Fonte: La Stampa
Marco Revelli: Se una vita vale pochi centesimi
Ricordate le immagini dell’uomo in bicicletta, piegato sotto una pioggia torrenziale, sulle spalle il cubo delle consegne a domicilio? Era il 29 agosto di due anni fa. A Genova. E credemmo, allora, che si fosse toccato il fondo nel trattamento inumano dei lavoratori della logistica. Il nostro Paolo Griseri propose anche, allora, una legge che vietasse il lavoro in condizioni estreme. Oggi apprendiamo che alla discesa in basso non c’è limite.
Mentre le prime pagine dei giornali sono affollate di notizie sull’«emergenza caldo»; mentre si moltiplicano i casi di lavoratori crollati per effetto dell’afa insopportabile e le Regioni emettono ordinanze per far sospendere le attività all’aperto nei settori più esposti; mentre al ministero del Lavoro si sta per siglare un protocollo d’intesa con le Organizzazioni sindacali per affrontare il problema, veniamo a sapere che una delle più importanti piattaforme per la consegna di cibi a domicilio non solo non ha sospeso le attività nelle fasce orarie più rischiose, ma avrebbe escogitato addirittura un sistema di bonus volto a incentivare la propria manodopera a mantenere l’impegno nelle ore più calde.
Le tabelle proposte – se confermate – sono francamente agghiaccianti: si va da un incentivo del 2%, all’incirca 5 centesimi, per temperature di 36 gradi; del 4%, ovvero 10 cent, se sale a 38; e dell’8% (20 cent) sopra i 40 gradi. Come dire che mettere a rischio la propria salute, e forse anche la propria vita, è valutato nell’ordine dei centesimi di euro. E d’altra parte i lavoratori in quel caso non sono neppure dipendenti, sono reclutati a chiamata sulla base di un algoritmo, sta a loro – così ragiona il management – decidere sul che fare di se stessi.
Bene ha fatto il Nidil Cgil, il ramo dell’organizzazione sindacale che si occupa dei lavoratori “anomali”, a inviare una lettera all’azienda e agli stessi lavoratori, riaffermando l’elementare principio che in caso di ondate di calore particolarmente alto l’attività deve essere sospesa. E ribadendo che la salute viene prima dei bonus, e «nessun compenso può giustificare il lavoro in condizioni di rischio estremo». Ma in questi settori il sindacato è particolarmente debole, il potere contrattuale dei lavoratori bassissimo, e dunque il meccanismo disumano che è stato architettato per spremerne le energie anche quando il resto del mondo per prudenza si ferma è difficile da contrastare o da rifiutare.
Quando anche 5 centesimi sono considerati dal datore di lavoro un incentivo efficace per mettere in gioco salute ed esistenza, vuol dire che il mercato del lavoro si è talmente degradato da configurare uno stato a tutti gli effetti “servile”, sicuramente ormai al di fuori dalla modernità sociale. E quando dirigenti d’azienda giungono a concepire come proponibile un modello simile di relazione col lavoro, significa che la coscienza sociale del nostro tempo ha subito un collasso grave, non solo inescusabile ma forse anche irreparabile.
Di fronte a questa situazione, ha ragione Chiara Saraceno che, sulle pagine di questo giornale, ha proposto una qualche mobilitazione dei consumatori, chiamati a rinunciare per ragioni di rispetto e di umanità, alle richieste di consegna nelle ore più calde. Ha ragione, ma rimane un senso profondo di amaro perché questa è davvero un’extrema ratio. Un surrogato rispetto a quelle che dovrebbero, in una società civile, essere le vie maestre per difendere il proprio livello di civiltà: un sano confronto sindacale tra parti con potere reciproco non sproporzionato. E in mancanza di questo un intervento dello Stato a difesa dei gradi minimi di tolleranza nello sfruttamento della manodopera.
Il fatto che le “Legge Griseri” giaccia abbandonata sul fondo di qualche cassetto non invita a sperare.