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di Luca Billi, 14 settembre 2017
Hanno deciso gli episodi. Parlando di calcio è una frase che ripetiamo spesso, facendo intendere che se non fosse stato per quel pallone che al 90° è finito casualmente alle spalle del nostro portiere, lasciando incredulo prima di tutto il fortunato autore del gol, la nostra squadra avrebbe vinto quella partita, e magari il campionato, e poi la Champions, e così via, ad libitum. A essere onesti, nel calcio – come nella vita – gli episodi contano, ma non è sempre colpa del destino, proverbialmente cinico e baro. Alla lunga le differenze emergono e se una squadra è più forte, alla fine riuscirà a vincere il campionato; anche se ha perso quella partita, per quell’episodio.
Lo stesso ragionamento vale per la politica. In questi giorni i giornali hanno pubblicato la notizia dell’assoluzione in primo grado di Clemente Mastella nel processo seguito all’inchiesta cominciata nove anni fa, in cui si contestava al politico campano e a sua moglie di aver fatto pressione per favorire le nomine di alcuni loro sodali nel sistema sanitario di quella regione. Tutti gli organi di informazione ricordano che quell’episodio determinò la caduta del secondo governo Prodi, dal momento che allora Mastella era ministro della giustizia. Come ricorderete, nel giro di alcune settimane quelle dimissioni portarono al passaggio all’opposizione dell’Udeur e di conseguenza al voto di sfiducia al senato e infine alle elezioni anticipate, vinte da Berlusconi.
In quel governo c’era di tutto – e non a caso, con i suoi 103 membri, è stato il più “corposo” della storia repubblicana – c’erano i comunisti di Rifondazione e c’erano esponenti della destra, da Mastella a Dini, che erano già stati al governo con Berlusconi. E già questo avrebbe dovuto farci temere sulla sua tenuta. Ma soprattutto fu un governo che fece sostanzialmente politiche di destra, perché i provvedimenti chiave di quell’esecutivo furono le privatizzazioni volute da Padoa Schioppa e le liberalizzazioni di Bersani.
Certo eravamo uniti – e Unione si chiamava il nostro schieramento – e così quello fu l’unico governo con la partecipazione e sostenuto dall’intera sinistra parlamentare: non succedeva dal 1947, dal terzo governo De Gasperi. Ma scoprimmo che mettere la pur legittima esigenza di stare uniti – quello che la “nostra gente” ci chiedeva in ogni occasione – davanti a ogni altra cosa fu esiziale.
Comunque sarebbe onesto riconoscere da parte dei protagonisti di quegli anni che non fu un caso che dall’agonia di quella maggioranza in quegli stessi mesi nacque il pd. Al di là delle ambizioni personali e dell’ostilità che Romano Prodi raccoglieva – peraltro ricambiandole con la sua consueta vendicativa acrimonia – nel suo partito, fu questo il vero motivo politico della caduta del governo, perché al partito a vocazione maggioritaria stava sempre più stretta quella maggioranza e i demiurghi del partito “nuovo” pensavano che da soli avrebbero facilmente vinto le elezioni, non dovendosi più sobbarcare l’onere della competition tra ex-Ds ed ex-Margherita.
Ricordare quegli anni non è un esercizio ozioso, visto che adesso una parte delle persone protagoniste di quella stagione ha deciso di ricominciare a giocare, con l’ambizioso programma di ricostruire la sinistra in Italia. Ovviamente è legittimo che tentino l’impresa, ma è curioso come vogliano riproporre la stessa squadra e soprattutto le stesse tattiche di gioco: si fanno chiamare Insieme e non Unione, ma siamo ancora lì. Evidentemente pensano che allora la partita sia stata determinata dagli episodi, da quel tiro rocambolesco da fuori area. No, allora abbiamo perso perché potevamo solo perdere. E chi si ostina a giocare allo stesso modo è destinato a perdere, anche se continuerà a dare la colpa agli episodi.