Nel Festival di Sanremo Benigni ammicca rassicurante, ma Geppi Cucciari è stata perfetta, brava, sarcastica: una donna e una artista coraggiosa e dalla schiena dritta.

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lorenzo Tosa
Nel Festival di Sanremo Benigni ammicca rassicurante, ma Geppi Cucciari è stata perfetta, brava, sarcastica: una donna e una artista coraggiosa e dalla schiena dritta.
Geppi Cucciari stasera è riuscita nell’impresa rarissima, in un festival soporifero, abbottonato, governativo come questo, di far passare tra le righe momenti di satira intelligente (“fai più ascolti dei servizi”), perculate epiche (“Buona nazion…. ehm, visione”), frecciate chirurgiche: “Carlo, sei un grande conduttore, un artista ma soprattutto sei un padre”, con palese riferimento a Bianca Balti.
E ancora la perculata a “Il Volo” che nessuno di loro ha colto, il “Bau” di Augusta Montaruli trasformato in sondaggio, gli sfottò continui a Conti e ai dirigenti di Telemeloni, letteralmente sbiancati e ingessati sulla poltrona.
Ha fatto, cioè, quello che un comico dovrebbe fare sempre: mettere alla berlina il potere, con la sua ironia, l’intelligenza unita a un tempo e a un senso della battuta che ha solo lei (e pochissimi altri) oggi in Italia.
Dicevano che l’avrebbero ingabbiata, annacquata. Geppi stasera ci sta dando una lezione su cosa significhi essere una grande professionista, in una posizione scomoda, “fuori casa”, cosa sia una donna e una artista coraggiosa e dalla schiena dritta.
Enorme. (Lorenzo Tosa)
Geppi Cucciari è l'antidoto alla retorica di Sanremo
Possono dire quello che vogliono, possono criticarlo, dargli del “sinistro”, accusarlo di fare propaganda (non potendolo attaccare sul cachet), ma la verità è che Roberto Benigni è una delle personalità artistiche e intellettuali di cui più dovremmo essere orgogliosi in questo Paese. E in un Paese normale sarebbe semplicemente applaudito e apprezzato senza colori né appartenenze, come patrimonio culturale.
L’omaggio, sentitissimo, al Presidente Mattarella, è stato di una delicatezza rara, soprattutto in questo momento particolare.
E se qualcuno a destra non tollera neanche quel pizzico di satira che ha portato stasera sul palco, allora la situazione è molto più seria di quanto temessimo.
Grazie Roberto. (Lorenzo Tosa)

La repubblica di Benigni: all’Ariston una satira che mette tutti d’accordo di su La Stampa

Benedetti toscani. Carlo Conti e Roberto Benigni aprono la quarta puntata del Festival, insieme, senza che uno presenti l’altro, che lo conduca o co.conduca, giocandosela alla pari, vicendevolmente realizzatori dei rispettivi sogni.

«Hai realizzato il mio sogno», dice Conti a Benigni, e Benigni gli risponde «Ma no, sei tu che hai realizzato il mio, io sono una carlocontiologo», sembrano i maschi che fanno a gara a chi deve pagare il conto. La presenza dell’iperitaliano era stata annunciata ieri in conferenza stampa dallo stesso Conti, che ha lasciato tutti di stucco ed è scappato via subito dopo, forse davvero per andare a Montecarlo, come ha detto in una battuta Geppi Cucciari, magari per discutere l’incalcolabile cachet, le cose da dire e quelle da non dire, sotto la supervisione dell’agente Lucio Presta, che ieri compiva 65 anni.

Benigni arriva per tre ragioni. La prima, come detto, realizzare i sogni di Carlo Conti. La seconda, annunciare che il 19 marzo su Rai 1 andrà in onda il suo spettacolo «Il sogno» (è tutto un sognare, sì sì). La terza, la più importante, simulare il dissenso, onorare il pluralismo, dare voce alla sinistra democratica, quella rassicurante, ormai né di lotta né di governo, e fare di Conti l’unico meritevole federatore del Campo Largo. Tre giorni a dargli del perfetto democristiano e invece lui, al quarto giorno, risorge e svela la sua vera natura: né di destra, né di centro, ma berlusconiana. Come Berlusconi, Conti apre il suo salotto al dissidente à la carte: è il primo a fare ironia (lieve, lievissima, una pallottola spuntata) su Giorgia Meloni ed Elon Musk – «si sposeranno su Marte» e «Elon vuole l’Italia, ha detto “O Roma, o Marte” e si prenderà anche la Liguria, dopo la Groenlandia e il Canada, e se i liguri non accetteranno, metterà i dazi sulle trofie al pesto» – e per non scontentare nessuno e non diventare pericoloso dissidente, per bilanciare tutte le egemonie culturali, immediatamente dopo irride anche la sinistra e i suoi tic, e dice di non buttarla in politica, perché l’atmosfera è tesa e «prima, per salutare Marcella Bella, le ho detto “Bella, ciao!” ed è successo un casino, allora per riparare ho mandato subito i saluti anche ai Neri per caso».

