di Raniero La Valle
La nuova forma di sinodalità che ha messo insieme le Chiese della regione amazzonica con tutti i loro vescovi ed ausiliari, i missionari, i ministri, le dirigenti di comunità e altri laici e laiche, insieme alle rappresentanze dei popoli amazzonici, una sinodalità così profondamente pensata “che riconosca l’interazione di tutto il creato”, come recita il documento finale del Sinodo che ha avuto termine il 26 ottobre a Roma, ha mostrato di essere in grado di innescare processi di vera riforma della Chiesa e di poter dare molti frutti. Vedremo ora che conseguenze ne trarrà il papa, ma la strada è aperta.
Delle conclusioni del Sinodo vorremmo citarne due molto positive, ricche di futuro, e una terza che sul futuro lascia aperta invece una gravissima incognita.
La prima cosa di straordinaria importanza è l’apertura all’introduzione nella Chiesa latina di sacerdoti sposati (già presenti nelle Chiese di altri riti). Lasciamo stare tutte le cautele, le ragioni più o meno persuasive che ne sono state addotte, la strettoia di limitarne il reclutamento tra i diaconi permanenti già sposati, la circoscrizione del loro servizio “alla regioni remote dell’Amazzonia”. Tutto questo è il pedaggio che si deve pagare ai custodi imbalsamati del passato, ai prelati infedeli che minacciano scismi ad ogni passo, alla gradualità necessaria a ogni processo di riforma. Ma è chiaro che, come hanno invocato molti vescovi, si dovrà passare a un “approccio universale del tema” del celibato obbligatorio per i preti nella Chiesa, e poiché, come dice il Concilio, nella Chiesa cattolica romana, “sussiste la Chiesa di Cristo”(pur senza esaurirvisi), la cosa è della massima portata.
Che questa porta si apra, e magari all’inizio solo si socchiuda, ha un valore di principio che va ben oltre l’emergenza della scarsezza di clero e lo stesso statuto del ministero presbiterale. Riguarda l’antropologia e il messaggio stesso della fede. Non si può infatti ignorare che, al di là di tutte le ragioni pastorali e teologiche addotte a favore del celibato, alla radice della tesi dell’inconciliabilità tra matrimonio e sacerdozio c’è il vituperio del sesso, il cui esercizio è considerato ragione di impurità, antitetico al sacro, e anzi un peccato riscattato solo dalla finalità della procreazione nelle forme stabilite. E non solo la sessualità è stata bollata come peccato, ma come “primo peccato”, peccato originale onde tutti gli uomini e le donne (tranne Gesù e la Madonna) sarebbero nati contaminati e destinati alla perdizione, salvo il lavacro del battesimo fuori del quale, nemmeno per i bambini, ci sarebbe stata salvezza. Oggi non si osa più dirlo, ma per secoli questo è stato l’insegnamento che a partire da Agostino ha infestato tutta la Chiesa. E’ chiaro che il suo universale diffondersi non si può imputare solo ad Agostino, ma certo lui ha fatto passare l’idea che il peccato di Adamo, propagatosi poi in tutti i suoi discendenti non per imitazione ma per procreazione, fosse un peccato di concupiscenza carnale. Come dice nel “De peccatorum meritis.. (ad Marcellinum)”, a causa della sua disobbedienza il corpo di Adamo perse la grazia di obbedire alla sua anima, “e ne sortì fuori quel movimento bestiale e vergognoso per gli uomini che fece arrossire Adamo per la propria nudità”: in sostanza l’orgasmo. Ne derivò che gli uomini per “una specie di malattia scoppiata da una repentina e pestifera infezione” persero il loro privilegio di non mutare d’età e “ si incamminarono alla morte”, tutti poi morendo in Adamo che ha “corrotto in sé per la marcia segreta della sua concupiscenza carnale” tutti coloro che sarebbero venuti “dalla sua stirpe”.
È a partire da questa antropologia che amore sessualità e morte hanno viaggiato insieme, dilaniati tra peccato e legge, tra libertà e grazia, e quella benedizione ineffabile per cui uomo e donna furono creati diversi, ma in una sola carne, è diventata maledizione e ha informato etiche e mistiche; un monaco ricordava in questi giorni l’ossessiva presenza della tomba nell’insegnamento dell’eremita camaldolese san Pier Damiani, che incitava alla lotta contro gli istinti sessuali con digiuni veglie preghiere lacrime flagellazioni e perfino “un’augurata evirazione”, portata in dono da un angelo di Dio nella notte, drastico rimedio al rischio dell’impurità.
C’è tutto questo dietro l’idea che il sacerdote non dovesse contaminare con mani impure il pane dell’eucaristia, nel fatto che i coniugi vivessero le loro notti nel rischio continuo di peccare, sotto lo sguardo inquisitorio di Ogino, che la donna fosse agognata e temuta nella Chiesa, e la Chiesa stessa pensata come maschile e celibataria. Ma se la Chiesa esce dai suoi recinti per divenire, come Dio l’ha pensata, l’umanità stessa in cammino nella storia, ciò diviene insensato.
Perciò il Sinodo dell’Amazzonia porta una buona notizia quando, per risolvere il problema di chiese senza eucaristia, presuppone un’altra antropologia, un’altra responsabile e gioiosa ricezione della parola: e saranno due in una carne sola. Fare l’amore (legittimo!) e poi consacrare l’eucaristia: che meraviglia!
La seconda buona notizia, vera riforma, è lo sdoganamento dei ministeri ordinati nella Chiesa. Tutta la Chiesa è ministeriale (al servizio di tutti) e nuovi ministeri devono far fronte a esigenze nuove. Perciò non solo si rinvigoriscono ministeri antichi (il lettorato e l’accolitato) e per le donne si rilanciano la ricerca e il percorso già avviato per il loro accesso al diaconato permanente, ma si introducono nuovi ministeri: ministeri speciali nelle parrocchie e a tutti i livelli di Chiesa per la cura della “casa comune”, in particolare del territorio e delle acque, e la promozione di una ecologia integrale, il ministero di “donne dirigenti di comunità”, e quello per l’accoglienza dei migranti che dalla selva si inurbano in città.
La notizia non buona è che ancora non si vede la luce su come far fronte alla distruzione del sistema fisico e umano che minaccia la Terra e rischia di interrompere la storia. Chiarissima ne è la consapevolezza, determinata è la volontà di farvi fronte, forte la fede che l’uscita si troverà. In ciò il Sinodo è stato esemplare: l’Amazzonia rischia di essere distrutta dall’egoismo predatorio del sistema economico e produttivo dominante, ma l’Amazzonia si fa figura ed epitome di tutta la Terra, e le Chiese amazzoniche se ne fanno carico all’interno però di una responsabilità condivisa di tutte le Chiese per tutta la Terra. Ma da qui all’attuazione politica di misure atte a invertire la corsa verso la fine c’è un abisso che ancora non si sa come colmare. Come passare dalla “Laudato sì”, alla salvezza effettiva del sistema? Le proposte del Sinodo, pur generose e lungimiranti, sono irrisorie dinanzi alla gravità della sfida. Certo, bisogna difendere le acque, e le foreste, e il respiro dell’Amazzonia, “cuore biologico della Terra sempre più minacciata”. Ma per la Terra intera la sola cosa che si propone alla Chiesa è di “animare la comunità internazionale a mettere risorse per un modello di sviluppo giusto e solidale”. Ma intanto? Basta questo a salvare la vita e la storia sulla Terra? Questo è compito della politica, è compito nostro, qui fede e politica si incontrano.