C’è un certo interesse attorno alla figura pur in declino di Renzi. E non credo che sia perché incarni il mito romantico della Venezia decadente, e perciò simbolo di struggente nostalgia. No. Renzi piace ad alcune forze di sistema (e non) perché somiglia tanto a un detonatore, a un artifizio esplosivo, a una miccetta. Anzi, è lui per primo ad atteggiarsi in tal guisa. È uscito dal PD proprio per incarnare questo suo sogno borderline e per dire: faccio saltare tutto ergo sum. A questa idea che il sistema possa deflagrare, che il governo possa squagliarsi, che tutto possa andare alla malora pur di avere ragione o fare i propri comodi, hanno aderito in molti, forse più di quelli che invece vorrebbero aprire una fase diversa, nella quale tentare di contenere i conflitti in un ambito di mediazione.
Se Renzi detenesse una rappresentanza tale da riflettere effettivamente lo spazio e il credito che gli viene concesso da sempre (e oggi tanto più) sui media, sarebbe un assopigliatutto, un despota, un capobastone, una specie di one-man-band. E invece a fronte dell’interesse mediatico debordante, il suo 3,8% da sondaggi e i minacciati 50 parlamentari da politica-mercato, sono ben poca cosa. Che l’ex-tutto oggi possa al massimo aspirare a divenire il portabandiera dei moderati di centrodestra e delle forze che vorrebbero dare l’ennesimo calcio alla sinistra che si impegna in compiti di governo, è un fatto acclarato. Si prova comunque pena per questo mondo politico sciatto e volgare, questa roba da bordo piscina che scommette sul disastro pur di avere libero gioco, eleggendo un outsider (che tale rimane) a proprio evanescente campione. Stavolta però la fase è cambiata, e non sarà così facile tornare a Papeete, ai porti chiusi, al salvinismo, alla chiacchiere da bar dello sport scambiate per discorso politico.