L’affermazione di Cacciari “Anche gli statali devono pagare la crisi” è senza senso

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Massimo Amato
Siccome, nonostante lo stato di quasi irreversibile degenerescenza del dibattito pubblico, è ancora permesso dissentire civilmente, cioè argomentando, dalle persone che stimiamo, mi permetto di dissentire dalle posizioni assunte da #MassimoCacciari sul tema di chi debba pagare il costo della crisi. E di seguito argomento.
Cacciari fa bene a sottolineare che la crisi sta colpendo in modo molto diseguale gli italiani, e che c’è una crescente sofferenza sociale di settori interi, che sono sempre più esposti ed emarginati, la quale alimenta i populismi.
Tuttavia, se è bene sottolineare che in una comunità che non usurpi il suo nome nessuno deve essere lasciato solo, bisogna stare attenti a come si mettono in comune le risorse. Non basta l’adagio “mal comune mezzo gaudio”. C’è un problema di distribuzione del reddito e di disuguaglianze accumulate, che sono precisamente la causa principale delle fragilità del tessuto sociale italiano.

Partiamo allora da considerazioni macroeconomiche, che a Cacciari evidentemente sono sfuggite, e anche a qualche altro economista, diciamo liberista, ma non al mio amico

Leonard Woolf: se ipotizziamo un prelievo forzoso sugli stipendi pubblici pari al 20% dello stipendio (supponiamo, da una soglia superiore ai 1500 euro) per alimentare un fondo volto a redistribuire risorse agli esercenti, non possiamo non vedere che ciò significherebbe al contempo una riduzione della base imponibile IRPEF. Ma ancora prima: perché non vedere che la riduzione delle capacità di consumo dei famosi statali e parastatali avrebbe effetti negativi proprio nei confronti delle categorie che si vorrebbero proteggere con la riduzione in questione: meno reddito, meno domanda per consumi, per esempio per i pasti da asporto, e dunque meno lavoro per i ristoratori per i rider, ecc. ecc.
L’alternativa? In questo senso non è che ci vorrebbe molto a proporre che un programma serio di sussidi sia finanziato da una tassazione straordinaria per i più ricchi, la quale non intacchi salari medi francamente bassi, ma tocchi le aliquote marginali e quindi interessi la parte meno esposta delle società italiana, per la parte più elevata del suo reddito. Vale forse la pena osservare che il risparmio aggregato è cresciuto in tempi di pandemia, nonostante l’ingigantirsi delle disuguaglianze e l’assottigliarsi dei redditi medio-bassi. O semplicemente, come suggeriva il liberale Luigi Einaudi per le spese di guerra (e dunque per definizione straordinarie), e giustamente per evitare di pesare con una tassazione straordinaria sul reddito presente non con l’emissione di debito, possibilmente perpetuo. I tassi in questo momento sono favorevoli, non solo per il debito UE sul recovery fund, ma persino sul debito pubblico italiano.
E non voglio tediare il lettore ricordandogli la mia proposta per una #AgenziaEuropeadelDebito, che queste cose consentirebbe di farle ancora più egregiamente.

“Voglio dire ai miei colleghi dello stato e del parastato, prima o dopo arriveranno a voi, per forza. E io spero che ci arrivino presto, perché è intollerabile che questa crisi la paghi metà della popolazione italiana”. Massimo Cacciari si esprime così in collegamento con Piazzapulita. “La strategia è cercare di tenere la gente a casa, passando per la linea di minore resistenza. Cerchiamo di tenere aperte fabbriche e industrie, chiudiamo bar e ristoranti: è del tutto ‘casual’. Sono interventi privi di logicità, è palese la contraddittorietà di tre quarti di questi provvedimenti”, dice il filosofo e politologo interpellato sul nuovo dpcm.

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