Io sono iracheno

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 26 marzo 2016

Siamo stati tutti americani l’11 settembre. Tutti francesi dopo il vile attentato di Parigi. Tutti belgi oggi, allo scoppio delle bombe fondamentaliste che hanno massacrato gli ennesimi innocenti. La TV e i giornali non parlano d’altro, si manda persino in diretta tg il robottino che fa brillare delle borse perdute incautamente a Fiumicino o in qualche stazione ferroviaria. Oggi però sentivo di una nuova strage avvenuta a Bagdad, dove sono morti decine e decine di ragazzi che assistevano a una partita di calcio tra giovanissimi. L’attentatore si è esploso in mezzo a loro, in mezzo alla loro calca e alle loro grida e sorrisi. C’è persino un video amatoriale con l’esplosione, si sente il boato e si percepisce la fuga: si trattava probabilmente di un genitore o di un altro ragazzo che riprendeva la partita dagli spalti, non so. Ebbene, non so descrivervi con esattezza che cosa sia accaduto in quello stadio, perché su Skytg24 è stata una notizia data quasi di sfuggita, quale corollario dei servizi fiume sul Belgio. Ho colto nel commento della giornalista soltanto questo dato: 50-60 attentati al mese a Bagdad rivendicati dall’Is. Un dato impressionante a pensarci bene (ma anche qui, do questi numeri senza alcuna certezza, visto che la notizia è stata data quasi di sfuggita), un dato che è fuori da ogni serena considerazione. E poi volete sapere una cosa? Io penso che se non ci fosse stato il video amatoriale dell’esplosione nessuno avrebbe nemmeno citato l’attentato. È stato il video a trainare la news, non il contrario.

Mi chiedo, allora: perché dinanzi ad attentati come questo non c’è uno, anche uno solo, che dice di essere o sentirsi iracheno? E sui propri profili FB mette i colori di Bagdad? E poi parte l’hashtag ‪#‎iosonoiracheno‬ e c’è una fiaccolata? E magari si trasforma una piazza simbolo in un piccolo mausoleo? Nessuno. Forse perché, come si dice, “siamo in guerra” e gli arabi sono altri da noi. Sono lontani da noi. Appartengono a un’altra cultura, ad altre religioni, e chissà se usano l’Iphone o giocano a Candy Crush. Eppure, in Egitto, manifestarono contro la scomparsa e la morte di Giulio Regeni anche molti cittadini egiziani che lo avevano conosciuto o che, semplicemente, da democratici erano incapaci di sopportare soprusi ed efferatezze del genere di quelli patiti dal giovane ricercatore italiano. Ecco, io dico che se c’è un modo, almeno uno per vincere questa “guerra” o più semplicemente neutralizzare la furia dei terroristi, è quello di sentire come nostri anche i morti innocenti arabi, anche gli attentati verso gli inermi e gli incolpevoli del Cairo, di Bagdad, o verso i siriani in diaspora a causa di una guerra feroce. Solo quando saremo davvero tutti arabi, o siriani, o egiziani si potrà davvero sperare che la pace acquisti un senso, e non sia soltanto l’auspicato esito finale dell’ennesima guerra ingiusta e infondata. Solo quando una voce di qui incontrerà una voce di là, e ci sarà un ponte di sentimenti nuovi verso popoli che non sono il nostro, solo allora potremmo sperare che i fondamentalismi non possano più reclutare dei giovani disperati e perciò pronti a subire gli effetti del radicalismo fondamentalista, e a farsi esplodere in una metropolitana o in un mercato di Bagdad. Peraltro, Bagdad, la Siria, l’Egitto, il nordafrica sono anche qui, dentro di noi, nei nostri quartieri ghetto, stipati nella povertà delle periferie, e in molti ancora premono ai confini, in mezzo al fango, al freddo, alla fame e alla disperazione, e tutto quel che sappiamo dire è che ci vogliono le quote, e che in mezzo a loro, nella melma, sotto la pioggia, al freddo ci sarebbero senz’altro dei terroristi pronti ad esplodersi e a ucciderci tutti. Ecco. Io sto pensando davvero che la guerra forse ce la meritiamo.

PS di Alfredo Morganti – 27 marzo

Vorrei dire a Michele Serra, che si indigna perché le stragi in Iraq non fanno notizia, che sul suo giornale, Repubblica, la notizia di quella strage è in settima pagina, in un boxino in basso a destra. E se le stragi irachene non fanno notizia, se quei morti sono ritenuti di serie B, è colpa anche di chi fa informazione. La morale, dunque, la faccia ai suoi colleghi e al suo direttore.

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