L’amaro paradosso delle nostre tasse che puniscono i cittadini più deboli

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Chiara Saraceno
Fonte: La stampa

L’amaro paradosso delle nostre tasse che puniscono i cittadini più deboli

Il socialista Matteotti e il liberale Einaudi condividevano l’idea che le tasse non solo fossero necessarie perché senza risorse non può esserci nessun programma di governo e non può essere raggiunto nessun obiettivo, ma fossero lo strumento per ridurre le diseguaglianze: non tanto tramite forme di redistribuzione diretta, che pure possono essere necessarie, quanto tramite un’offerta robusta di beni pubblici, di infrastrutture materiali e sociali, che consentano anche a chi ha meno risorse individuali non solo di farcela, ma di migliorare le proprie condizioni e di partecipare pienamente alla società. Per questo erano a favore della progressività nella tassazione basata su regole e meccanismi trasparenti e fortemente avversi ad ogni forma di elusione, trattamento di favore, contrattazione, secondo il principio da ciascuno secondo le sue possibilità e a ciascuno secondo i suoi bisogni. Compito dello Stato, tramite le sue norme ed una amministrazione efficiente, è garantire non solo la prima parte di questo principio, ma anche il passaggio alla seconda: trasformando, appunto, le tasse in beni pubblici, in risorse accessibili secondo il bisogno.

Un’idea di Stato, quindi anche di tassazione, cui l’Italia è arrivata solo con la Costituzione repubblicana, come ha ricordato Ruffini ieri su questo giornale parlando della attualità del pensiero di Matteotti sul fisco e anche delle sue critiche al sistema fiscale italiano del tempo, frammentato e diseguale. Critiche che valgono, con qualche aggiornamento, anche oggi, nonostante la grande innovazione introdotta con l’imposta personale progressiva (Irpef) nel 1973, che avrebbe dovuto ricomprendere, appunto in un’ottica di progressività, tutti i redditi. Sappiamo, infatti, che non è così. Alcuni redditi – di capitale, ma anche la casa – sono tassati a parte e diversamente, oltre a poter essere oggetto di piccole o grandi elusioni (la riforma del catasto auspicata da Matteotti, ad esempio, ancora latita). Ultimamente anche il reddito da lavoro autonomo gode di un trattamento diverso, e di maggior favore, da quello dipendente che, come ai tempi di Matteotti e Einaudi, continua ad essere quello su cui grava maggiormente il prelievo fiscale. Purtroppo nella situazione odierna il principio «da ciascuno secondo le sue possibilità a ciascuno secondo i suoi bisogni» appare solo parzialmente realizzato e anzi indebolito sia nella prima che nella seconda parte.

Anche i beni comuni, le infrastrutture materiali e sociali, infatti, sono disponibili tra i gruppi sociali e i contesti territoriali in modo non solo disomogeneo, ma che spesso si sovrappone alle disuguaglianze, aggravandole anziché compensarle. Ciò rende sensibili alla parola d’ordine dell’abbassamento delle tasse, non della loro distribuzione più equa ed uso più efficiente ed efficace. Una riduzione peraltro non facilmente praticabile neppure da chi se ne fa campione, come ha certificato proprio pochi giorni fa l’Istat, segnalando come la pressione fiscale nell’ultimo anno sia aumentata, anche se non per tutti nello stesso modo, nonostante tutti i proclami al contrario e nonostante il grave peggioramento di servizi pubblici essenziali come la sanità. La conseguenza è che, mentre le diseguaglianze rischiano di aumentare, i ceti su cui più gravano le tasse hanno un accesso sempre più ridotto e/o di peggiore qualità ai beni che queste dovrebbero finanziare.

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