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Era da tempo che il cinema italiano di fiction non volgeva lo sguardo così esplicitamente verso i temi del sociale. Quello che un tempo si definiva con un terribile termine “cinema impegnato” o meglio di impegno civile sembra(va) essere finito. Ciro Formisano, già autore di film non fiction a sfondo sociale prova a ripercorre, dopo Vicari e Placido, la via di questo cinema con un progetto autofinanziato.
L’esodo racconta la storia di Francesca, personaggio reale, un’esodata, come vengono definiti i lavoratori che, per un marchiano errore del governo Monti, che ha messo sul lastrico migliaia di persone, sono stati mandati in pensione senza reddito, perché troppo anziani per lavorare e troppo giovani per percepire la pensione. Francesca vive con la nipote dopo avere rotto i rapporti con la figlia tossicodipendente, la mancanza di denaro la spinge a chiedere l’elemosina, ma il suo coraggio sarà premiato.
Per tante affinità narrative il pensiero corre a Umberto D. altra storia di povertà, ma non frutto di un male collettivo, bensì caduta verticale e individuale nella assoluta miseria e storia nella quale la difesa della dignità e del decoro sopravvive all’umiliazione dell’elemosina per superare le ristrettezze.
Ma i tempi sono cambiati e il cinema non è quello del neorealismo, anche se Formisano tenta la via di un cinema che si fa per la strada, tra personaggi che provano ad essere autentici, il Cesare coatto che prende coscienza, la zingara esperta di carità e il tedesco innamorato di Francesca con alle spalle una vita dura e difficile almeno quanto quella della protagonista. Ma il tentativo è riuscito solo in parte e la staticità dei set che non sembrano interagire con il respiro del film, ma diventare quasi entità estranea, rendono non sempre credibile la prova. Daniela Poggi, riconquistata ad un cinema che non sia una commedia, non sfigura e la sua prova appare credibile, non sempre i dialoghi che è costretta a recitare.
L’esodo va sicuramente elogiato per il coraggio che dimostra nell’affrontare il tema, ma nel contempo questo cinema trova un evidente limite laddove sembra chiudersi in una storia assolutamente personale, qui aggravata dalla vicenda familiare e dal difficile rapporto con la nipote che si ricompone solo in chiusura. Ecco forse il limite maggiore del film è quello di non riuscire fare diventare mai la storia di Francesca una vicenda più generale, un manifesto in cui riconoscersi. L’esodo appare un film chiuso in se stesso nel quale la protagonista cerca le soluzioni esclusivamente nelle proprie forze, riproducendo sicuramente un comune sentire che non vede più le soluzioni all’interno di una solidarietà collettiva, ma nella soluzione individualistica che diventa escamotage solitario privo di proficuo esempio per il futuro. In altre parole una specie di “ si salvi chi può” che Francesca mette in opera con molto coraggio e con la dignità di chi prova a sopravvivere senza fare del male a nessuno. Ma forse l’invenzione narrativa e quella specie di libertà poetica che ogni narratore possiede potrebbe fare aprire lo sguardo e dare respiro ad un racconto che altrimenti resta ingabbiato nelle coordinate già previste e telefonate di una storia commovente, vera finché vuoi, anzi verissima, che però non produce frutti, non alimenta pensiero se non quello di altro individualismo privo di sbocchi. I troppi i riferimenti alla vita familiare della protagonista disperdono il focus del film e il senso di questo sguardo rivolto solo verso se stessi e non verso il mondo è offerto dall’unica inquadratura al corteo di protesta nella piazza nella quale Francesca chiede l’elemosina. Il corteo passa ma lei resta immobile, non sente e non ascolta l’afflato della folla di quelli che sono nella sua stessa condizione, non si percepisce, neppure da lontano, il senso solidaristico di una protesta collettiva. Ferma nel suo posto a continuare la sua dignitosa richiesta di carità.
Se perfino la storia di Francesca, così esplicita, diventa un’occasione solo per continuare a parlare di se stessi e non assume mai i connotati di un manifesto politico, allora bisogna proprio dire che quel cinema di impegno civile è destinato a restare seppellito e le nostre tradizioni a restare solo nelle pagine della storia del cinema.
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“L’esodo”: un film umano che affronta il tema attuale degli esodati
di Vittorio De Agrò, da paroleacolori.com
2012. Anno del governo tecnico Monti. Francesca, 60enne, si ritrova improvvisamente nella condizione di esodata, e quindi senza alcun reddito. Anche con Mary, la nipote che vive con lei, la situazione precipita, proprio a causa del disprezzo che l’adolescente prova per la miseria in cui sono piombate. Non trovando alcuna soluzione, dopo aver bussato a numerose porte Francesca finisce a mendicare in Piazza della Repubblica a Roma. Le persone che attraversano quotidianamente la piazza rimangono colpite dalla sua immagine, così distinta e così lontana dallo stereotipo della mendicante. Francesca incarna la nuova povertà italiana.
