Uno stimolante dibattito scaturito tra amici sul precedente articolo “Sovranità e Territorialità” (https://www.nuovatlantide.org/sovranita-e-territorialita/) per vastità degli argomenti ha lasciato aperto l’interrogativo sull’incidenza dei fenomeni di globalizzazione sull’effettivo esercizio della sovranità e sul mantenimento del suo storico e/o politico legame con la territorialità.
Un interessante articolo di Franco Farinelli su “Il Manifesto” del 24.10.2019 aiuta a riflettere sulle conseguenze subite dal nostro Stato/Nazione e su quelle che anche le Regioni del nord-Italia rischiano di subire, qualora si attuasse una ulteriore autonomia (anche maggiore rispetto alle regioni a statuto speciale) a causa dell’uso selvaggio della globalizzazione da parte delle grandi imprese.
Farinelli fa riflettere sulle esperienze già fatte dalle Regioni del sud-Italia, allorché diverse multinazionali nel corso degli anni sessanta del 900 colonizzarono il Mezzogiorno, disseminando grandi impianti a ciclo integrato dell’industria di base. A tale scopo essi si avvalsero delle prime collaudate potenzialità di Internet. Tale scelta, oltre che dagli incentivi pubblici di provenienza statale (fallimentare Cassa per il Mezzogiorno) e (poi UE con Interventi Straordinari e Obiettivo 1), fu dettata dal basso costo del fattore produttivo più importante: la forza-lavoro.
Della crisi economica e occupazionale, che ha investito il sud-Italia dopo la fuga delle Multinazionali, a seguito dell’aumento dei salari operai, subiamo ancora oggi le conseguenze. Questo perché le prime pratiche di globalizzazione furono usate dal grande capitale, grazie al circuito produttivo chiuso rispetto al territorio. Si può dire che l’Italia sperimentò una forma di spodestamento della decantata “sovranità nazionale”: spodestamento che con la crisi decennale in atto subiamo ancora.
C’é da chiedersi se sugli stessi territori la duplicazione dei poteri (pubbliche istituzioni – economia/finanza privata), sopravvissuta sia alla Rivoluzione Francese sia a quella Russa, sia oggi maggiormente caratterizzata per la netta prevalenza del capitalismo, cresciuto in modo oltremodo invasivo.
In questo caso la chiave di lettura della analisi istituzionale contemporanea dovrebbe comunque seguire il filo conduttore a “corrente alternata”, generata dalle pressioni sociali. Fin dall’inizio dell’era moderna sono state le classi sociali in lotta tra loro ad imporre alle pubbliche istituzioni i propri ‘desiderata’. Tale situazione ha prodotto in ambito istituzionale andamenti ondivaghi, che hanno cambiato spesso il significato della “sovranità” e conseguente esercizio, anche in mutevoli ambiti territoriali.
Tale variabilità, con la diffusione quasi capillare dell’uso dei mezzi di comunicazione, ha fatto assumere caratteri frenetici sia ai fruitori sia ai possessori degli stessi. Fino a spingere coalizioni di forze sociali emergenti in ambito regionale a cercare di sottrarsi rispetto ai legami con le sovranità e territorialità nazionali. La Catalogna valga come esempio su tutti, giacché non solo geograficamente a noi molto vicina.
Tuttavia, Farinelli fa riflettere i sostenitori dell’autonomia regionale italiana circa il carattere “mimetico” dei loro progetti rispetto alla crisi nazionale. Essi, infatti, sono fondati sulla convinzione di poter sfuggire ad quest’ultima, ritirandosi nel proprio “particulare” e facendo affidamento sulla possibile mondializzazione dei simboli e delle vestigia ereditati dagli antenati territoriali.
“E’ vero – egli scrive – che tutti o quasi tutti gli Stati sono oggi percorsi da tensioni politiche, che scorrono lungo faglie territoriali modellate da processi di antica data.. omissis.. è vero cioè che non siamo mai stati moderni, perché nessuna formazione statale é stata in grado di adempiere fino in fondo il programma territoriale della modernità. Tuttavia, é anche vero che da quando esiste la Rete il numero degli Stati che si spartiscono la faccia della Terra é molto aumentato. Allora, a che punto é davvero la globalizzazione ?”.
La sua convinzione é che gli spazi statali sono divenuti ormai semplici luoghi assunti nella loro interezza solo dal controllo dei flussi e, quindi, quelli regionali possono cadere nella stessa illusione. Questo vuol dire che dall’era moderna si esce verso il futuro soltanto portandola a compimento ? Ciò che manca, a mio giudizio, in questa pur apprezzabile esposizione é un’analisi dell’infittirsi dei movimenti sociali di ribellione ai governi nazionali, i cui esiti possono modificare sovranità e contaminare territorialità. Come auspico a piè di pagina.
Tutto intorno a noi dice che l’illusione nazionalista, che ancora pervade e devasta le pubbliche istituzioni statali, può riprodursi anche a livello regionale: sia nella versione di semplice autonomia, sia nella versione secessionista. In un mondo sempre più succube dei risvolti della globalizzazione, nessuna pubblica sovranità potrà essere salvata da una modifica territoriale.
Inoltre, una caratteristica che accomuna le mobilitazioni di piazza attuali é di avere come controparte le istituzioni o le figure istituzionali di più vicino riferimento (ad esempio Hong Kong): comunque quelle individuate responsabili del “malgoverno” nei confronti dei ceti sociali insoddisfatti nell’ambito territoriale di appartenenza. A volte, come in America Latina, sembra di vedere film già visti, giacché l’alternarsi degli orientamenti politici dei governanti é connesso con la volontà di tutte le forze politiche in campo di non interrompere i meccanismi che rendono il singolo Paese succube di altri più potenti (vedi USA).
Tutti succubi di un sistema di potere internazionale, oggi esercitato non più soltanto con la forza militare, bensì anche tramite il controllo dei flussi in Rete. Su questa modalità di esercizio del dominio, ancora del tutto sottovalutata, valga l’esempio per Italia e l’intera UE di ciò che emerge dalle recenti rivelazioni giornalistiche, con riferimento alla scalata al potere della cordata politico/oligarchica di Matteo Salvini.
In tale situazione anche appellarsi alle carte costituzionali nazionali costituisce un pericoloso limite, giacché é divenuto luogo comune quello di cambiare anche le regole costitutive: quelle che dovrebbero garantire la continuità delle pubbliche istituzioni, rispetto allo strapotere dei possessori di capitali (di grande e media grandezza).
Inoltre, aver gettato la maschera della falsa “neutralità” da parte del maggiore possessore di social network (Mark Zuckerberg) costituisce prova di chi altri sia già verosimilmente candidato a governare il mondo. Ciò é allo stesso tempo motivo di grande allarme, che richiede maggior peso dei movimenti che puntano a cambiarlo in senso anti-capitalistico.
Pertanto, se da una parte ci si interroga sul significato di detti sommovimenti sociali, (essi testimoniano che il capitalismo é giunto al capolinea ?), da un’altra essi pongono i conseguenti quesiti: può l’umanità fare a meno del capitalismo ? Come ?
Su questo ho già scritto nel precedente articolo, in tema di “sovranità e territorialità”, che la ricerca della risposta a tali domande può essere fornita dal confronto internazionale tra movimenti non nazionalistici, classi sociali impoverite di rispettiva appartenenza e dai conseguenti accordi di fattiva collaborazione sulla tematica del “nuovo mondo possibile”.