Fonte: La stampa
Ursula von der Leyen ha ragione, ma è colpa anche sua
Su un punto Ursula von der Leyen ha detto la verità nell’ampia intervista rilasciata al settimanale tedesco Die Zeit, quando ha affermato che «l’Occidente come lo conoscevamo non esiste più». Affermazione di per sé devastante, perché se presa alla lettera significa che “non sappiamo più chi (né cosa) siamo”. Che un punto cardinale della nostra geografia politica si è dissolto.
Certo l’America di Donald Trump non si risparmia nulla nel lavoro di picconatura e decostruzione della propria immagine tradizionale e delle consolidate alleanze, non solo con la politica dei dazi, rozzamente gestita come nelle peggiori negoziazioni affaristiche, ma con le minacce di invasione e annessione di Stati sovrani, e con l’uso di un linguaggio offensivo e scurrile. Un vento di pazzia. Ma con lo Shakespeare dell’Amleto, possiamo dire che c’è della logica in questa follia. Il deficit della bilancia commerciale Usa che sfiora ormai i 30 trilioni di dollari non è più sostenibile. Come d’altra parte il debito pubblico e soprattutto privato americano. Il costo di un’egemonia imperiale come quella passata non è più accettabile. Quel che accade, aldilà delle forme, ha una sua relativa inevitabilità.
Ma anche l’Europa non scherza, con la sua classe politica “percossa e attonita” di fronte all’shock del cambiamento di scenario. Incapace di leggere i propri errori, e d’immaginarne ragionevoli vie d’uscita, un po’ come capita nel caso di quella sindrome chiamata dell’“arto fantasma” che fa credere a chi ha subito una mutilazione di essere ancora integro. Con i suoi principali leader – Starmer e Macron in primis, quelli che non hanno ancora elaborato il lutto della perdita dei propri imperi –, a illudersi di poter prolungare la guerra in solitudine, facendo il tifo in modo neppur tanto discreto per il fallimento dei tavoli negoziali. E con i Commissari economici incerti tra fare i duri con i contro-dazi o blandire le pretese del tycoon, e tentati fuori tempo massimo, come ha dichiarato la von der Leyen, di cercare nuovi mercati, magari con la Cina, o l’India, o quei Brics che mentre qui si enfatizzava la potenza di fuoco della Nato se ne andavano da un’altra parte. Soprattutto illudendosi che la via della potenza militare e del riarmo possa salvarci del cul de sac in cui ci si è cacciati.
In questo senso Ursula von der Leyen non dice la verità quando afferma, con una sorta di coazione a ripetere, che «l’Europa è ancora un progetto di pace». Perché il retropensiero della sua Commissione è all’opposto quello di tentare di rimontare il fallimento della propria attuale irrilevanza con una velleitaria politica di riarmo, come se fallita la costruzione dell’Unione per via politica se ne debba tentare una per via militare. Via che peraltro, a conti fatti, solo la Germania sarebbe in grado di permettersi. Col bel risultato di trovarcela di nuovo armata nel cuore d’Europa, a ciclo compiuto, tra 5 anni, nel fatidico 2030 indicato da Ursula come l’anno in cui si sarà finalmente pronti alla guerra. Di chi con chi? Con la Russia di Putin, impero già ampiamente declinato? La Cina ancora così lontana? Con l’occupante di un qualche territorio irredento se gli ultranazionalisti di AfD dovessero ancora crescere? Non si sa. Sappiamo solo che i precedenti “riarmi tedeschi”, quello del primo decennio del’900 e quello degli Anni ’30, finirono ognuno con una guerra mondiale. Da cui l’Europa uscì ridimensionata e semidistrutta. Un incubo che ci auguriamo di poter ancora evitare