La gatta frettolosa fa i gattini ciechi

per Gabriella

da alfredosomoza.com   04 giugno 2014

di Alfredo Somoza

Brutta discussione quella di questi giorni sul futuro di SEL, della Lista Tsipras e dell’area culturale che si è impegnata nell’avventura per l’Altra Europa. In SEL si discute di adesioni dell’eletto (?) al GUE piuttosto che al PSE. In realtà, dal Congresso di Riccione sono uscite due linee contrastanti su questo tema. Nel documento congressuale, non emendato, si afferma che la collocazione di SEL in Europa  è nel PSE,  nell’OdG che è stato approvato sull’Europa si afferma invece la partecipazione di SEL alla Lista Tsipras, chiaramente connotata con il GUE.

La realtà è che a noi candidati della Lista Tsipras, lo stesso Alexis non ci ha chiesto l’adesione a un gruppo determinato, fermo restando, e ci mancherebbe, il sostegno a quanto sarebbe stato deciso da lui e dal suo gruppo all’indomani delle elezioni. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire. Questo per dire che nel PSE o nel GUE, l’allineamento non è mai automatico, e questo vale per entrambi i gruppi che hanno nutrite fronde interne. Gli eletti italiani della Lista Tsipras avevano un impegno sottoscritto per rispettare la linea di Tsipras, non per aderire al GUE. Non mi risulta che su questo punto ci sia stata una dichiarazione pubblica di Tsipras che immagino abbia ben altri problemi e pensieri.

In generale, il dibattito sulle sigle penso sia uno dei dibattiti più sterili e inutili degli ultimi tempi, visto che la Commissione, fregandosene di chi ha vinto le elezioni e per non dare fastidio a Londra, sta pensando a Christine Lagarde, ex Ministro di Sarkozy e soprattutto lady di ferro del FMI. Quella istituzione rimasta come i soldati giapponesi dopo la guerra, a difesa dell’ortodossia neoliberista ormai superata in mezzo mondo. Quel FMI che fa parte della troika (a quale titolo?) e che spinge perché si firmi il TTIP. Per noi però il problema è GUE o PSE. Bene, avanti ancora.

L’altro fronte dei pasticci riguarda il balletto sul seggio di Barbara Spinelli. Prima candidata di bandiera, e per questo criticata, ora dopo avere fatto campagna chiarendo che era appunto candidata di bandiera, di nuovo in ballo per un seggio. Per molti il dibattito è ridotto a “chi fa fuori” Barbara decidendo di non rinunciare: quello di SEL o quella di Rifondazione. Un dibattito che non interessa a nessuno, bastava sentire ieri sera la Zanzara di Radio 24 che si accaniva contro “gli intellettuali moralisti che dicono una cosa e poi, sentito l’odore di cadrega, fanno altro”. Un brutto dibattito in un clima da stadio, con garanti che non garantiscono, ex-candidati che si candidano a diventare garanti, attacchi personali e collettivi, spinte per creare un  nuovo soggetto della sinistra che abbia “delle sedi” (sentito ieri a Milano), ipotesi di alleanze in vista delle prossime elezioni (?).

I numeri ci dicono che la realtà è diversa da come la stiamo immaginando. In Lombardia siamo passati dai 224.656 elettori (SEL+Rivol.Civile) delle Politiche del 2013, ai 171.928 delle europee (Lista Tsipras). Il saldo è di –52.728 voti in meno in un anno.  E’ questo considerando solo gli “odiati” partiti. Ma la “società civile” quante armate aveva?

Pare ovvio che c’è stato un rimescolamento delle carte, con voti, tanti, in uscita e voti, tanti, in entrata ma con un saldo finale negativo. Voti pescati nel recinto al quale ci siamo in parte autocondannati e al quale ci hanno condannato i media e le altre forze politiche. Minoritarismi, lotte di nicchia, linguaggi per iniziati, snobismi, sono tutti difetti nostri, insieme anche però al coraggio di proporre soluzioni radicali e possibili, di credere nella partecipazione e di occuparci di Europa, gli unici in campagna elettorale. La nostra debolezza maggiore è stata sicuramente il non avere mai potuto smentire che saremo stati una forza minoritaria e ininfluente sui destini dell’Europa, come si è dimostrato, e quindi il voto utile non è stato quello contro Grillo, ma per un partito, il PD, percepito come l’unico partito in grado “di fare”, cioè di portare avanti quelle riforme necessarie per sopravvivere. Qualificare ora il PD come “una nuova democrazia cristiana” è pari soltanto all’ipotesi che fosse possibile un accordo tra noi  e il M5S. Grillo sta ancora ridendo.

Ci vuole calma e meno arroganza per andare avanti. Calma perché nessuno ci sta rincorrendo, perché si voterà minimo tra un paio d’anni, perché non siamo pronti per dare vita a nuove forze organizzate prima di capire perché, come e con chi. Le tre domande basilari prima di lanciarsi su ipotesi organizzative, organigrammi, organismi dirigenti, ecc. E anche perché SEL, e anche in minor misura Rifondazione, hanno una presenza capillare negli enti locali e anche in Parlamento.

I sindaci, i consiglieri comunali, i consiglieri e gli assessori regionali, i deputati e i senatori di SEL sono un pezzo importantissimo di quell’altra Italia da costruire e che in queste ore vengono vissuti quasi come “un problema”. Se non si parte dall’esistente (partiti e comitati), dagli eletti all’europarlamento e dalle centinaia di eletti nel Parlamento e negli enti locali italiani, si perde una ricchezza collettiva. La logica della tabula rasa non può cancellare le lotte e le conquiste di chi in questi anni, anticipando quanto ci ha proposto Tsipras, è già diventato sinistra di governo perché pensa che la sinistra deva essere maggioritaria e non forza di testimonianza.

Se vogliamo dimostrare che è possibile conquistare spazi “facendo politica”, sporcandoci le mani, cercando alleanze e spingendo sempre per soluzioni progressiste alla crisi, l’esempio viene dai nostri eletti che però da soli non bastano. Movimenti, comitati, partiti ed eletti, nel rispetto dei rispettivi ruoli e culture, sono un’ottima base di partenza per allargare un’area a sinistra, come sta succedendo in Grecia, com’è successo in tanta parte dell’America Latina. Il resto è il ritorno a un passato di sconfitte che non vorremo torni più.

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1 commento

Emanuele 6 Giugno 2014 - 9:35

SEL è come il PSDI di Saragat o il PSI di Craxi. I comunisti erano un’altra cosa e per questo Berlinguer era il leader della questione morale

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