Lo Stato – recitano carte costituzionali e affini – è al servizio del cittadino, a cui deve garantire sicurezza, diritti e protezione. Ma quando è lui a creare disagi e povertà?
Di primo impatto potreste essere tentati di pensare che questo si verifichi solo in Paesi non democratici, governati da regimi autoritari. Ma basta osservare per qualche secondo la situazione italiana per rendersi conto che così non è.
Cosa vi dice la parola “esodato”? Niente di particolare? Tranquilli, non siete i soli. Gli italiani sono da sempre popolo afflitto da amnesie sul recente passato.
Torniamo indietro nel tempo all’autunno del 2011. Silvio Berlusconi e il suo governo si dimettono, lasciando l’Italia sull’orlo del fallimento. Per scongiurare il pericolo di “far la fine della Grecia”, viene varato un decreto “Salva Italia”, che include anche la cosiddetta legge Fornero, sul riordino del sistema pensionistico.
Non stiamo qui ad addentrarci in particolareggiate analisi sociali o economiche. Per la nostra recensione basta che sappiate che a 380.000 lavoratori che avevano maturato il diritto alla pensione questa venne negata. In sintesi queste persone si ritrovarono senza pensione e senza lavoro.
Ecco a voi gli esodati, una nuova categoria che vive nel limbo e nel vuoto normativo.
Con coraggio e un pizzico di follia, Ciro Formisano ha deciso di raccontare questa realtà nel suo primo lungometraggio, “L’esodo”.
Francesca (Poggi) non ha un lavoro, un reddito e neppure una pensione. Nonna amorevole, cerca comunque con orgoglio e onestà di occuparsi al meglio della nipote Mary, che ignora le sue difficoltà economiche.
Francesca è una “mendicante di Stato”, tradita da quello stesso Stato a cui per un’intera vita lavorativa ha versato i contributi e pagato le tasse. Costretta a chiedere l’elemosina per sopravvivere, la donna non perde mai il decoro, il sorriso e l’educazione, mostrano nobiltà d’animo e coraggio.
Piccolo film che definire low budget non basta, girato grazie a una campagna di crowfunding e all’impegno di Formisano, “L’esodo” scuote, conquista e commuove il pubblico.
Daniela Poggi, in una delle performance più intense della sua ricca carriera, è riuscita a calarsi alla perfezione nel ruolo, trasmettendo, senza cadere mai nel pietismo, tutta la forza e la dignità di questa donna.
Ciro Formisano firma una sceneggiatura semplice, lineare e incisiva, che coinvolge chi guarda. Forse la seconda parte risulta un po’ troppo melensa e buonista, ma se l’obiettivo era, oltre alla storia di denuncia, dare una voce e un volto agli esodati possiamo dire che è stato centrato in pieno.
Sul piano tecnico e stilistico il film presenta evidenti criticità, dovute in gran parte alle scarse risorse produttive disponibili, ma Formisano dimostra di essere un regista con buone potenzialità, cuore e soprattutto valori.
Presentato in anteprima al Santa Marinella Film Festival, “L’esodo” esce nelle sale il 9 novembre per Stermo Distribuzione. Un film quanto mai necessario, che porta il pubblico a riflettere sulla condizione di “invisibili” che vivono accanto a noi, che sono come noi. E che non possono venire dimenticati.
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La denuncia di Ciro Formisano. “L’esodo”, intervista al regista
Francesca è una 60enne che si ritrova improvvisamente senza lavoro e senza reddito in seguito alla Riforma Fornero che ha visto coinvolte oltre 400 mila persone. Dopo aver bussato a diverse porte, Francesca finisce a mendicare in Piazza della Repubblica a Roma. I passanti rimangono colpiti dalla sua immagine, così distinta e così lontana dallo stereotipo della mendicante. Con la forza della dignità, la donna riesce a superare l’imbarazzo dei primi giorni. Ben presto, conoscerà il tedesco Peter, uno dei primi che riesce a strapparle un sorriso, una zingara che cerca di cacciarla per difendere “la sua zona” e Cesare, un uomo affidabile che tenta di infervorare l’animo della donna, aizzandola alla protesta. Il tutto si complica quando una giornalista le chiede di raccontarle la sua storia. Abbiamo intervistato Ciro Formisano, regista del film.
Chi è Ciro Formisano?
Un artigiano di storie. Ho iniziato a inventare storie per immagini all’età di 8 anni. Solo più avanti negli anni ho capito che quella mania poteva diventare una realtà e che quelle storie potevano davvero prendere forma.