Fa ridere, ed è il picco di risata di tutto l’intervento. Il resto fa sorridere, rilassa, ammicca, come da tempo ormai fa Benigni, che è perfettamente descritto da un verso della canzone in gara di Giorgia, La Cura per me, quando fa: «Per me fare una follia è come la normalità». Non scalda, non esalta, e del resto al batticuore è stato deputato due sere fa Jovanotti, l’altro toscano che Conti ha voluto nel suo Festival in cui tutti si aspettavano che avrebbe chiamato anche i suoi due grandi amici, toscani pure loro, Leonardo Pieraccioni e Giorgio Panariello, con cui i quali molti anni orsono fece lo spettacolo «Fratelli d’Italia» (che coincidenza!), e invece no, il giglio magico contiano ha evitato l’amichettismo e s’è limitato al campanilismo.

Prima di andare via, Benigni s’è fatto convincere a cantare il suo Inno del corpo sciolto, e così ha smentito chi (tutti) aveva scommesso su una letturina di Dante, o almeno di Cavalcanti, e un saluto a Nicoletta Braschi, sua moglie, di quelli che soltanto lui sa fare, di quelli che hanno fatto sognare a quasi tutte di essere sposate almeno per un giorno con Roberto Benigni: ricorderete che, quando a Venezia gli diedero il Leone d’Oro alla carriera, la ringraziò dicendole dal palco, in mondovisione, «Il mio modo di misurare il tempo è con te e senza di te, questo premio ti appartiene, lo dedicherai tu a chi vorrai. Io mi prendo la coda, le ali sono tue». E in quella occasione ringraziò anche Sergio Mattarella, al quale ha dedicato l’ultimo pensiero, ieri sera, dopo la canzonetta dei bei tempi andati, di quando era incendiario, berlingueriano, sinistrato, donnesco, toscanaccio, casinista, esondante, incontenibile.

Ha detto: «L’ultima volta che sono stato qui c’era il Presidente Mattarella, che è un uomo dalla cui bocca non ho sentito altro che parole di verità e pace». Conti, in un singulto di senso del contesto e rispetto per il pubblico, che ha il diritto di capire di cosa si parla su un palco, ha subito aggiunto: «Tutta la solidarietà al nostro Presidente». E basta così, nulla di più. Né al conduttore né al suo ospite è venuto in mente di spiegare il perché di quella manifestazione di solidarietà: ieri, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha accusato Mattarella di «invenzioni blasfeme», riferendosi al discorso che il presidente della Repubblica italiana ha tenuto all’università di Marsiglia, in cui aveva paragonato la Russia al Terzo Reich nazista per via dell’invasione dell’Ucraina. Niente geopolitica, è Sanremo. Una spiegazione più approfondita avrebbe smagliato il capolavoro contiano: aver rilassato il Paese, aver dimostrato che il Festival di Sanremo si può fare (e, visti, i numeri da record, si dirà forse che si deve fare) evitando i contenuti (che all’Ariston sono arrivati ugualmente ma di lato, di sguincio, per caso, a volte come effetti indesiderati, ma comunque innocui), trasformando i monologhi in gag, i messaggi in slogan, l’amore in cuoricini, anche perché il Paese, secondo Conti, va educato a casa, in famiglia, al massimo a scuola, il resto è intrattenimento, oppure noia.

Benigni è andato via, abbiamo riso, sorriso, pensato che, in fondo, Amadeus ci appesantiva, ci faceva fare tardi, ci alleggeriva senza mai farci volare nel blu dipinto di blu. Benigni è andato via facendoci pensare che è un maestro, che ha alzato il livello, che come lui non c’è nessuno, che ha trovato la misura giusta, che sul palco della riconciliazione e della controriforma non si poteva fare di più.

Solo che poi è arrivata Geppi Cucciari, ed è stata talmente perfetta, brava, sarcastica, che Benigni è trascolorato ed è apparso quello che effettivamente è stato: il portavoce del padroncino, che in Italia è il telecomando.

 

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