La fatica di Sisifo per il nuovo “unionismo”

per Gian Franco Ferraris

di PAOLO FAVILLI su

L’Altra Europa con Tsipras – Roma.  23 luglio 2014

DOPO L’ASSEMBLEA DEL 19 LUGLIO – Ricordiamoci che quando il più grande sindacato europeo, quello inglese, si accorse di non poter contare sulla benevolenza del liberalismo si costruì la propria rappresentanza in parlamento

Il mito di Sisifo sem­bra par­ti­co­lar­mente adatto a deli­neare aspetti impor­tanti delle pos­si­bi­lità aperte dopo la posi­tiva espe­rienza della lista Tsi­pras. Due sono i motivi più evi­denti:

a) si è trat­tato di un vis­suto col­let­tivo che indica con suf­fi­ciente chia­rezza le con­di­zioni della ripar­tenza

b) nello stesso tempo la ripar­tenza si con­fi­gura dav­vero, lo dice Omero, come l’operazione di spin­gere «una rupe gigante reg­gendo con entrambe le brac­cia e pun­tel­lan­dosi con le mani e con i piedi».

 

a) Quell’esperienza, in par­ti­co­lare nella fase della rac­colta delle firme (un obiet­tivo repu­tato irrea­li­stico), è stata l’inizio di un muta­mento nella per­ce­zione (ed anche nell’autopercezione) di tutte le iden­tità poli­ti­che e cul­tu­rali che a tale ope­ra­zione hanno par­te­ci­pato. Marco Revelli ha scritto recen­te­mente, e lo ha ripe­tuto nel suo inter­vento all’assemblea del 19 luglio, che i con­tri­buti di quelle iden­tità sono stati, e soprat­tutto sono, «tutti egual­mente pre­ziosi, [E]dovremmo pro­porci, d’ora in avanti, di non smar­rirne nep­pure uno, per set­ta­ri­smo, sup­po­nenza, tra­scu­ra­tezza». Avrebbe scritto e detto le stesse cose il Revelli di un anno fa senza la rifles­sione che ha fatto, ad esem­pio, sul ruolo della «task force di Rosa [RINALDI]» in Val d’Aosta?

Sup­po­nenza e set­ta­ri­smo non sono certo scom­parsi dal nostro oriz­zonte, ma riguar­dano tutte le iden­tità che si sono messe in gioco. Nes­suna può per­met­tersi di dare lezioni ed anche i pro­fes­sori devono dimen­ti­carsi della cat­te­dra.

Inol­tre le linee pro­gram­ma­ti­che intorno a cui è avve­nuta l’aggregazione per­met­tono di dare alla ripar­tenza un iti­ne­ra­rio che si svolge entro con­fini abba­stanza chiari. La pro­po­sta di New Deal ha carat­tere deci­sa­mente inclu­sivo, ma nello stesso tempo indica una scelta pre­cisa. L’insieme delle sue com­po­nenti si arti­cola in una gri­glia che non riflette certo una let­tura sem­pli­ci­stica dei mec­ca­ni­smi della lotta di classe, una «let­tura bina­ria», per usare un’espressione dell’ultimo sti­mo­lante libro di Dome­nico Losurdo. Pur tut­ta­via ognuna di que­ste è incom­pa­ti­bile con il qua­dro poli­tico attuale. Il com­plesso di quelle com­po­nenti pre­vede una «inver­sione della dire­zione» reale, non di mar­ke­ting demagogico-populista. E per­ciò il New Deal pro­po­sto si strut­tura comun­que come insieme di forme diverse (anche diver­sa­mente radi­cali) di lotta di classe.

Si pensi solo alla que­stione rela­tiva alle trat­ta­tive in corso per il Par­te­na­riato Tran­sa­tlan­tico sul Com­mer­cio e gli Inve­sti­menti (TTIP), cioè alla gab­bia di ferro che si sta pre­pa­rando per fis­sare defi­ni­ti­va­mente le classi subal­terne euro­pee alla loro con­di­zione, appunto, di subal­ter­nità. Una sorta di defi­ni­tivo punto d’arrivo della lotta di classe dall’alto degli ultimi trent’anni. Si tratta di que­stione para­dig­ma­tica e dun­que discri­mi­nante. Tutta l’elaborazione che sor­regge la pro­po­sta del New Deal, infatti, si con­fi­gura in ter­mini di anti­tesi sia teo­rica che poli­tica.

Su tali que­stioni si defi­ni­scono i per­corsi ed i loro con­fini. Ed alla luce di tali que­stioni il pro­blema dei rap­porti con il Pd cessa di pre­sen­tarsi come un con­ti­nuo psi­co­dramma. Solo con un’infinita capa­cità di autoin­ganno ci si può sba­gliare sulla col­lo­ca­zione di quel par­tito rispetto al gran­dioso pro­cesso di ter­mi­doro pla­ne­ta­rio in corso. E per fare emer­gere le con­trad­di­zioni, che pure ci sono, da un corpo le cui scelte fon­da­men­tali sono soli­di­fi­cate tanto nella cul­tura che nella strut­tura orga­niz­za­tiva, non ser­vono mosche coc­chiere o, come qual­cuno ha ulti­ma­mente sug­ge­rito, anguille inaf­fer­ra­bili. Bensì una vera forza orgo­gliosa della sua auto­no­mia cul­tu­rale e poli­tica.

b) Molti com­pa­gni hanno messo l’accento sull’importante ruolo che garanti/professori hanno avuto nel pro­getto aggre­ga­tivo intorno alla lista Tsi­pras. Hanno messo anche in rilievo come essere il nostro, il «par­tito del pen­siero» e «del sapere» (ancora Revelli) non solo sia stato rile­vante per il primo tra­guardo rag­giunto ma anche per la dif­fi­ci­lis­sima impresa dello spin­gere la «rupe gigante».