Sei nato a Napoli. Cosa rappresenta per te questa città?
Ho lascito Napoli in età adolescenziale per studiare e vivere a Bologna, Firenze e Roma. Napoli è un sogno per me, uno di quei sogni che ogni tanto mi piace ricordare e rivivere. Adesso che il cinema partenopeo sta riscoprendo una nuova identità non fa che accrescere in me il desiderio di realizzarci qualcosa: un ritorno alle origini che hanno sempre fatto parte di me.
Com’è nata la tua passione per il cinema?
Il cinema è sempre stato presente nella mia vita. Da bambino grazie ai miei genitori, più per passione e ancora dopo per necessità. Vedere e vivere un film significa uscire dalla tua vita per qualche ora per poi tenere con te un pezzetto di quell’esperienza che può darti.
Sei stato al cinema con “L’esodo”. Perché hai scelto di fare questo film?
Ho iniziato a seguire le proteste degli esodati sul nascere, nel 2012. Ho iniziato a raccogliere testimonianze con l’idea di realizzarne un documentario. Ho così prodotto “Figli dell’Esodo”.
Successivamente ho capito che un documentario sarebbe stato poco fruibile da chi non era colpito dal problema, quindi ho scritto un romanzo dal quale poi è stata tratta la sceneggiatura de “L’Esodo”.
Protagonista indiscussa è Daniela Poggi. Per quali motivi hai scelto lei?
Daniela Poggi era per età, per esperienza e talento l’unica che poteva impersonare Francesca, la protagonista del film. L’esperienza del lavoro con lei mi ha solo arricchito. E’ un’attrice con la A maiuscola, un concentrato di sensibilità e padronanza espressiva che si mette totalmente a disposizione dei personaggi a cui riesce a dare vita. Non è soltanto la colonna portante di questo film, ne è il vero asso nella manica. Mi sento enormemente fortunato che abbia accettato di prendere parte alla mia opera prima e la auguro davvero a tutti quelli che vogliano dare un valore aggiunto al proprio lavoro.
Tratti una tematica molto delicata, ovvero la situazione nella quale quasi 400 mila persone si sono trovate dopo la Riforma Fornero. Chi è Francesca?
Francesca è un’esodata che per soccombere alla grave situazione finanziaria in cui riversa si vede costretta a chiedere l’elemosina in piazza. Quello che colpisce di lei è sicuramente l’immagine di una donna non dimessa, ma di quella che può essere la nostra vicina di casa. Nonostante il dramma che vive non perde per un solo istante la sua dignità. I suoi occhi esprimono costantemente il disagio di un’Italia malata ma che non vuole e non può arrendersi.
Chi sono gli Esodati?
Sono le prime vittime della riforma pensionistica Fornero, persone che a causa dell’improvviso innalzamento dell’età pensionabile sono rimaste per molti anni senza stipendio e senza pensione. Nel film li definisco “mendicanti di stato” poiché la rottura di un patto proprio con uno Stato, che avrebbe dovuto tutelarli, ha generato in essi una perdita di fiducia verso le istituzioni ma soprattutto verso loro stessi. La rottura di un patto tra stato e cittadino è davvero inammissibile in qualunque società civile.
Cosa pensi della Riforma Fornero?
E’ una riforma iniqua e frettolosa, ma nonostante questo risulta ancora oggi intoccabile. Il governo Monti non avrebbe dovuto terminare il proprio mandato sapendo di aver procurato così tanti disagi ai cittadini.
Cosa vorresti arrivasse al grande pubblico de “L’esodo”?
Il film non è uno spiegone del problema. Narra la vicenda umana di un individuo, di una donna, madre, nonna Italiana. I sentimenti e gli stati d’animo di Francesca accompagnano lo spettatore in un percorso emozionale e alla fine senza accorgersene ha piena consapevolezza del problema. Utilizzare il cinema come strumento di protesta è stato un rischio grosso, sia perché è il mio primo film, sia perché le persone rifuggono dai problemi che vivono e sentono quotidianamente, anche in momenti di svago. Ma il cinema nel nostro Paese è stato anche questo e forse è stato il nostro cinema migliore. Inoltre, se in tanti Paesi troviamo il cinema nella categoria dei quotidiani, sotto la voce “enterteinment”, e in Italia lo troviamo ancora sotto la voce “cultura” un motivo ci sarà.
I tuoi prossimi progetti?
Mi piacerebbe trattare di adolescenti. Altro tema scottante della nostra Italia che però in pochi riescono a trattare con la dovuta introspezione.
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L’esodo è anche un libro:
L’ ESODO – di Ciro Formisano – ed. David and Matthaus