiuso il passato, ancora appartenendovi, senza sapere o poter aprire il futuro: Paolo VI, papa Wojtyla, Berlinguer, Gorbaciov, e ancora la signora Thatcher, quella che voleva far tornare l’Iraq all’età della pietra, cioè a prima di Babilonia e di Ninive, il Bush del “nuovo secolo americano”, gli autori del Trattato di Maastricht che avevano scelto l’economia al posto della politica e come sovrano il denaro al posto del popolo. In ogni caso però c’era la sensazione profonda di un principio: a Roma si era istituito addirittura un Assessorato che si chiamava “Roma cambia millennio” e si fecero studi e un convegno internazionale per vedere che cosa si dovesse lasciare e che cosa portare con sé nel passaggio dall’una all’altra epoca; poi Rutelli e il cardinale Ruini decisero che bastava così e tutto fu chiuso.
Ma da allora sono successe cose mai viste che hanno travolto le speranze: la guerra ripristinata come giudice universale e perpetuo; il terrorismo di osservanza islamica e le Due Torri di quell’11 settembre; la devastazione dell’Iraq, dell’Afghanistan, di tutto il Vicino Oriente fino alla Siria; la liquidazione della questione palestinese; la dittatura dei mercati e delle relative Agenzie: le nuove tecnologie guidate e finanziate dal potere per distruggere lavoro umano in tutto il mondo e progettare il “transumano”; il genocidio del popolo dei migranti fino a Trump, fino ad ora, fino al grande Gattopardo dei populismi per cui tutto cambi perché tutto resti com’è.
L’unica grande differenza, l’unica novità che ha fatto irruzione sulla soglia dell’incipiente millennio è stata la nuova narrazione di Dio, delle religioni e delle Chiese intrapresa da un papato non a caso venuto dalla fine del mondo, o forse prima della fine del mondo. Papa Francesco ha indicato almeno i punti all’ordine del giorno perché questa strana società dell’umano possa conservarsi e incedere nel futuro: che si faccia l’unità della famiglia umana e si accolga lo straniero; che il denaro non regni e non governi; che si ascolti il grido dei poveri per la dignità del lavoro, che finisca il pensiero del Dio violento e della guerra che gli è congeniale, che si assuma la custodia della terra, e si restituiscano la donna e l’uomo alla loro vera forma, l’immagine di Dio che li rende indissolubili.
Questi punti dell’agenda per il XXI secolo corrispondono tutti a dei grandi beni umani che abbiamo perduto o stiamo perdendo, ma sono così primari e universali che sempre sono stati cercati e anche sono stati promessi come beni messianici: la grande assemblea dei popoli sulla montagna santa, ognuno nel nome del suo Dio; che non siate l’uno all’altro straniero perché foste stranieri in Egitto; la giustizia e il diritto che si baciano; i poveri riempiti di beni e i ricchi mandati a mani vuote; il lavoro “molto buono” compiuto da Dio nel creare, e quello nostro a partire dal suo riposo; i popoli che disimparano l’arte della guerra, l’arcobaleno che annuncia la fine del diluvio e la chiusura del chiavistello delle acque; Dio che non ruggisce nel vento che spacca i monti e devasta gli alberi, ma viene in una brezza leggera; la differenza benedetta tra l’uomo e la donna nell’unità di una sola carne; l’uomo, per quanto “potenziato”, irriducibile a un robot.
La nostra idea è che i per i nati in questo millennio, in questo secolo, non basti affacciarsi al parapetto aspettando di vedere come tutto questo andrà a finire, ma che essi debbano decidere come deve andare a finire e a partire da ciò, come diceva Bonhoeffer, pensare e sperare solo ciò di cui risponderanno agendo.
È su questi punti all’ordine del giorno che getterà lo sguardo la prossima assemblea nazionale di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri che si terrà il 6 aprile prossimo a Roma.
Dato il suo scopo, dovrà essere un incontro intergenerazionale, perché l’oggetto dell’incontro è esso stesso intergenerazionale e non potrebbe neanche pensarsi o avviarsi il discorso senza uno scambio di saperi e di vissuti tra una generazione e l’altra.