 

Credo anch’io che si tratti di un’essenziale forza di spinta, come lo è stata nella grande sto­ria del movi­mento ope­raio e socia­li­sta. Per noi l’intreccio con­ti­nuo tra ela­bo­ra­zione cul­tu­rale e prassi poli­tica è una strada obbli­gata. Le forze dell’establishment non ne hanno biso­gno. Per loro ci sono i «ser­ba­toi del pen­siero» (Gal­lino) del capi­ta­li­smo trion­fante nell’attuale fase di accu­mu­la­zione. Alle forze poli­ti­che dell’ esta­blish­ment è deman­data una fun­zione di ser­vi­zio e in tale ruolo il cial­tro­ni­smo semia­nal­fa­beta aiuta.

Se, dun­que, dalla nostra parte il ruolo dell’intellettuale come spe­cia­li­sta + poli­tico man­tiene, sia pure in un con­te­sto pro­fon­da­mente diverso, una fun­zione da cui non si può pre­scin­dere, ciò non com­porta la tra­du­zione imme­diata dello spe­cia­li­smo in politica.

 

Ci sono molte media­zioni tra le due sfere ed i ruoli di dire­zione poli­tica non pos­sono asso­lu­ta­mente pre­scin­dere dal con­fronto demo­cra­tico sulla pro­po­sta e sull’organizzazione.

Inol­tre il «par­tito del pen­siero», pro­prio per­ché tale, deve avere chiara con­sa­pe­vo­lezza che pro­blema cen­trale della sua rifles­sione, e soprat­tutto della sua azione ha come punto di par­tenza il fatto che la sua pro­po­sta elet­to­rale ha inter­cet­tato una per­cen­tuale irri­so­ria del voto ope­raio.

Su que­sto punto l’elaborazione cul­tu­rale e poli­tica cri­tica della sini­stra è ricca di ana­lisi, inda­gini sui pos­si­bili e nuovi sog­getti del muta­mento, indi­ca­zioni di pro­spet­tiva, ma c’è ancora dif­fi­coltà a com­pren­dere e sen­tire fino in fondo il carat­tere deci­sivo della que­stione per il destino del pro­cesso di costruzione/ricostruzione in atto.

La giu­sta atten­zione nei con­fronti del con­te­sto eco­no­mico e sociale che ha pro­fon­da­mente cam­biato i ter­mini in cui si esprime la rap­pre­sen­tanza poli­tica dei subal­terni, rischia di sfu­mare sullo sfondo quella che è stato feno­meno fon­dante della anti­tesi sociale dell’età con­tem­po­ra­nea: l’unionismo sin­da­cale. La crisi odierna del sin­da­cato è pro­fonda e non vanno asso­lu­ta­mente taciute le stesse respon­sa­bi­lità di tanta parte dei gruppi diri­genti e l’accentuato cor­po­ra­ti­vi­smo di molte orga­niz­za­zioni. Tut­ta­via la con­trad­di­zione di fondo tra il lavoro orga­niz­zato per difen­dere tutti gli aspetti della pro­pria dignità e le forze che pun­tano con deci­sione alla com­pleta disu­ma­niz­za­zione del lavoro con­ti­nua ad inner­vare parte non tra­scu­ra­bile della dina­mica sociale.

Que­sta dimen­sione dell’unionismo ha per­duto ogni refe­rente poli­tico. Anzi Il Pd, che, peral­tro, ha fatto dell’abbandono degli ope­rai un ele­mento distin­tivo della pro­pria iden­tità, ha, nella fase ren­ziana, matu­rato la neces­sità di un eser­ci­zio dema­go­gico di anti­sin­da­ca­li­smo nella logica degli sfon­da­menti in ogni direzione.

 

È vero, come ci hanno inse­gnato i mae­stri, che ogni lotta sociale è anche lotta poli­tica, ma gli stessi mae­stri hanno sot­to­li­neato con forza che le leggi sul lavoro delle donne e dei fan­ciulli le vota il par­la­mento.

La nostra ripar­tenza non può sfug­gire a que­sto nodo che neces­sita di una costante atten­zione, di rifles­sione e ini­zia­tiva anche orga­niz­za­tiva.

D’altronde nem­meno quella parte dell’unionismo che è con­sa­pe­vole della posta in gioco nella fase attuale dello scon­tro poli­tico e sociale può esi­mersi da porsi il pro­blema di una rap­pre­sen­tanza poli­tica. Ed allora deve decli­nare in modo nuovo la que­stione dell’autonomia e della divi­sione netta dei com­piti tra sfera sin­da­cale e sfera poli­tica. Ricor­dia­moci che il più grande e radi­cato sin­da­cato euro­peo, quello inglese, quando si accorse di non poter con­tare più su alcuna bene­vo­lenza da parte di qual­si­vo­glia com­po­nente della tra­di­zione libe­rale, prese l’iniziativa di costruir­sela la pro­pria rap­pre­sen­tanza in par­la­mento.

Il peso della «rupe gigante» è tale che nes­sun può sot­trarsi al com­pito della non ras­se­gna­zione. Come ha detto Albert Camus, «anche la lotta verso la cima basta a riem­pire il cuore di un uomo. Biso­gna imma­gi­nare Sisifo felice».

fonte: fondazione Pintor

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