Lo stato d’emergenza nel PD

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 24 novembre 2015

 All’idea di non consentire la ricandidatura degli ex Sindaci, formulata direttamente ai giornali dai due vice di Renzi, Nico Stumpo risponde con un argomento molto congruente, sostenendo che, così, si decurterebbero le libertà personali. Il metodo di riscrivere le regole volta per volta, limitando la casistica dei partecipanti attivi o passivi, oppure la possibilità di tenere o meno le primarie stesse in base alle opportunità e ai contesti, andrebbe anche letto, quindi, come una riduzione (“decurtazione”, appunto) delle libertà. In che senso? Nel senso che le primarie si presenterebbero come una ‘fisarmonica’ che si apre o si chiude (e persino si suona o meno) in base ai capricci e alle necessità della classe dirigente al potere. Non strumenti democratici, dunque, ma di gestione della fase e di regolazione del conflitto. Negando con ciò, se servisse, il ‘diritto’ a partecipare di questo o quel candidato ‘indesiderato’, e dunque, in breve, la sua libertà o agibilità.

Ho notato la curiosa coincidenza temporale di questa tesi ‘liberticida’ con lo stato d’emergenza proclamato in Francia. Che è una limitazione della libertà, ma ancora di più è un possibile modello di gestione di questa terribile fase politica. Sia le primarie addomesticate, sia lo stato di emergenza rispondono allo stesso ‘eccezionalismo’ decisionista: all’idea che nelle fasi più delicate e di crisi si possano mettere tra parentesi talune certezze del diritto, e fare leva anche sulla limitazione di privacy e di libertà (personale) per trovare la quadra politica a colpi di decisioni instantanee. Le primarie nascono come modello di partecipazione libera (esagerando nel caso di invitino a votare anche i passanti, magari di centrodestra o verdiniani) per tramutarsi, nel momento in cui lo scopo immediato è stato ottenuto (scalzare la segreteria Bersani dal Nazareno), in un ingombro, al più in uno strumento per gestire la nuova fase politica. ‘Tagliare’ Bassolino (e Marino) è, così, un modo per ‘addomesticarne’ l’esito a Napoli e a Roma. Con l’effetto, magari, di rafforzare le due candidature alle ‘secondarie’ (perché nessuno può impedire loro di candidarsi direttamente alle elezioni comunali). Eterogenesi dei fini, insomma.

C’è un’emergenza PD, dunque. Per la quale si annuncia, di fatto, la proclamazione di uno ‘stato d’emergenza’ interno, con il restringimento dei canali di accesso alle primarie, e dunque agli incarichi politici e istituzionali. Emergenza dettata da una penuria (qualità e quantità) della ‘nuova’ classe dirigente; da una crisi generale del partito nei territori, dove governano i ‘signori’ locali; nonché da un deficit di cultura politica, che è indispensabile a fissare strategie, prospettive, obiettivi che non siano, semplicemente, ‘vincere le elezioni’. Crisi strategica ben visibile anche nell’atteggiamento del governo sui caldissimi temi internazionali, per dire. Un vuoto politico, insomma. Che corrisponde, dicevo già, anche a un vuoto organizzativo. Impedire a Bassolino o a Marino l’accesso alle primarie è una risposta difensiva e contingente a questioni ben più grandi. Non è comprimendo la complessità ‘politica’ che la si governa. Non è ‘decidendo’ in astratto o annunciando idee fantasiose sui giornali che si tiene in pugno la situazione. Il difetto principale del renzismo è che non ha un senso della prospettiva. E questo in politica è un peccato mortale.

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